sabato 30 gennaio 2021

Lasciate fare alla natura … che sa ciò che fa!

Oggi sono tornato per l’ennesima volta nella pineta di Monte San Costanzo per ulteriori rilievi e per cominciare a prendere nota delle specie presenti in numeri limitati avendo osservato in precedenza alcuni arbusti poco comuni nell’area, come per esempio una Phillyrea latifolia (ilatro comune). Adesso che si può procedere abbastanza facilmente nella parte alta della fitta rete di sentieri creata negli anni ’50 contemporaneamente all’impianto della pineta, anche rimanendo sulle tracce un occhio attento si rende conto che fra i pini (in piedi o caduti a seguito di incendio e/o tempeste di vento) ci sono tante altre specie arboree, arbustive ed erbacee. La varietà è abbastanza ampia e riserva interessanti sorprese. In quanto agli alberi, fra le centinaia, se non migliaia, di nuove piantine di Pinus spp. (pini d’Aleppo e marittimi), si notano anche numerosi Quercus ilex (lecci), mentre si contano sulla punta delle dita Quercus pubescens (roverella) e Arbutus unedo (corbezzolo). 

Nel campo degli arbusti sparsi qui e là si contano varie specie che, seppur comuni fuori pineta, non ci si aspetta di trovare al suo interno. Fra esse ho individuato Cistus incanus (cisto rosso, foto sopra, con Coccinella septempunctata), Prasium majus (the siciliano), Lonicera implexa (caprifoglio mediterraneo), Asparagus acutifolius (asparago pungente), Myrtus communis (mirto), la già citata Phillyrea latifolia (ilatro comune), Urginea maritima (ora Drimia maritima, comunque scilla marittima), Centaurea sp. (centaurea), Coronilla emerus (cornetta dondolina) e perfino l’endemica Lithodora rosmarinifolia (erba-perla mediterranea, foto sotto, purtroppo con il mio cellulare economico non sono riuscito a mettere a fuoco il fiore, ma le foglie ... ritornerò). Abbondantissimi nel sottobosco sono invece Arisarum vulgare (arisaro), Ampelodesmos mauritanica (tagliamani, localmente lepantine), Ferula communis (ferula) e Asphodelus microcarpus (asfodelo mediterraneo). Anche se è probabile che abbia sbagliato qualche identificazione e molto mi sia sfuggito, già questo breve elenco dimostra inequivocabilmente che la pineta ospita una vasta ed interessante varietà di altre specie spontanee.

Quanto detto non vuole essere una (non garantita) dotta dissertazione, bensì una ulteriore prova che in Penisola Sorrentina (come del resto in molte altre aree mediterranee) si propagano spontaneamente una gran quantità di specie botaniche … uno studio di vari decenni fa catalogava oltre 1.500 specie, una successiva quasi 2.000. In particolare la nostra affascinante gariga (boscaglia mediterranea costituita da arbusti e suffrutici sempreverdi molto bassi, tra i quali vegetano abbondanti specie erbacee) si rigenera velocemente, anche dopo incendi e altri disastrosi eventi naturali e alcune piante si ritrovano anche dove uno non se lo aspetta. Ciò rafforza la mia (e non solo mia) convinzione che in queste aree non debbano essere piantati nuovi alberi e, soprattutto, non nella gariga

Purtroppo, varie volte persone e associazioni di indubbia buona volontà e nobili ideali (ma di poco criterio e ancor meno conoscenze scientifiche) pensano di realizzare meritorie azioni ambientaliste piantando alberi ed arbusti in posti sbagliati, in modo sbagliato e in periodo sbagliato. Molti ricorderanno che proprio sul Monte San Costanzo furono piantate decine di pini per i nuovi nati, ma oggi se ne vedono solo un paio, pochi anni fa varie roverelle al lato dell’inizio della scalinata per la cappella e nessuna ha attecchito, ultimamente vari arbusti sono stati piantati su Monte San Costanzo e molti hanno già fatto una brutta fine con la prima (prevedibile) gelata. E come se non bastasse, costoro non hanno nemmeno l’accortezza di ripiantare le specie scavate per far posto alle nuove, né di ricoprire con terreno quanto portato alla luce (per esempio i tuberi degli asfodeli).

