domenica 25 settembre 2022

Microrecensioni 276-280: comedias negras di Berlanga e drammi di J. A. Bardem

Come burlare la censura franchista … fra i maestri di questa attività, oltre ai due registi menzionati nel titolo del post è indispensabile citare Rafael Azcona, frequente collaboratore di Berlanga (fra quelli di questo gruppo per Placido e per El verdugo), ma anche di Marco Ferreri che proprio in Spagna diresse El pisito (1958) e El Cochecito (1960), scritti a quattro mani con lui. Una analisi di alcuni di questi film, ottimi esempi di come arguti e abili registi riuscirono a aggirare la censura del regime del Caudillo Francisco Franco barcamenandosi fra realismo e commedia, è ben esposta nel saggio Disidencia en el franquismo

 

Placido
(Luis Berlanga, Spa, 1961)

Secondo film spagnolo candidato Oscar fra gli stranieri, dopo il drammatico La venganza di Bardem (1959). Scoppiettante comedia negra che più negra non si può, quasi in tempo reale, nel senso che tutti gli eventi avvengono durante una concitata vigilia di Natale in una cittadina di provincia. Il protagonista, Placido, utilizza il suo motociclo a 3 ruote per qualunque lavoro, trasportando cose, persone e perfino un morto. Per questo giorno speciale il motocarro è abbellito con ghirlande per essere di appoggio ad una manifestazione di beneficenza che vede impegnate alcune attrici venute dalla capitale e messe all’asta per averle come ospiti per la cena della vigilia. Oltre ai soldi così raccolti per beneficenza, gli organizzatori hanno previsto che famiglie benestanti ospitassero un indigente (povero, senzatetto o anziano dell’ospizio). In questo ambito inizia, e prosegue fino al termine, il dramma di Placido che deve pagare una cambiale per non farsi pignorare il veicolo. In questa storia Berlanga e Azcona hanno dato libero sfogo alla loro geniale fantasia e satira creando tante situazioni diverse nelle quali appaiono una miriade di personaggi reali ma tendenti al grottesco, prendendo in giro (per quanto consentito dalla censura) le ipocrisie del perbenismo, della religione e della burocrazia nei confronti dei meno fortunati. Film da guardare e ascoltare con attenzione poiché ogni gesto, ogni sguardo e ogni parola è significativo. Nomination Palma d’Oro a Cannes.

El verdugo (Luis Berlanga, Spa, 1963) tit. it. La ballata del boia

Un film geniale realizzato alla perfezione, ancor più pregevole se si considerano ambiente e periodo storico, ma gran merito va senz’altro attribuito agli sceneggiatori (lo stesso Luis Berlanga e il sempre sorprendente Rafael Azcona, con la collaborazione ai dialoghi di Ennio Flaiano). Senza dire troppo della trama, voglio comunque accennare a questa storia di un necroforo (evitato dai più) che si innamora della figlia del boia (e per questo evitata da tutti). Queste sono le ottime premesse per un eccezionale comedia negra in puro stile latino. Per questioni familiari, economiche e sociali, l’anziano verdugo vuole che il genero (assolutamente contrario ad ogni forma di violenza) prenda il suo posto. Per amore José Luis Rodríguez (Nino Manfredi) arriverà, seppur controvoglia, alla sua prima esecuzione? Grazie a questa incertezza, la seconda parte del film diventa quasi un thriller. Fra i protagonisti si fanno notare anche l’ineffabile José Isbert, Emma Penella, l’onnipresente José Luis López Vázquez. Premio FIPRESCI e Nomination Leone d’Oro a Venezia.

