sabato 17 luglio 2021

Micro-recensioni 161-165: seconda cinquina di classici coreani

Altra metà della rassegna dei 10 film coreani riproposti al Festival di San Sebastian. pubblicati su YouTube dal Korean Film Archive (vedi post del 2 luglio, classici sudcoreani degli anni '60). Nel complesso si tratta di una interessante selezione, non solo per offrirci una panoramica su un paese che usciva dal lungo periodo di occupazione giapponese e poi dalla guerra che portò alla definitiva divisione lungo il confine del 38° parallelo, ma anche per la qualità dei film che mostrano chiaramente la benefica influenza degli stili giapponesi, sia per il film di genere classico che per quelli dell’avanguardia degli anni ’60. In particolare colpiscono la cura delle inquadrature, la fotografia in bianco e nero e i commenti musicali, tutti di gran qualità. Ricordo ai lettori che nella playlist YouTube Korean Classic Film oltre a questi ce ne sono almeno un altro centinaio … sono convinto che, effettuando un po’ di ricerche, certamente si troveranno titoli interessanti di proprio gusto.

 

Homebound / Gwilo (Lee Man-hee, 1967, Kor)

Dramma e melodramma, sceneggiatura interessante, ottimo commento musicale, buone la fotografia e l’interpretazione della protagonista Moon Jeong-suk. Lei è sposata con un ufficiale, eroe di guerra invalido, che accudisce da ormai 14 anni. Lui scrive per un giornale qualcosa di simile ad un romanzo a puntate nel quale la protagonista vive per più versi le emozioni e le vicissitudini di sua moglie. Vengono così rappresentate due storie parallele (una reale e una fittizia) nelle quali è centrale il rispetto e l’altruismo fra i due, ma l’equilibrio rischia di essere rotto dalla presenza di un giovane giornalista che la protagonista incontra in occasione delle consuete consegne dei manoscritti alla redazione del giornale. Noto anche come The Way Home e, in quanto al titolo originale, Gwiro. Consigliato.

Mist / Angae (Soo-yong Kim, 1967, Kor)

Altro melodramma il cui protagonista è un dirigente di industria farmaceutica che torna per pochi giorni nel suo piccolo paesino natale lontano da Seul. Qui incontra una giovane maestra di musica, indipendente e di mentalità moderna, con la quasi unica ambizione di trasferirsi nella capitale. Fra i due nasce una profonda e sincera attrazione, nonostante non venga nascosto il fatto che lui sia già sposato. La narrazione è intercalata da tanti pensieri e ricordi del protagonista ben resi (anche se talvolta in modo un po’ confuso) con brevi o brevissimi flashback. Questo è un ottimo esempio di quanto scritto nel cappello in quanto a musica e fotografia, specialmente quella degli esterni, caratterizzati dalla bruma che fornisce lo spunto per il titolo.

  
The Devil's Stairway / Ma-ui gyedan (Man-hui Lee, 1964, Kor) 

Prima parte più che buona, in tutti i sensi (regia, sceneggiatura, fotografia, interpretazioni), poi si perde in una confusione generale e un eccesso di cigolii e scricchiolii che lo fanno diventare il film quasi un horror, abbandonando il genere noir/crime/thriller, fino a quel punto interessante. Si salva il finale abbastanza inatteso, anche se poco credibile e plausibile. Apprezzabili, anche in questo caso, inquadrature, fotografia e commento musicale.

The Barefooted Young / Maenbal-ui cheongchun (Ki-duk Kim, 1964, Kor)

Un dramma giovanile nel quale si trovano a confronto ambienti diversi e, come spesso accade in tali casi, ne consegue un finale tragico. Un fortuito incontro fra un piccolo malvivente (ma di buon cuore) al servizio di una banda di contrabbandieri e una giovane ragazza dell’alta società si rivela un colpo di fulmine. Il loro amore viene però osteggiato sia dalla famiglia di lei che dalla gang di lui. Un po’ troppo melodrammatici i dialoghi e gli incontri fra i due, mentre è molto migliore il contorno, ben descritto sia nei personaggi che negli ambienti.

A Day Off / Hyu-il (Man-hui Lee, 1968, Kor)

Dramma di una giovane coppia che si incontra solo ogni domenica; due giovani squattrinati, senza troppe ambizioni, pessimisti e disillusi. Film deprimente, lento e con un finale tragico, privo di una qualunque positività, tanto che i censori sudcoreani chiesero a regista e sceneggiatore di cambiare almeno il finale. Il loro rifiuto causò il blocco dell’opera che fu poi riscoperta e proiettata per la prima volta in Corea solo nel 2005, in occasione di una retrospettiva dell’apprezzato regista Lee Man-Hee. Certamente ben diretto, altrettanto certamente poco piacevole da guardare.

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