venerdì 31 dicembre 2021

Micro-recensioni 381-385: solo Messico … un anti-western, 2 noir e 2 commedie

Ultimo post del 2021, ma non sono gli ultimi film di quest’anno. Entrambi i noir sono diretti da Roberto Gavaldón (un maestro del genere) e interpretati da Arturo de Córdova e appartengono al periodo della Epoca de Oro del Cine Mexicano. L’anti-western (o western revisionista che si voglia chiamare) si basa su evento che può sembrare banale e già utilizzato, ma gli sviluppi e la morale sono ben differenti. Infine le due commedie sono le ultime di buon livello di Cantinflas, nel periodo ne quale abbandonò i ruoli più ridicoli di povero diavolo, buono ma pasticcione e a volte incapace, per impersonare personaggi normalmente rispettati nella società che gli fornivano la possibilità di ridicolizzare i formalismi e criticare alcuni comportamenti.

 

La diosa arrodillada
(Roberto Gavaldón, 1947, Mex)

In questo film Arturo de Córdova è un ricco industriale con una casa immensa (sale enormi, scaloni e giardino) che si trova a dover scegliere fra sua moglie (Rosario Granados) ed una modella (Maria Felix) non del tutto onesta. Fra vari tira e molla, bugie, feste e troppo alcool il protagonista percorre una strada molto pericolosa e la precaria salute di sua moglie si rivela essere un ulteriore rischio. Non aggiungo altro per evitare spoiler, ma confermo solo che questo noir è valido sotto tutti i punti di vista: regia, fotografia di Alex Phillips (all’epoca secondo solo a Gabriel Figueroa), interpretazioni e sceneggiatura di Tito Davison (rispettato anche come regista). Nei primi 40 posti fra i migliori film messicani sia nella classifica del 1994 che nel 2020.

En la palma de tu mano (Roberto Gavaldón, 1950, Mex)

Al contrario dell’altro, qui Arturo de Córdova è quello che tenta di circuire/ricattare e non quello che subisce. Interpreta un sedicente veggente (il Prof. Jaime Karin) che, per un colpo di fortuna viene a conoscenza di fatti che pensa di poter sfruttare a proprio vantaggio (economico). Ma nessuno dei due ricattati è uno stinco di santo e così inizia un pericoloso gioco a tre, con obiettivi omicidi che si concluderà con interessanti colpi di scena. Rispetto al precedentemente commentato, questo volge più al crime ed alla violenza palese, non subdola. Buon noir con ottimi momenti di suspense.

  

Los hermanos Del Hierro
(Ismael Rodriguez, 1961, Mex)

Nella nota prima classifica dei migliori 100 film messicani (1994) si trovava al 15° posto ed in quella del 2020 resisteva ancora al 22°, nonostante l’ingresso dei nuovi registi compresi los tres amigos (Del Toro, Iñárritu e Cuarón) di caratura internazionale. Uno dei rari film messicani candidati ai Golden Globes (per la regia). Come anticipato, l’evento iniziale (un assassinio a sangue freddo) e il filo conduttore (i figli presenti al fatto quando erano piccoli spinti dalla madre a vendicarsi) possono sembrare banali, ma il rapporto che si sviluppa fra i due fratelli - di carattere quasi completamente opposti e con morali di vita ben differenti – sarà causa di numerosi scontri. Molto ben interpretato, non solo da Columba Domínguez nel ruolo della madre ma anche da Antonio Aguilar che qui non appare nelle sue usuali vesti di attore/cantante. Inoltre, in piccole parti appaiono tanti famosi attori dell’epoca fra i quali Emilio Fernández, Ignacio López Tarso, David Silva e José Elías Moreno. Apprezzabile anche la fotografia (b/n) e l’ambientazione.

El padrecito (Miguel M. Delgado, 1964, Mex)

Questo è uno dei miei preferiti di Cantinflas, trovandosi a metà strada fra i classici che gli diedero fama e quelli con chiari risvolti morali, politici o sociali. Il padrecito è un sacerdote non proprio giovanissimo che ha il suo primo incarico da parroco e dovrebbe sostituire un anziano collega in una piccola cittadina. Per motivi molto diversi si trova ad avere tutti contro: la sorella del parroco, il parroco stesso che non vorrebbe lasciare l’incarico, il ricco possidente che lo raggira e istiga la popolazione ad opporsi al nuovo arrivato. Questa situazione dà luogo ad una serie infinita di gag e di discussioni con personaggi sicuramente peculiari, ma in questo ruolo Cantinflas ha anche modo di reinterpretare a proprio modo religione e sacre scritture secondo la sua logica molto particolare esposta con la solita quasi incomprensibile logorrea.

Su excelencia (Miguel M. Delgado, 1967, Mex)

Molti associano questo film a Il dittatore (1940, di Charlie Chaplin) per la presentazione in chiave satirica della contrapposizione dei grandi blocchi politici, ma se allora si era agli inizi della WWII con i noti schieramenti e con protagonista un dittatore professionista, qui Cantinflas, interpreta un ambasciatore per caso, di una repubblica senza potere economico né militare, in piena guerra fredda. La prima parte è un po’ farraginosa e poco avvincente ma dal momento in cui, esauriti tutti i possibili candidati il funzionario Lopitos viene nominato ambasciatore, la storia prende tutt’altra piega. Si deve conoscere la lingua per apprezzare tutti i nomi dei diplomatici e delle repubbliche che rappresentano, ma alcuni sono facilmente comprensibili. Oltre a ridicolizzare tutte le cerimonie, etichette, onorificenze, ecc. ci sono intrighi, talpe e spie, e nel discorso conclusivo all’Assemblea (ONU) divisa fra rossi e verdi il protagonista non risparmia nessuno. Come tutti gli altri film di Cantinflas si dovrebbe guardare in versione originale.