  
Bienvenido Mr. Marshall (Luis Berlanga, Spa, 1953)

Questo è un film cult apprezzato anche oltreconfine per la furbizia e l’acume con i quali riuscì a rappresentare personaggi, mestieri, ambiente e i vari responsabili dei poteri senza incorrere in troppi ostacoli, che comunque ci furono. La cosa non era facile in quanto nel film compaiono il Delegado General (portavoce delle disposizioni della dittatura), l’alcalde, il parroco, l’hidalgo senza un soldo ed eterno bastian contrario; si parla anche (come intuibile dal titolo) del non sempre efficace Piano Marshall e quindi degli americani ... che protestarono per l’allusione di una bandiera portata via dalla corrente. Durante i primi 7 minuti la voce narrante di Fernando Rey mostra i vari ruoli dei protagonisti, ma descrive anche le attività di farmacista, maestra e allievi, autista della corriera, barbiere, impresario con cantante al seguito, banditore con l’immancabile trombetta e via discorrendo. L’ora e poco più del resto del film è pieno di battute sagaci ed equivoci, fino ad arrivare al mesto eppure significativo finale. L’unica parte secondo me discutibile è quella onirica, nella quale Berlanga mostra sogni e incubi dei vari protagonisti durante la notte prima dell’arrivo degli americani. Spunti geniali si alternano a idee banali e talvolta scontate. Bienvenido Mr. Marshall si rifà in parte al neorealismo, ma all’epoca non si poteva eccedere in quanto era assolutamente proibito di mostrare povertà e situazioni disdicevoli per il governo, ma c’è anche un evidente omaggio al cinema classico russo con un perfetto piano Pudovkin (folla di persone con cappelli, ripresi di spalle). 2 premi e Nomination al Gran Prix a Cannes.

Muerte de un ciclista (Juan Antonio Bardem, Spa, 1955) tit.it. Gli egoisti

Dramma psicologico che colpisce una coppia di amanti della ricca borghesia dopo che questi hanno investito e ucciso un ciclista, lasciandolo sul posto (non è uno spoiler, è la prima scena). Il rimorso e dubbi che li attanagliano, aggravati da un vago tentativo di ricatto di una comune conoscenza, li portano sull’orlo di una crisi di nervi. Molto ben girato, il film include una scena a mio parere esemplare dal punto di vista didattico: durante una festa il possibile ricattatore parla separatamente con il marito della donna, con questa e con il suo amante, ma non si percepisce una sola parola. Eppure le sensazioni sono perfettamente descritte con una serie di primi piani e sguardi che i 4 a turno si scambiano, comunicando preoccupazioni, minacce, dubbi, cenni di complicità. Essenza del cinema, altro che effetti speciali. Juan Antonio Bardem (nato in una famiglia di attori e cineasti, zio di Javier) ha diretto vari film notevoli, e ne ha sceneggiato molti altri, anche questi di buon livello.

Calle Mayor (Juan Antonio Bardem, Spa, 1956)

In questo dramma neorealista, più che la vena drammatica risalta quella amara in quanto niente di ciò che accade è ineludibile o dovuto a pura sfortuna, ma è conseguenza della superficialità, dei vincoli del conformismo e soprattutto della cattiveria umana e della mancanza di principi morali. Un tardivo ripensamento del protagonista non riuscirà a sanare la situazione, ormai spinta troppo all’estremo, e quindi qualunque “soluzione” lascerà conseguenze per niente piacevoli, forse disastrose. L’ambiente è quello di una cittadina qualunque, in una qualunque regione con differenti problemi sociali (come dice la voce narrante all’inizio del film); i vitelloni locali, nullafacenti, perditempo e privi di alcuna considerazione per gli altri (la scena iniziale è eloquente). Per prendere in giro una zitella, nei suoi confronti architettano un piano forse peggiore del bullismo, l'illudono per poi umiliarla ... situazione certo sfruttata anche in altri film, di solito conseguenza di stupide scommesse. Betsy Blair (Nomination Oscar per Marty, 1954) qui, stranamente, interpreta di nuovo la zitella di buona famiglia e sani principi, ma in questo caso, dopo essersi illusa di aver trovato l'amore della vita dovrà presto ricredersi. Ottima la sceneggiatura (dello stesso Bardem) che, oltre a rappresentare egregiamente un certo tipo di società piccolo-borghese di provincia, inserisce anche vari espliciti riferimenti alla censura spagnola e anche al famoso Hays Code americano. Per aver preso posizione contro la censura, Bardem fu arrestato proprio mentre girava Calle Mayor ... qualcuno dice che il fatto lo aiutò ad avere successo internazionale. Presentato al Festival di Venezia, ottenne 3 Premi e fu preso in seria considerazione per l’attribuzione del Leone d’Oro, che tuttavia quell’anno non fu assegnato.

martedì 20 settembre 2022

Microrecensioni 271-275: tante differenze di genere

Gruppo non convenzionale, in cui il “genere” ha la sua importanza: tre film sono diretti da donne (due fra le poche indiane cineaste del secolo scorso e uno è di 10 anni fa, diretto dalla prima regista ufficiale dell’Arabia Saudita). Dei rimanenti 2, ancora uno è indiano, diretto da un’icona della locale comunità queer, sempre dichiaratamente dalla parte degli LGBT, e l’altro è un famoso film americano che propose (abbastanza esplicitamente) uno stupro omosessuale maschile.

 
Wadjda (Haifaa Al-Mansour, SAU, 2012)

Dall’anticipazione è chiaro che si tratta di un esordio, per niente facile … pensate che Haifaa Al-Mansour fu costretta a dirigere le scene esterne con una presenza eccessiva di uomini da un van posizionato nelle vicinanze, avendo accesso alle riprese trasmessele in diretta! Visto che le fu permesso di girare e che il suo film fu la proposta araba per gli Oscar c’è da credere che quando mostrato sia abbastanza vero e forse addirittura edulcorato. Si viene così a conoscenza delle rigide regole di una scuola femminile in merito ad abbigliamento e contatti, di cosa possono (e soprattutto NON possono) fare le donne, di cosa si può parlare e di cosa cambia nel privato. La protagonista è una ragazzina un po’ ribelle che, per ottenere i soldi per il suo ingenuo sogno proibito (La bicicletta verde, titolo italiano) accetta suo malgrado di partecipare ad una gara di recitazione di Corano. L’inusuale rapporto fra i suoi genitori, la frequentazione del suo amichetto, i suoi confronti con le sue compagne di scuola e la rigida preside forniscono una marea di spunti per mostrare (seppur molto vagamente) com’è complicata e limitata la vita delle donne arabe, anche quella che vivono in ambienti apparentemente benestanti e moderni. Fra i vari riconoscimenti, i più prestigiosi furono, la Nomination BAFTA a miglior film e 3 Premi a Venezia.

Deliverance (John Boorman, USA, 1972)

Il libro di James Dickey (1970) dal quale è tratta la sceneggiatura fu bandito per le scuole e le biblioteche, in film (tit. it. Un tranquillo weekend di paura) fu parzialmente censurato in vari paesi, ma ottenne comunque 3 Nomination Oscar (miglior film, regia e montaggio). In breve, quattro amici dai caratteri e background molto diversi si avventurano su due canoe nella discesa di un fiume a loro praticamente sconosciuto e pieno di rapide, cateratte e, come di vedrà, altri pericoli. Film molto difficile da girare nel quale i protagonisti si trovarono ad affrontare notevoli sfide fisiche, in un ambiente ostile, a cominciare dalla temperatura dell’acqua del fiume nella quale si trovavano spesso a mollo. Buona la prima ora, esagerate le scene di naufragio e scalata (quasi un'americanata, in sostituzione dei soliti inseguimenti ...) e buona anche la parte psicologica degli accesi confronti fra i partecipanti alla spedizione, che inizia nella prima parte e si protrae fino al termine.

Il film ebbe ulteriore fama per il pezzo musicale inserito nei primi minuti: Dueling Banjos, che incredibilmente rimase in testa alle classifiche per varie settimane.

  
Dahan (Rituparno Ghosh, Ind, 1998)

Iconico cineasta indiano (1963-2013), regista, attore, scrittore e poeta, figlio di Sunil Ghosh, documentarista, regista e pittore. Storia ambientata oltre 20 anni fa a Calcutta e tuttavia attualissima che, purtroppo, si ripete con modalità solo leggermente diverse in molte parti del mondo. Una giovane sposa viene molestata una sera in pieno centro, nonostante la presenza del marito, fra l’indifferenza generale. L’unica ad intervenire in sua difesa è un’altrettanto giovane insegnante che riesce ad evitare il peggio. Seguono denuncia, arresto dei 5 colpevoli e quasi immediato loro rilascio, essendo rampolli di famiglie influenti. Questo è solo il preambolo, il seguito è il vero argomento del film; infatti, questi eventi provocano una crisi coniugale nella coppia, rovinano i rapporti della ragazza sia con i genitori che con i suoceri (con i quali convivono) ed hanno conseguenze anche nella famiglia della loro salvatrice e nei rapporti di questa con il suo fidanzato. Vengono quindi esposti i vari punti di vista e modi di essere di tre generazioni diverse della società borghese indiana in quel periodo di transizione, quando dell’indipendenza delle donne se ne parlava era ancora lontana dall’essere accettata.