lunedì 27 dicembre 2021

Micro-recensioni 376-380: noir, crime e dark comedy di qualità

Tre sono diretti dai fratelli Joel e Ethan Coen (maestri del genere) terzo, quarto e sesto della loro ventina di film, anche se il nome di Ethan (il più giovane dei due) spesso non appare e quindi, come regista, viene solo citato uncredited ma è ufficialmente sceneggiatore e produttore. Completano la cinquina un ottimo crime spagnolo di pochi anni fa, che solo per essere tale non ha ottenuto il successo internazionale che avrebbe meritato, e il singolare terzo lungometraggio di Polanski.

 
La Isla Mínima (Alberto Rodríguez, 2014, USA)

Comincio con la presentazione della location, che fornisce anche il titolo. In effetti è solo una piccola parte emersa delle Marismas del Guadalquivir, che comprendono una vastissima area naturale di paludi ai lati del fiume, a sud di Siviglia e fino alla costa, estendendosi anche nelle province di Cadice e Huelva (nel Parque Nacional de Doñana). Viste aeree di esse sono state utilizzate come affascinante sfondo per i titoli di testa (vedi sotto). 

La Isla Mínima è relativamente giovane in quanto un canale (Corta de los Jeronimos, costruito circa 150 anni fa per facilitare la navigazione) la divise dall’isola alla quale apparteneva: Isla Menor (ovviamente, nei dintorni esiste anche la Isla Mayor). A parte questa particolare ambientazione naturale nella quale appaiono spesso tanti uccelli acquatici, risultano interessanti anche il tessuto sociale e le varie attività peculiari dell’area. Venendo alla trama, si tratta di una investigazione su un duplice feroce omicidio, resa particolarmente difficile non solo dall’omertà generale ma anche dal tentativo di nascondere altre attività illecite. Aggiungo anche che i due investigatori, mandati appositamente dalla capitale, non sono proprio degli stinchi di santo. Partecipò a pochi Festival al di fuori di quelli di lingua ispanica, ma dovunque fu presentato fece incetta di riconoscimenti: 60 premi e 43 nomination. Consigliato.

Cul-de-sac (Roman Polanski, 1966, UK) 

Singolare commedia grottesca, con pochi attori e completamente ambientata sulla Holy Island di Lindisfarne, collina collegata alla terraferma con la bassa marea, con l’alta diventa isola. Tre sono i personaggi principali: un rapinatore ferito (Lionel Stander), il proprietario dell’antico castello (Donald Pleasance) e la sua giovane moglie (Françoise Dorléac, sorella maggiore di Catherine Deneuve). Fra l’instabilità dei 3, la particolare location isolata dal resto del mondo, la quantità di volatili sempre presente e le varie visite inaspettate di personaggi altrettanto singolari, le situazioni sono spesso pressoché surreali. Polanski (anche co-sceneggiatore) riesce a rendere scorrevole e pieno di sorprese questo originale film, certamente di non facile gestione. Orso d’Oro a Berlino.

  
Fargo (J. Coen & E. Coen, 1996, USA)

Dopo lo straordinario successo della dark comedy di esordio (Blood Simple, 1984) i fratelli Coen tornano all’eccellenza con questa storia quasi pulp, trasposizione caricaturale di eventi tragici e violenti, in realtà non veri al contrario di quanto affermato nei titoli di testa. In effetti nel film pare ci sia solo una eliminazione di cadavere avvenne realmente in modo simile, ma evito lo spoiler. Abbondano i morti (con varie vittime assolutamente casuali) e non si lesina neanche il sangue, ma chiaramente finto, come quello di Tarantino. Personaggi caricaturali abbastanza fuori di testa, in particolare i due criminali da strapazzo (Steve Buscemi - ripetutamente descritto da testimoni come funny looking guy … e come dar loro torto? - e lo svedese Peter Stormare) assoldati da un inetto rivenditore di auto (William H. Macy) che troveranno però sulla loro strada la serafica l’incittissima poliziotta Frances McDormand che così ottenne primo dei suoi 4 Oscar. Il film ottenne l’Oscar per la sceneggiatura e 5 Nomination (miglior film, regia, fotografia, William H. Macy non protagonista e montaggio); attualmente si trova al i176° nella classifica IMDb dei migliori di sempre.

Barton Fink (Joel Coen, 1991, USA)

Più interessante e più satirico del precedente Miller's Crossing con un minor numero di personaggi e quindi con più possibilità di caratterizzarli. Qui John Turturro, dopo la striminzita parte nel film precedente, ha ruolo di vero protagonista, ma è il co-protagonista John Goodman a prendersi la scena. C’è molta satira in merito all’ambiente hollywoodiano, con produttori, registi, manager e soprattutto sceneggiatori assolutamente ridicolizzati.

Miller's Crossing (J. Coen & E. Coen, 1990, USA)

Troppo parlato e troppo confuso … tutti tradiscono tutti, sindaco e capo della polizia ridicolizzati come inetti yes-man nei confronti di chi è più potente in quel momento, doppiogiochisti, bugiardi e traditori hanno vita facile fin quando qualcuno non li uccide. Non fra i migliori prodotti dei fratelli.

sabato 25 dicembre 2021

Micro-recensioni 371-375: buona cinquina con 3 film e due doc

Mix molto vario per generi e periodi, i film sono accomunati solo la loro pregevole qualità. Si passa dalla pura arte visiva al crime/dramma psicologico e alla violenza dell’ambiente carcerario; dei documentari, uno è oltremodo realistico di argomento sociale e l’altro assolutamente scientifico.