Katha (Sai Paranjape, Ind, 1983)

Ho letto che questa commedia della regista Sai Paranjape (classe 1938) è una delle più apprezzate dell’epoca ed in effetti riesce a dare, con una buona dose d’ironia, un’idea della vita in un chawl, tipico caseggiato a corte interna di un secolo fa nell’India occidentale, con decine e decine di miniappartamenti, accessibili tramite le lunghe balconate comuni. Se da un lato la privacy era molto limitata, i residenti avevano il vantaggio di vivere in una comunità nella quale (in linea di massima) tutti si aiutavano ed erano partecipi di gioie e disgrazie dei vicini. In questo ambiente si dipana la storia di un onesto giovane impiegato innamorato di una vicina. Purtroppo per lui, all’improvviso si presenta a casa sua (e ci si installa) una sua vecchia conoscenza che si dimostra essere un truffatore e millantatore senza scrupoli e, per di più, circuisce la ragazza. La morale viene connessa in modo esplicito con la favola della lepre e la tartaruga, e commentata da un’anziana che la narra ad una bambina, all’inizio e alla fine del film. Al lato dei pochi veri protagonisti, compaiono tanti personaggi singolari fra i quali arricchiti e poveri, anziani invalidi e bambini, donne intriganti e tuttofare.

Paromitar Ek Din (Aparna Sen, Ind, 2000)

Spaccato dei problemi conseguenti alla vita delle donne nella famiglia dei suoceri. In questo caso gli attriti della protagonista, soprattutto con suocera e marito, vengono accentuati dalla presenza di una nipote maltrattata per i suoi evidenti limiti psichici e conseguenti alla nascita di un figlio spastico. La svolta si ha in seguito al divorzio, in quanto il rapporto fra suocera e nuora avrà ulteriori sviluppi.

mercoledì 14 settembre 2022

Microrecensioni 266-270: fra i migliori neo noir (anni 2005-20)

Terza e ultima delle tre cinquine di neo noir, anche in questo caso quasi tutti i film vantano buoni rating e tanti premi e candidature Oscar. I due nettamente migliori, le prime due microrecensioni, contano su cast d’eccezione, ma anche il terzo propone solide interpretazioni, oltre ad una buona sceneggiatura.

 
Sin City (Frank Miller, Robert Rodriguez, USA, 2005)

Grafica molto accattivante con tanto cupo e molto contrastato bianco e nero dal quale emergono pochi colori sparati (soprattutto rossi, blu e gialli); trattandosi di qualcosa simile a un noir è tutto perfetto. La combinazione fra grafica e attori (alcuni dei quali sostanzialmente modificati) funziona più che bene. Tuttavia, mi sembra che si sia ecceduto con la voce narrante, per quanto classica dei noir. Tanti gli attori dai volti molto peculiari e tutti legati in un modo o nell’altro a film violenti, crime o thriller. L’originale montaggio di storie diverse, alcune delle quali divise in due parti, mi è sembrato un po’ confusionario ma è certo da apprezzare l’idea di far apparire nel bar tanti protagonisti delle varie storie, anche se la maggior parte non sono legati in alcun modo fra loro. Un film da guardare senz’altro a prescindere dall’essere o meno aficionados di graphic novels, ma i più sensibili sappiano che (pur se chiaramente esagerata finzione) c’è tanta violenza da fare invidia ai film splatter (e non c’è da meravigliarsi visti i registi). Particolarmente apprezzabili i passaggi al b/n quasi negativo, quasi come il teatro delle ombre cinesi. Concettualmente, il finale ricorda quello di Man on Fire (Tony Scott, 2004, con Denzel Washington). Con Jessica Alba, Clive Owen, Bruce Willis, Benicio Del Toro, Mickey Rourke, Rutger Hauer. Nel film appaiono anche i due registi / sceneggiatori ma non lo Special Guest Director Quentin Tarantino. Technical Grand Prize e Nomination Palma d'Oro a Cannes. Di questo cult nel 2014 si produsse il sequel A Dame to Kill For, basato su un’altra graphic novel di Miller, con vari personaggi in comune con il precedente, interpretati dagli stessi attori.

Before the Devil knows you're dead (Sidney Lumet, USA, 2011)

A mio modesto parere, se Lumet non avesse scelto di eccedere nel montaggio della prima metà del film in flashback e flashforward con continui salti temporali introdotti da “un giorno prima del ...”, “il giorno del ...”, “tre giorni prima del ...”, questo film sarebbe stato molto più lineare a piacevole. Ho trovato la seconda metà eccellente, dal momento in cui le cose si complicano ulteriormente e allo spettatore vengono suggerite varie possibili evoluzioni della trama, ma lasciando tutto in sospeso fino alla fine. Conducono il gioco tre ottimi attori, fra i quali trovo si distingua l’allora settantenne Albert Finney, alla sua ultima interpretazione da protagonista ma forte di una lunga esperienza in film di livello che gli hanno fatto guadagnare 5 nomination agli Oscar, quattro delle quali come attore protagonista; lo affiancano i sempre bravi Philip Seymour Hoffman, Ethan Hawke. In breve ecco l’argomento: due fratelli decidono di organizzare una rapina per sanare le proprie situazioni economiche, ma qualcosa va storto e il seguito della storia è un crescendo di intoppi e ulteriori difficoltà inaspettate. Singolare titolo originale con uno molto peggiore scelto, con la solita maestria, per la versione italiana Onora il padre e la madre ...  Ottima scelta per gli amanti del genere crime-thriller.

   
Killer Joe (William Friedkin, USA, 2011)

Della cinquina, questo è il più vero neo noir, con professionisti del settore veramente violenti e non criminali per caso. Penultima regia di William Friedkin che, pur avendo avuto i suoi alti e bassi, è certamente regista esperto e affidabile, specialmente in questo genere violento … come dimenticare The French Connection (1971, Oscar per la regia). Vincitore del Golden Mouse a Venezia e candidato al Leone d’Oro, il film conta su un buon cast, seppur privo di nomi di grido: Matthew McConaughey, Emile Hirsch, Juno Temple, Ansel Smith, Gina Gershon. Storia veramente torbida e piena di tensione, fra minacce e sensualità, con un finale quasi aperto a varie interpretazioni. Non eccezionale, ma certamente oltre le aspettative … merita una visione.

Nightcrawler (Dan Gilroy, USA, 2007)

Chi raccomanda da dinastia Gyllenhaal? Stephen Gyllenhaal si distinse (pare) come regista televisivo ma in quanto al cinema il suo miglior film fu A Dangerous Woman (un misero 54% su RT con un ancor peggiore 30% di gradimento da parte del pubblico). Eppure è riuscito a piazzare a Hollywood i suoi figli Maggie e Jake, nessuno dei quali mi è mai sembrato particolarmente brillante. Non fa eccezione l’interpretazione di Jake in questo film dove lo troviamo nei panni di un intraprendente giovane senza né arte né parte (e assolutamente senza scrupoli) che riesce a inserirsi e a far carriera nel mondo dei videoreporter che passano la notte a cercare lo scoop fra incidenti, incendi e crimini vari, più sangue e morti ci sono e meglio è. Il singolare soggetto, probabilmente (e tristemente) abbastanza attinente alla realtà, ha fatto ottenere al regista / sceneggiatore Dan Gilroy (al suo esordio) una candidatura Oscar per la sceneggiatura.  Fra gli altri numerosi riconoscimenti quelli per la sceneggiatura prevalgono sulla regia ma, a onor del vero, ce ne sono anche per Jake Gyllenhaal; in sostanza, film mediocre ma non proprio malvagio.