 
Chungking Express (Kar-Wai Wong, 1995, HK)

Uno dei numerosi capolavori del regista simbolo di Hong Kong, che dimostra ancora una volta che si possono realizzare ottimi film senza bisogno di grandi avvenimenti, effetti speciali e masse di attori e comparse. Il suo modo di filmare, giocando con sfocature e tempi di ripresa, utilizzando al meglio colori e commento musicale, e lasciando molto alle intuizioni o all’immaginazione dello spettatore affascina senz’altro chi comprende il suo linguaggio, mentre delude quelli che pretendono fatti certi e visibili. Se non conoscete questo film ma avete avuto modo di apprezzare qualcun altro dei film di Kar-Wai Wong, non ve lo perdete.

Gone Girl (David Fincher, 2014, USA)

Intrigante sceneggiatura di Gillian Flynn, anche se con qualche lacuna, specialmente nella parte finale. Trame simili se ne erano già viste, ma questa è veramente piena di twist e molto articolata … forse troppo. I personaggi principali sono psicologicamente estremi, ma abbastanza credibili, e sono ben interpretati. Non si può dire molto di più per evitare spoiler. Buona anche la regia molto bilanciata che, pur seguendo con attenzione la coppia con tanti brevi flashback e rappresentazioni di bugie dette e scritte, non trascura assolutamente il contorno della vicenda che vede implicati parenti, investigatori, vicinato e giornalisti. Nomination Oscar per la protagonista Rosamund Pike, oltre a 64 premi e 188 nomination, attualmente al 202° posto nella classifica IMDb dei migliori film di tutti i tempi (direi sopravvalutato).

  
Brute Force (Jules Dassin, 1947, USA)

Di Jules Dassin scrissi brevemente nel precedente post a proposito di Night and the City, e ora ho recuperato e guardato quest’altro suo film, di genere ben diverso da quelli immediatamente successivi. L’intera storia si sviluppa all’interno di un carcere, ma con interazioni fra detenuti e fra essi e le guardie non proprio uguali alle stereotipate solite e anche le motivazioni e anche gli sviluppi del tentativo di fuga sono distinti.  Ben diretto da Dassin e ben interpretato da Burt Lancaster e da uno stuolo di buoni comprimari. Accettato il genere, merita una visione.

Voyage of Time: The IMAX Experience (Terrence Malick, 2016, USA)

Con titolo simile sono stati prodotti due diversi documentari sull’evoluzione, intendo quella omnicomprensiva dalla nascita di stelle e pianeti alle prime forma di vita, fino all’universo che conosciamo oggi. Entrambi furono diretti da Terrence Malick ma la struttura è diversa così come la voce narrante: Brad Pitt per questa versione breve di 45 minuti e Cate Blanchett per il lungometraggio di durata doppia (Life's Journey). La scelta delle immagini riprese dal vivo è eccellente (vulcani in eruzione, oceani, vita naturale, deserti e ogni altro tipo di ambiente) e senz’altro hanno il sopravvento su quelle elaborate in studio. I testi (redatti dallo stesso Malick) alternano concetti profondamente filosofici al alcuni quasi poetici, ma poco convincenti. Vale la pena guardarlo soprattutto per le immagini prettamente documentaristiche.   

Narco Cultura (Shaul Schwarz, 2013, USA/Mex)

Documentario coprodotto da USA e Messico, di argomento (come evidenziato dall’esplicito titolo) relativo alle attività illecite e violente legate al traffico di droga fra i due paesi. Attraverso la narrazione di un perito (reale) della polizia messicana si viene a conoscenza delle modalità di esecuzione di buona parte degli omicidi susseguenti alla guerra fra bande rivali. Un’escalation che una dozzina di anni fa vide quasi raddoppiare il numero di morti ogni anno … 3.600 nel 2010, vale a dire 10 omicidi al giorno nelle faide fra narcos che, però, spesso coinvolgevano anche cittadini completamente innocenti. Si parla soprattutto della precarietà della vita a Ciudad Juarez (Mex) in confronto a quella della città gemella oltreconfine (El Paso, città più sicura degli USA, appena 4 omicidi per anno) dalla quale è divisa solo da un muro. Attenzione!: si vedono tanti corpi sfigurati e morti veri, tanto sangue altrettanto vero; immagini non consigliate per i più sensibili, ma sia chiaro, assolutamente reali.

mercoledì 22 dicembre 2021

Nuova mappa di Sorrento con gli itinerari del TOLOMEO 2021

È andata in stampa la nuova mappa degli Itinerari pedonali del Comune di Sorrento, aggiornata con i nuovi percorsi aggiunti e/o variati rispetto al precedente Progetto TolomeoOvviamente, la cartina riporta i nuovi codici a due cifre ed i colori che i camminatori già hanno potuto notare sulle quasi 100 mattonelle in ceramica smaltata apposte lungo gli stessi mesi addietro. 