The kid detective (Evan Morgan, Can, 2020)

Peccato per la messa in scena, assolutamente insufficiente per una sceneggiatura abbastanza originale, con numerosi twist e veri colpi di scena. Il protagonista è interpretato da Adam Brody che, seppur apprezzato da alcuni, sembra che 40 film in una ventina di anni non siano stati sufficienti a farlo apparire minimamente credibile. Non che il personaggio lo aiuti, ma lui contribuisce senz’altro a rendere il film floscio e poco coinvolgente. Questo è forse uno di quelli che meriterebbe un buon remake con un regista e un cast di esperienza. In conclusione, secondo me, Evan Morgan (al suo vero esordio) è da promuovere come sceneggiatore (meglio dire soggettista), ma da bocciare come regista.

mercoledì 7 settembre 2022

Microrecensioni 261-265: fra i migliori neo noir (anni 1996-2001)

Seconda delle tre cinquine di neo noir, anche in questo caso quasi tutti i film vantano ottimi rating e tanti premi, candidature Oscar e un paio si trovano nella classifica dei migliori film di tutti i tempi.

 
Memento (Christopher Nolan, USA, 2000)

Senz’altro il migliore del gruppo, ottimo in assoluto, assolutamente originale come storia e, soprattutto, come montaggio. Certo ci si deve scervellare un poco per ricostruire gli avvenimenti, mettere idealmente le scene nel gusto ordine e capire chi è chi. Quello che sembra un caos di scene e flashback, con alternanza di bianco e nero e colore per niente casuale, segue un preciso schema difficile da decifrare ad una prima visione. Il protagonista (un ottimo Guy Pearce) dice di ricordare di essere un perito assicurativo e che sua moglie ha subito violenza ed è stata uccisa. Dall’omicidio non riesce a memorizzare più niente se non per pochissimo tempo e quindi vive fra appunti, foto con annotazioni, nomi e numeri e addirittura alcune informazioni se le tatua. Nella sua ricerca dell’assassino della moglie viene aiutato (o ostacolato?) da vari personaggi alcuni dei quali sembra però sfruttino la sua voglia di vendetta per scopi personali, non sempre leciti. 

Come anticipato, il montaggio (candidato Oscar così come la sceneggiatura) ha un suo metodo, ben spiegato in questo video dal regista Christopher Nolan, che è anche coautore della sceneggiatura insieme con suo fratello Jonathan il quale ha contribuito pure ad altri 4 suoi film di successo quali The Prestige (2006), The Dark Knight (2008), The Dark Knight Rises (2012) e Interstellar (2014). Attualmente il film è al 54° posto nella classifica IMDb dei migliori film di tutti i tempi.

The Big Lebowski (Joel Coen, USA, 1998)

Ufficialmente è diretto dal solo Joel, mentre il fratello Ethan appare quale produttore. Cast variegato con tanti buoni attori e caratteristi fra i quali spiccano, oltre ai protagonisti Jeff Bridges e John Goodman, Philip Seymour Hoffman, Julianne Moore e un paio di regular dei cast dei Coen quali John Turturro, Steve Buscemi. Da un semplice scambio di persona causa omonimia si scatenano una serie di eventi prossimi al surreale sia per le bizzarre coincidenze, sia per i personaggi assolutamente fuori dal comune. Così vengono a contatto naziskin, aspiranti artisti, piccoli criminali, presunti milionari, nullafacenti professionisti, produttori di film porno e giocatori di bowling, uno spumeggiante melting pot nel quale ovviamente sguazzano i fratelli Coen, autori della sceneggiatura. Attualmente al 203° posto nella classifica IMDb dei migliori film di tutti i tempi.

  
Bound (Lana & Lilly Wachowski, USA, 1996)

Nati Larry e Andy e anteriormente conosciuti con Wachowski Brothers, sono poi rispettivamente diventati Lana & Lilly e quindi le attuali Wachowski Sisters. Questo è il loro film di esordio, con il quale si fecero subito notare, e appena 3 anni più tardi il loro secondo lungometraggio (The Matrix, 1999) li consacrò definitivamente. Questo è uno di quelli che non avevo mai visto e mi ha piacevolmente sorpreso, sia per la elegante messa in scena, sia per la dinamica sceneggiatura (firmata dagli stessi registi) che tocca vari generi quali crime, black comedy e thriller, con un po’ di splatter e un po’ di erotismo. Notevole il trio di semisconosciuti protagonisti Jennifer Tilly, Gina Gershon, Joe Pantoliano, oltre ai quali c’è da segnalare la presenza di Richard C. Sarafian, regista del cult Vanishing Point (1971, tit. it. Punto zero) con il famoso protagonista Kowalski e la mitica Dodge Challenger R/T del 1970 che guidava. Bound – Torbido inganno (questo il titolo italiano) merita senz’altro una visione