Dei 9 itinerari con origine da Sorrento, due sono circuiti (uno cittadino - 11 - e l’altro collinare - 22) mentre i rimanenti 7 congiungono la cittadina con Sant’Agnello, Massa centro (2), Monticchio e Sant’Agata (3). Ma ci sono ulteriori 4 itinerari che si sviluppano invece nella parte alta del territorio: due hanno origine dal circuito Borghi della Valle di Sorrento e conducono rispettivamente a Colli di Fontanelle e Sant’Agata, mentre gli altri attraversano le zone che si affacciano anche sul versante meridionale. Uno corre lungo lo spartiacque fra i golfi lambendo la Pineta delle Tore e l’altro è la sezione Colli di FontanelleTorca dell’Alta Via dei Monti Lattari (CAI 300), itinerario di oltre 70km che collega Corpo di Cava (Cava de’ Tirreni) a Termini (Massa Lubrense) ed è stato incluso nel Sentiero Italia (SI), progetto di livello europeo con circa 7.200km fra le Alpi e le isole maggiori.


Il TOLOMEO 2021, nuovo aggiornamento sostanziale dell’originale del 1990, mira alla valorizzazione del centro storico, della zona collinare immediatamente a monte (per lungo tempo colpevolmente trascurata) e dell’area di Priora che, essendo quasi baricentro fra Sorrento, Massa e le sue frazioni Monticchio e Sant’Agata, è ora interessata da vari nuovi itinerari (stralcio nell'immagine di apertura). Non è stata trascurata la parte prospiciente il margine della piana di Sorrento, con il percorso 19 che congiunge piazza Tasso con il centro di Sant’Agnello passando per tutti i belvedere accessibili.


La facciata opposta è occupata invece dalla ristampa della mappa del centro, aggiornata e arricchita con l’evidenziazione del circuito urbano 11 delle Mura e Porte di Sorrento. Di questo itinerario è in corso la progettazione della segnatura, certamente più problematica di quelle degli itinerari extraurbani ... comunque è già interamente percorribile servendosi della mappa.

domenica 19 dicembre 2021

Micro-recensioni 366-370: neo-noir scarsi e quasi-noir di qualità

I neo-noir (del 1978 e 1983) contano su protagonisti di un certo livello Robert Mitchum e James Caan che interpretano malviventi stanchi della loro vita rischiosa e desiderosi di chiudere la loro carriera; dei 3 del periodo classico ('42' 47 e '50) uno è al limite del fantasy horror poi diventato cult, tanto da meritate sequel e remake, segue un film di Carol Reed ambientato in Irlanda nel quale si possono intravedere idee per il successivo ottimo The Third Man (1949) ed il terzo è una co-produzione UK/USA ambientata a Londra affidata alla solida direzione di Jules Dassin. Notate la “fantasia” dei titoli italiani, in pratica solo uno è traduzione dell’originale.

 
Odd Man Out (Carol Reed, 1947, UK) tit. it. Fuggiasco

Notevole interpretazione di James Mason, attore spesso sottovalutato, nei panni di un capo nazionalista irlandese in fuga. Ottima la sceneggiatura che, dopo un breve preambolo, descrive le peripezie del protagonista ferito (ben noto in città) che si imbatte in una serie di personaggi particolari; quasi tutti lo vorrebbero aiutare (o comunque non hanno intenzione di denunciarlo) ma non essendo attivisti temono le conseguenze. Passa da un nascondiglio all’altro, da una casa a un bar e ad uno studio di un pittore, trascinandosi a piedi o in veicoli di fortuna, sotto pioggia e nevischio. Specialmente le riprese notturne in esterno con lunghe ombre che si agitano sui muri ricordano quelle che poi perfezionerà in The Third Man (1949). Il cast comprende anche tanti ottimi caratteristi; Nomination Oscar per il montaggio, BAFTA come miglior film inglese dell’anno.

Night and the City (Jules Dassin, 1950, UK/USA) tit. it. Nella città la notte scotta

Jules Dassin, americano di origini russo-ebree, si è sempre diviso fra USA ed Europa, dopo aver studiato recitazione in svariati paesi europei, lavorò a New York come attore poi regista a Hollywood cominciando come assistente di Hitchcock. Si fece apprezzare per Brute Force (1947) e The Naked City (1948) e poi, subito dopo aver girato questo film, fu accusato di essere comunista e tornò in Francia dove diresse il noto: Du rififi chez les hommes (1955, 8.1 e 92%, premiato a Cannes). Qui un bravo Richard Widmark interpreta un intrallazzatore, truffatore di basso rango ma con grandi idee. Per un caso fortuito entra nel giro degli incontri di wrestling di alto livello ma, ovviamente, non tutto andrà come da programma. Ambientato e girato a Londra, conta su star americane (c’è anche Gene Tierney) ed un nutrito gruppo di buoni caratteristi inglesi fra i quali si distingue Francis L. Sullivan.

  
Cat People (Jacques Tourneur, 1942, USA) tit. it. Il figlio della notte

Jacques Tourneur è un altro regista poco noto ma che ha diretto film notevoli, in generi molto diversi. Parigino, figlio d’arte, immigrò a Hollywood con il padre regista, fu attore e diresse corti, poi vari film ma con questo Cat People raggiunse la notorietà. Il suo miglior film fu senza dubbio il noir Out of the Past (1947, con Robert Mitchum), ma subito dopo iniziò la sua fase discendente (pare per alcoolismo) e fu relegato a dirigere B-Movies con budget molto risicati, che tuttavia riusciva a concludere in modo molto migliore della media.