A Simple Plan (Sam Raimi, USA, 1998)

Due anni dopo aver vinto il suo Oscar per la sceneggiatura con Sling Blade (1996) e la Nomination come protagonista, Billy Bob Thornton con questo noir / black comedy ottenne la sua seconda Nomination (non protagonista); candidatura Oscar anche per la sceneggiatura adattata da un romanzo di Scott B. Smith. Protagonisti sono tre amici dai caratteri molto particolari che, per fortuna (o sfortuna?) vengono in possesso di una grossa somma di dubbia provenienza e ciò, ovviamente, scatenerà una serie di litigi e sospetti. L’insulsaggine di alcuni personaggi è forse esagerata, ma in questo genere di film è senz’altro consentita e quindi non disturba.  

The Man Who Wasn't There (Ethan e Joel Coen, USA, 2001)

Buon film realizzato con la solita cura dai fratelli Coen, uno dei meno conosciuti, senz’altro non fra i loro migliori. Filmato in un bel bianco e nero in stile d’epoca, fra noir degli anni ’40-’50 e un po’ di espressionismo tedesco degli anni ’20, con fasci di luce che rompono l’oscurità proiettando lunghissime ombre. Il cast, oltre a Billy Bob Thornton e Frances McDormand (all’epoca ancora non affermata) non includeva grandi nomi, ma se alcuni come Michael Badalucco e Tony Shalhoub forniscono eccellenti interpretazioni, gli altri sono un po’ spenti. La più famosa (oggi) è Scarlett Johansson, ma allora (17enne) era ancora agli inizi della carriera e solo due anni dopo sarebbe giunta la fama con Lost in Translation e Girl with a Pearl Earring. Ho trovato pesante e quindi eccessiva la narrazione con voce fuori campo che, pur essendo una modalità molto utilizzata anche nei noir classici, qui occupa troppo tempo. La sceneggiatura (ovviamente anch’essa curata dai fratelli Coen) è più che buona e, pur sviluppandosi lentamente, riserva molti originali colpi di scena. Consigliato, ma a chi non conosce i Coen, consiglio di cominciare da qualche altro film, questo non fornisce a pieno l’idea del loro talento. Nomination Oscar per la fotografia.

sabato 3 settembre 2022

Microrecensioni 256-260: fra i migliori neo noir (anni 1986-95)

Dopo aver guardato i 4 neo noir di David Lynch, sono andato a scavare nelle liste di film dello stesso genere che si trovano in rete. Scartando quelli visti di recente e quelli che non mi convincevano sono comunque riuscito a estrapolare 15 titoli che ho cominciato a guardare in ordine cronologico. Quindi questa è la prima di tre cinquine di neo noir, quasi tutti i film vantano ottimi rating e tanti premi, fra i quali anche vari Oscar.

 
Se7en (David Fincher, USA, 1995)

David Fincher è uno di quei registi che produce poco (18 film in oltre 30 anni) e, nonostante tanti successi (Fight Club, Zodiac, The Game …) e 3 Nomination Oscar (Benjamin Button, The Social Network e Mank), è poco conosciuto. Questo film si trova addirittura al 19° posto della classifica IMDb dei migliori film di tutti i tempi. La sceneggiatura è ottima e, anche se spesso propone scene a dir poco raccapriccianti, mantiene sempre viva l’attenzione del pubblico con tanti twist e colpi di scena nonostante il passo apparentemente lento. Alla qualità complessiva del film contribuiscono, e non poco, le interpretazioni di Morgan Freeman e Brad Pitt (protagonisti) e quella di Kevin Spacey sebbene relegato in una breve parte nel finale. Un detective a pochi giorni dal pensionamento e uno appena arrivato (inizialmente in contrasto fra loro) uniscono le loro forze quando si rendono conto di avere a che fare con un sadico serial killer che agisce secondo un suo piano preciso. Bestiale il finale sia dal punto di vista cinematografico che da quello della perversa logica del criminale. Nomination Oscar per il montaggio. Film da non perdere, ma non per stomaci deboli.

Mona Lisa (Neil Jordan, UK, 1986)

Produzione inglese, con un ottimo cast autoctono che conta su star come Michael Caine e soprattutto Bob Hoskins (Nomination Oscar come protagonista, premiato come miglior attore anche a Cannes, BAFTA e Golden Globes), ma c’è anche il caratterista Robbie Coltrane, quello che ormai tutti conoscono come il Rubeus Hagrid di Harry Potter. Singolare trama che vede un tracagnotto uomo di mezza età appena uscito di galera diventare l’autista personale di una call girl di colore che frequenta ambienti ben diversi di quelli ai quali lui era abituato. Tante sono le cose che vengono fuori e George (Bob Hoskins, l’autista) avrà modo di dimostrare la sua devozione alla sua (non ufficialmente) protetta. A farne le spese saranno vari uomini che tenteranno di infastidirla o addirittura minacciarla. Un film che procede in crescendo, secondo uno schema per niente tradizionale. Interessante visione.

  
House of Games (David Mamet, USA, 1987)

Anche in questo film ci sono psicologi, ma stavolta hanno a che fare con truffatori professionisti invece che con i soliti assassini psicopatici. La psicologa di turno entra in contatto con un giocatore di poker al quale un suo paziente deve una cospicua somma. Visto il suo interesse professionale, il truffatore e i suoi complici le mostrano una serie di imbrogli, dai più semplici e diretti a quelli organizzati con messe in scena che necessitano più persone. Restando affascinata da quell’ambiente, si trova poi implicata in una frode mirata ad ottenere una grossa somma di denaro. Non si contano le sorprese e i rovesciamenti di situazioni, fino ai colpi di scena finali. Bravi i protagonisti, pochi dei quali sono attori noti al grande pubblico; 4 premi a Mamet a Venezia e Nomination Leone d’Oro

True Romance (Tony Scott, USA, 1993)

Film in tipico stile tarantiniano, sceneggiato dallo stesso Quentin Tarantino, ma lungi dall'essere a livello dei migliori diretti dai suoi adepti (p. e. vari di Rodriguez). Può essere interessante sapere che è parte di una sceneggiatura molto più lunga, l’altra parte è stata lo script di base per Natural Born Killers (1994). True Romance parte discretamente, si affloscia, si riprende con il duetto fra Dennis Hopper e Christopher Walken, per poi riperdersi prima di giungere allo scoppiettante finale splatter. All'epoca, Scott doveva essere un tipo molto apprezzato a Hollywood, almeno socialmente, per essere riuscito a coinvolgere tanti attori noti che certo hanno partecipato più o meno a titolo di amicizia. Oltre i due succitati, appaiono più o meno brevemente altri che certamente non avrebbe potuto permettersi con il suo budget: Brad Pitt, Gary Oldman, Samuel L. Jackson, Val Kilmer ...  Christian Slater e Patricia Arquette sono invece i protagonisti, ma non convincono. A tratti divertente e originale, guardabile ma secondo me sopravvalutato ... non vale il 7,9 di IMDb né il 93% di RottenTomatoes.

Manhunter (Michael Mann, USA, 1986)

Ancora detectives, psicologi e psicopatici in questo film, il primo basato sul romanzo Red Dragon (1981, di Thomas Harris), che solo dopo il successo di The Silence of the Lambs (1991, di Jonathan Demme, 5 Oscar), adattato dallo stesso libro, è stato parzialmente rivalutato dopo essere passato quasi inosservato all’uscita. Qui Hannibal Lektor è interpretato da Brian Cox che certo non può competere con la famosa performance di Anthony Hopkins nel 1991, nei panni di Hannibal Lecter. Effettivamente, chi li ha visti entrambi non potrà che preferire il secondo, sotto ogni punto di vista, ma oggettivamente Manhunter non è malvagio.