The Friends of Eddie Coyle (Peter Yates, 1973, USA) tit. it. Gli amici di Eddie Coyle

Questo neo-noir, come l’altro, nonostante i buoni rating e l’interpretazione di Robert Mitchum è ben altra cosa rispetto ai classici. Il colore non aiuta, così come la modernità della storia e la tecnologia. Il protagonista vorrebbe concludere bene la carriera ma si trova fra doppiogiochisti, informatori e concorrenti. Storia lenta e abbastanza prevedibile, che vede come co-protagonisti Peter Boyle e Richard Jordan.

Thief (Michael Mann, 1981, USA) tit. it. Strade violente

Il più deludente del gruppo, inutilmente stiracchiato (specialmente le poco interessanti sequenze degli scassi) e con un finale che lascia molto perplessi. James Caan è un criminale indipendente, artista dello scasso di casseforti, che ad un certo punto si trova incastrato da una gang ben organizzata di ricettatori e, come se non bastasse, anche dei poliziotti corrotti vorrebbero la loro parte. La storia romantica appare estremamente poco plausibile ed il contorno ancor di meno. Evitabile.

lunedì 13 dicembre 2021

Micro-recensioni 361-365: ultimo indiano e 4 noir USA classici

Praticamente 5 noir, due dei quali uniti da nome e soggetto e uno di essi è collegato ad un altro per ruolo della cattiva stampa (quella scandalistica) che ad arte accende gli animi diffondendo notizie più o meno distorte e/o voci non confermate.

 
Fury (Fritz Lang, 1936, USA) tit. it. Furia

Primo film di Lang oltreoceano, con un tema che qualcuno vuole assimilare a quello di M – il mostro di Dusseldorf (1931) anche se il delitto in questione è di differente tipo. Il lingiaggio al quale si assiste non è di quelli visti e rivisti in tanti film, di stampo razzista, portati a termini per strada o casomai di notte con tanto di incappucciati e croci in fiamme. Qui sono tutti bianchi e si tratta semplicemente di feroce vendetta verso un sospettato, ancora non processato e tantomeno colpevole. Sembra singolare che le immagini che vengono proposte per descrivere l’assalto alla prigione al centro della cittadina somiglino tanto a quelle viste in tutto il mondo neanche un anno fa, con una massa di esagitati (donne comprese) che hanno la meglio su uno sparuto gruppo di tutori della legge e distruggono tutto ciò che trovano (visto anche in Italia poche settimane fa). In 85 anni niente è cambiato ed il protagonista Joe Wilson (Spencer Tracy) ha perfettamente ragione quando afferma: The mob doesn't think. It has no mind of its own. (La folla non pensa. Non ha una sua propria mente). Nomination Oscar per la sceneggiatura.

The Sound of Fury (Cy Endfield, 1950, USA) aka Try and Get Me! - it. L'urlo della folla

Il regista fu uno di quelli che a causa del maccartismo decise di venire oltreoceano (in UK) per continuare a lavorare alla luce del sole, mentre altri abbandonarono la professione o operarono sotto falso nome (fra i più famosi il regista Edward Dmytryk e lo sceneggiatore Dalton Trumbo), percorso inverso a quello che effettuarono tanti mitteleuropei (specialmente se di origine ebrea) negli anni ’30 e, per nostra fortuna, migliorarono la qualità media dei prodotti hollywoodiani. Prima di dirigere i suoi primi corti Cy Endfield ebbe occasione di apprendere molto da Orson Welles il quale si era interessato a lui per la sua abilità nella micromagia, arte della quale era appassionato. Questo è il secondo e ultimo lungometraggio USA ed ha in comune il soggetto con l’appena commentato Fury: un linciaggio moderno, con assalto alla prigione del distretto di polizia. In questo caso buona parte della colpa viene attribuita a giornalista che, pur senza elementi certi, aizza i più facinorosi che a loro volta scaldano gli animi della folla.

  
Scandal Sheet (Phil Karlson, 1952, USA) tit. it. Ultime della notte

Sono sempre stato affascinato dai tempi della stampa americana, cioè dai quotidiani che in presenza di notizie fresche e di interesse delle masse (specialmente quelle scandalistiche) stampavano più edizioni al giorno per poi mandarle subito in vendita con l’aiuto degli strilloni. Un giornale di questo tipo ha un nuovo redattore capo privo di scrupoli che mira solo ad aumentare le vendite, contro l’opinione dei tradizionali proprietari ma appoggiato da aspiranti giornalisti rampanti. Le cose si complicano quando lui stesso si troverà invischiato per puro caso in una storia da prima pagina. Buon noir non convenzionale.

Somewhere in the Night (Joseph L. Mankiewicz, 1946, USA) tit. it. Il bandito senza nome

Soggetto apparentemente semplice: un militare torna dal Pacifico con una amnesia totale; ha solo un nome e pochissimi indizi per ricostruire la propria identità. La sceneggiatura diventa così molto intricata, piena di sorprese e con tanti personaggi che mentono continuamente e a ragion veduta in quanto sono in ballo 2 milioni di dollari, scomparsi tre anni prima. Quasi nessuno è certo della vera identità degli altri e ancor meno sono chiari i loro ruoli. Nel corso del film aumentano costantemente i misteri e i morti; una buona sceneggiatura originale scritta in parte dallo stesso regista. Consigliato.

Don't Cry for Salim (Saeed Akhetar Mirza, 1989, Ind)

Un piccolo delinquente di basso livello, appoggiato da due compari più scalcagnati di lui, giustifica le sue attività per aiutare la famiglia, con padre disoccupato e sorella da sposare. Dopo aver disprezzato in un primo momento il possibile sposo (colto e musulmano, ma con scarsi mezzi economici) si rende conto che molti dei propri valori sono sbagliati. Tenterà di uscire dal giro e riabilitarsi con un lavoro onesto ma, si sa, lasciare tale ambiente non è facile, in nessuna parte del mondo. Come mostrato in molti altri film dell’epoca, la questione della divisione fra hindu e musulmani, anche dopo la scissione del Pakistan (di religione islamica) dall’India (hindu), è stato causa di attriti, ripicche e anche tanti atti violenti. Nel film glia argomenti divisivi religiosi si uniscono quindi a quelli della piccola criminalità che taglieggia anche i più poveri.

venerdì 10 dicembre 2021

Micro-recensioni 356-360: Indian Parallel Cinema e drammi europei

L'India è qui rappresentata da 3 film di Shyam Benegal, uno dei più rappresentativi registi del Parallel Cinema, che ha spaziato in vari generi mettendo quasi sempre al centro della narrazione storie inusuali per lo standard delle produzioni nel suo paese e soprattutto storie di donne, con ruoli spesso affidati alle sue attrici preferite, come la arcinota Smita Patil, femminista attivista nella quale ho già parlato in occasione di Mirch Masala e Shabana Azmi che con lui esordì (già come protagonista) in Ankur (1974). Benegal lanciò anche molti nuovi attori cinematografici attingendo alle scuole teatrali e quindi potette contare quasi sempre su ottimi cast; vari di loro (come per esempio Naseeruddin Shah e Amrish Puri) negli anni successivi diventarono poi vere e proprie star partecipando sia a produzioni internazionali (p.e. Ghandi) che a film in stile Bollywood. Gli altri due film sono una un dramma rumeno, al quale sono arrivato per avere come protagonista Luminita Gheorghiu, già apprezzata in Il caso Kerenes, e un film danese vincitore di Oscar.

 

Bhumika - The Role
(Shyam Benegal, 1977, Ind)

La protagonista che dà nome al film è una giovane donna impulsiva, quasi irrazionale, spesso autolesionista, ma anche remissiva, in cerca di indipendenza, ruolo che calza a pennello a Smila Patil femminista anche nella vita reale e icona del Parallel Cinema indiano. La storia è in parte ispirata a quella di una famosa star teatrale e cinematografica degli anni ’40, Hansa Wadkar, che condusse una vita relativamente sregolata, certamente non convenzionale per la sua epoca. Inserito nella programmazione del recente Festival di Bologna Il cinema ritrovato 2021.

Mandi - Market Place (Shyam Benegal, 1983, Ind)

Singolare commedia drammatica quasi tutta al femminile visto che le protagoniste sono le donne che vivono in un grande caseggiato-bordello, in parte mascherato come casa dove si esibiscono ballerine e cantanti classiche indiane. Gli uomini sono invece coprotagonisti e fra loro si contano avventori, il poliziotto corrotto, un fotografo in continuo caccia di foto osé e non solo, il tuttofare del bordello perennemente ubriaco, ricchi imprenditori e politicanti. Unica donna esterna alla casa è una moralizzatrice che fa di tutto per cacciare le prostitute dal paese e chiudere il locale. Non mancano storie e fughe d’amore e preparativi per un matrimonio in questo film ben bilanciato per quasi tutta la durata circa 2 ore e mezza che però si perde un poco nel finale. Si lascia comunque guardare molto piacevolmente per la buona sceneggiatura e un cast di ottimo livello. Una volta fatto l'orecchio allo stile di canto tipico indiano, con voci femminili molto acute, anche le numerose canzoni spesso accompagnate da balli risultano ben inserite nel contesto generale.

  
The Seventh Horse of the Sun (Shyam Benegal, 1992, Ind)

Tratto dall’omonimo romanzo di Dharmavir Bharati, vinse il premio come miglior film dell’anno e su IMDb vanta un significativo 8.0. Si seguono in successione le storie intrecciate di tre giovani donne che ebbero in comune una parte di vita, raccontate da un coetaneo che ebbe a che fare con loro e che le descrive a tre amici, uno dei quali è poi il vero narratore dell’intero intreccio. Molto interessante la costruzione non lineare ed il ritrovare di volta in volta gli stessi personaggi nelle stesse situazioni approcciate però da percorsi e punti di vista diversi. Ancora una volta sono le donne le protagoniste dei film di Benegal, in ruoli molto diversi e rappresentanti classi sociali altrettanto diverse. Anche questo merita la visione.  

The Death of Mr. Lazarescu (Cristi Puiu, 2005, Rom)

In alcuni punti, se non trattasse di situazioni estremamente drammatiche di malasanità, potrebbe quasi sembrare una commedia … eppure, a quanto si legge spesso, sono cose che capitano in molti sistemi sanitari pubblici. Protagonista del film è un anziano bevitore, già operato di ulcera, che chiede l'intervento di un'ambulanza accusando vari preoccupanti disturbi. Dopo aver ottenuto (con non poche difficoltà) di essere prelevato da un furgone adattato ad ambulanza con sola infermiera a bordo oltre all’autista, inizia una peregrinazione notturna fra pronto soccorso, ospedali senza disponibilità di letti o specialisti, diagnosi contrastanti. Le buone volontà di taluni si scontrano con la saccenteria di medici arroganti e il menefreghismo di altri, in una serie di situazioni quasi kafkiane nelle quali anche la burocrazia ha la sua parte. Ottimo dramma, forse più lungo del necessario, ben interpretato, tristemente realistico (anche se certamente rappresenta una minoranza di casi). Premio Un Certain Regard a Cannes.

In un mondo migliore (Susanne Bier, 2010, Den)

Ben realizzato e ben interpretato (anche dai due ragazzini) sembra però dimostrare la falsità dell'idea della perfetta vita sociale dei paesi scandinavi. Ancora una volta la storia gira attorno a violenze, problemi di relazione (qui manca l’alcolismo). Anche se si tratta di un caso forse estremo, si espone chiaramente il contrasto fra un benpensante medico volontario in Africa fra guerriglieri e rifugiati che si trova a fronteggiare in patria una violenza simile se non peggiore in quanto inaspettata e immotivata in un paese che si presuppone civile. A partire da avvenimenti routinari di bullismo scolastico si sviluppa una spirale di violenza e di esagerata e pericolosa rappresaglia che viene anticipata nel titolo originale danese Hævnen, C’è da sottolineare che la traduzione letteralmente sarebbe rivincita o vendetta, quindi un significato ben diverso, quasi completamente opposto, da quello del titolo internazionale. Non mi ha particolarmente entusiasmato, l’Oscar come miglior film straniero è forse giustificato dal non avere avuto valida concorrenza.

domenica 5 dicembre 2021

Marathon Sorrento – Positano? e Massa Lubrense?

Oggi si sono disputate in contemporanea la Ultramarathon Sorrento – Positano una 2/3 di maratona (27 km) definita Panoramica chiudendo al transito veicolare parecchie strade principali della Penisola Sorrentina (delle poche esistenti) e bloccando di fatto quasi tutte comunicazioni del territorio comunale di Massa Lubrense, ma ciò pare essere considerato problema minore e quindi trascurabile. L'immagine che segue è tratta da Google.

I media citano solo e sempre Sorrento e Positano anche se, a onor del vero, sul sito dell'organizzazione si legge: ... e la splendida Massa Lubrense.


La viabilità della parte estrema della Penisola Sorrentina da decenni è soggetta a continue chiusure, più o meno brevi e per tratti più o meno lunghi, per processioni, gare ciclistiche (da gare regionali allievi a Giro d’Italia e Giro della Campania), gare automobilistiche e via discorrendo, alcune con ricadute d’immagine positive, ma in altri casi arrecando danni ad alcune categorie (soprattutto ristoratori) conseguenti all’impossibilità di raggiungere detti esercizi. 

Non voglio entrare assolutamente nella polemica (già cavalcata da tanti) del caso specifico, ma voglio aggiungere un ulteriore punto di vista, secondo me non secondario, in merito ai due percorsi della Sorrento - Positano. La differenza consisteva nel fatto che, dal bivio 2 Golfi (nelle vicinanze di Sant’Agata), l’Ultra prevedeva una andata e ritorno fino a Positano per poi avere in comune con la Panoramica gli ultimi 18km circa. In sostanza le parti comuni ai due percorsi ricadenti in territorio lubrense hanno uno sviluppo di 15,6km (fra il Grand Hotel Hermitage e il Best Western La Solara) passando per Sant'Agata, Termini e Massa centro, equivalente al 60% della distanza totale della Panoramica e il 30% dell’Ultra.

Di conseguenza, considerati tali valori, non sarebbe stato il caso di mettere almeno un po' più in evidenza il nome di Massa Lubrense? Gli amministratori che hanno approvato i percorsi, hanno messo a disposizione Polizia Municipale e Protezione civile, hanno consentito di limitare la mobilità di cittadini e visitatori e di bloccare alcune attività (soprattutto del settore turistico), nonché impedire le giuste tradizionali riunioni familiari domenicali, non avrebbero potuto pretendere di più?

Se è vero come è vero che molte manifestazioni sono espressamente finalizzate alla promozione, ed è quindi comprensibile l’utilizzo del nome di Positano come attrattore (anche se i podisti non ne raggiungevano l’abitato ma tornavano indietro dal bivio Montepertuso/Nocelle), perché non si è colta l’occasione di promuovere (a ragion veduta) il nome di Massa Lubrense?

E come vedete sul Corriere dello Sport (certo non un giornalino locale) già prima della gara c'erano tre titoli che riportavano i nomi di Sorrento e Positano ... non sarebbe stato bello, opportuno e giusto aggiungere anche Massa Lubrense

giovedì 2 dicembre 2021

Micro-recensioni 351-355: buon mix di film particolari e Clint Eastwood

Oltre a due commedie coreane fra il dark e il drammatico, nel quadro di una cinematografia che ormai da un paio di decenni riserva continue buone proposte, spesso molto originali, in questa cinquina ci sono un ottimo dramma rumeno (vincitore dell’Orso d’Oro alla Berlinale 2013) e due stranissime coproduzioni (una addirittura di 7 paesi diversi) ambientate in area e tempi di rivoluzione / guerra rispettivamente in Yemen e Afghanistan.

Approfitto di questo post per suggerire di nuovo di evitare la visione di Cry Macho, ultimo film di Clint Eastwood (nel senso di più recente, ma se deve continuare così è meglio che sia l’ultimo in assoluto) che oggi esce in alcune sale italiane. Si tratta di una pappolata melensa, peggiorata da un doppiaggio più indegno del solito (è sicuro che i doppiatori italiani siano i migliori? Forse è perché in pochi altri paesi si doppiano i film). Già ne scrissi un mesetto fa avendo avuto occasione di guardarlo (in v.o.!) in Portogallo … sconfortante per i sostenitori del buon Clint. "Ufficialmente insufficiente" sia su IMDb che su RT.

 

Il caso Kerenes (Cãlin Peter Netzer, 2013, Rom)

Non è il primo film rumeno moderno che guardo e devo dire che tutti mi hanno lasciato più che soddisfatto per la messa in scena, la sceneggiatura (di solito drammatica) e per l’ottima qualità dei cast che sono costituiti da attori veri, senza avvenenti vamp e/o fusti bellocci. In questo film, fra tanti buoni coprotagonisti, spicca Luminita Gheorghiu, icona del teatro e cinema rumeno, morta pochi mesi fa all’età di 71 anni. La trama ruota attorno ad una madre (architetto) che con la sua rete di amicizie fra politici, burocrati e altri professionisti cerca di evitare la galera a suo figlio che ha investito e ucciso un ragazzino. Tutto ciò in un clima tutt’altra che sereno fra i membri della famiglia. In questo film lo stile del regista Netzer è molto vicino al Dogma 95, con tanta handycam e presa diretta, e ha vinto Orso d’Oro e Premio FIPRESCI alla Berlinale 2013. Da non perdere. Curiosità: nel corso della festa all’inizio del film si sentono solo due canzoni: Senza giacca e cravatta interpretata da Nino D’Angelo e Meravigliosa creatura da Gianna Nannini

Castaway on the Moon (Hae-jun Lee, 2009, Kor)

Commedia grottesca al limite del surreale che vede un suicida fallito che si ritrova su un isolotto deserto al centro del fiume Han che scorre fra i grattacieli di Seul, ma non riesce ad abbandonarlo in alcun modo. Egualmente isolata, ma per propria scelta, è una ragazza che si è autoreclusa in una stanza di un appartamento nel quale vive con la famiglia, ma senza contatti diretti. In un modo inaspettato ed estremamente singolare riescono a comunicare. Fra situazioni esagerate, critiche sociali, problemi reali del naufrago e comportamento estremamente eccentrico ma molto creativo della ragazza, il film scorre piacevolmente ed in modo arguto, con pochissime pause. In Italia è arrivato al Udine Far East Film Festival, dove ha vinto 2 premi. Consigliato.

  
The Reluctant Revolutianory (Sean McAllister, 2012, UK)

Ottimo docufilm girato a Sana’a e dintorni nel 2011, nel periodo delle manifestazioni che culminarono con l’eccidio di 52 manifestanti inermi da parte delle forze governative il 28 marzo, avvenimento con il quale si conclude il film mostrando proiettili veri, sangue vero, morti veri. Il periodo è quello complessivamente noto come Primavera araba, che per un paio di anni vide manifestazioni di protesta pacifiche o violente in numerosi stati del vicino e medio oriente, soprattutto in Tunisia, Egitto, Libia, Siria, Iraq oltre che in Yemen. Ciò che lo distingue da un documentario vero e proprio è il fatto che McAllister si muove sempre insieme con un tour operator e proprietario di un piccolo hotel, che gli fa da guida e interprete e con il quale discute e scambia opinioni. Tutto è girato con una piccola telecamera che in più occasioni deve essere velocemente nascosta. Si tratta quindi di una visione dall’interno che mette in luce i problemi economici e familiari della guida, nonché quelli politici degli yemeniti.

Microhabitat (Jeon Go-Woon, 2017, Kor)

Altro film coreano che evidenzia i problemi quotidiani, specialmente dei giovani, che devono combattere con aumenti continui di beni e soprattutto alloggi, la pressione del lavoro, il quasi obbligo di avere successo. Qui la protagonista è una ragazza che mal si adatta a tutto ciò, si accontenta di lavorare come domestica ad ore ed i suoi unici conforti (che comunque sembrano soddisfarla) sono le sigarette e un bicchiere di whisky … ma anche questi generi aumentano in continuazione. Lasciato il piccolo appartamento nel quale viveva, comincerà a vagare da una casa all’altra ospitata da amici, ma non tutti sono veramente tali. Pur essendo frutto di una scelta, la vita della protagonista risulta essere un po’ triste e deprimente; film ben realizzato.

The Orphanage (Shahrbanoo Sadat, 2019, Den/Lux/Fra/Ger/Afg/Kor/USA)

Molto deludente, da quanto letto nella presentazione su MUBI, nonché nei commenti su IMDb e per il generosissimo 91% di rating su RT, mi aspettavo qualcosa di molto più brillante. L’idea nasce da una lunghissima raccolta di memorie di Anwar Hashimi (amico della regista, scrittore e attore) ma si sviluppa solo in un breve periodo del 1989, quando i sovietici si preparavano ad abbandonare l’Afghanistan lasciandolo nelle mani dei mujaheddin, all’epoca finanziati e sostenuti anche dagli USA, e fra i quali operava anche Osama Bin Laden creando Al-Qaeda. La parte interessante è nel vedere il tentativo di sovietizzazione, con insegnamento del russo nel collegio, dove convivevano ragazzi e ragazze, queste addirittura in gonne abbastanza corte … incredibile vedendo il paese oggi, dopo 30 anni. Purtroppo le relazioni fra gli studenti ricalcano i soliti cliché  e le rappresentazioni in stile Bollywood dei sogni del protagonista (che tanto vengono lodate in varie recensioni) risultano banali e lasciano il tempo che trovano. La regista è una giovane afghana (classe 1990) che si era già fatta notare con Wolf and Sheep (2016). Da non confondere con l'omonimo (ma solo in inglese) buon film di J.A. Bayona del 2007.