 
Centaurea sp.  e  Coronilla emerus
(qualche identificazione potrebbe non essere precisissima, benvenute eventuali precisazioni)

Lasciate fare alla natura … o a qualche vero esperto.

giovedì 28 gennaio 2021

micro-recensioni 26-30: notissimi e quasi ignoti, ma media RT 93%

… e i due sconosciuti ai più vantano un 100 e un 92 su RottenTomatoes! I tre titoli arcinoti, secondo IMDb, si trovano al 4°, 8° e 33° posto nella classifica dei migliori film di tutti i tempi … ma non sono per niente d’accordo. Ma andiamo per ordine.

 

Pulp Fiction (Quentin Tarantino, USA, 1994)

Ottenne l’Oscar per la sceneggiatura e altre 6 Nomination; è quello che si trova all’8° posto. Senz’altro è quello che mi è piaciuto di più, non solo per la folle sceneggiatura, ma per i dialoghi, i personaggi, le interpretazioni e la regia. Certamente non è un film per educande ma non è eccessivamente splatter per essere di Tarantino; anche concetti accettabili e socialmente / psicologicamente interessanti sono proposti con colorito turpiloquio e la trama contorta che inizia e finisce con la stessa situazione con la quale è iniziato il film, procede fra flashback e flashforward, con personaggi che ricompaiono inaspettatamente. Tante de citazioni, da quello che si vede in tv, ai poster di B-movies, al menù del locale dove si svolge la gara di twist. Ottima e appropriata la colonna sonora, cast molto ricco, con tanti attori del suo entourage, utilizzati già nel precedente Reservoir Dogs e che si ritrovano in altri film successivi. Un film geniale e sconcertante, molto divertente per i peculiari personaggi che compaiono anche in modo inaspettato, ma soprattutto Pulp Fiction è realizzato in modo eccellente, anche se c’è qualcuno che storce il naso per la miscela di sangue, droga, vizi e violenza. Devo veramente suggerire a chi non l’avesse ancora visto di recuperarlo al più presto? E, conoscendo l’inglese, è doveroso guardare la versione originale, nel doppiaggio si perde moltissimo; sono andate a guardare il clip italiano per vedere come avessero tradotto la “barzelletta” dei pomodori … ovviamente male.  

Diamond of the Night (Ian Nemec, Cze, 1964)

Secondo in ordine di preferenza è questo breve film cecoslovacco di 67 minuti, direi quasi sperimentale; negli anni ’60 lì si produssero tanti ottimi film (molti li ho già citati e suggeriti l’anno scorso. Le righe di presentazione non mi avevano entusiasmato ma poi ho letto che il tema dei due ragazzi che fuggono dalla deportazione è in effetti quasi incidentale. C’è tanta macchina a mano, i dialoghi sono quasi inesistenti e la narrazione si sviluppa per immagini che mostrano i timori, le analisi delle possibili azioni e i pensieri dei due. Lavoro di regia assolutamente apprezzabile che riesce ad avvincere anche senza contare sulle parole. L’ho trovato sottotitolato ma veramente non c’è bisogno di traduzione. Imperdibile per chi si interessa di arte cinematografia.

  

Nightmare Alley (Edmund Goulding, USA, 1947)

Film di culto sia per l’ambientazione in un circo itinerante, di quelli che raccoglievano tanti fenomeni da baraccone, sia per il ruolo insolito affidato a Tyrone Power … né bel tenebroso, né vincente e spavaldo, né tombeur de femmes. In alcuni momenti sembra richiamare le atmosfere del vero cult del genere Freaks (1932, Tod Browning), specialmente quando entra in scena l’erculeo Bruno. Si conosce il protagonista Stanton 'Stan' Carlisle (Power) quando è ancora un semplice imbonitore e tuttofare e lo si segue nella sua scalata al successo fino a proporsi come veggente in locali per ricchi. L’ambizione di creare sempre più illusioni e far soldi in maniera truffaldina lo porterà ad associarsi con una psicologa e le conseguenze saranno imprevedibili. Interessanti sia i personaggi, da quelli del carnival e quelli del jet set, e anche i rapporti fra di loro, fra amori, gelosie, storie di alcolismo, ricatti e truffe. Insomma non il solito Tyrone Power, ben diretto da Edmund Goulding e affiancato da 3 attrici ben diverse fra loro, ma perfettamente calate nei loro ruoli.  

The Usual Suspects (Bryan Singer, USA, 1995)

Certamente è un buon film, ma altrettanto certamente è stato nettamente sopravvalutato. A vostra memoria ricordate solo 32 film migliori di questo? Si barcamena fra crime e poliziesco, senza prendere una direzione precisa, gli interpreti sono senz’altro di livello più che buono e la trama riserva effettivamente tante sorprese, ma con troppe carenze e scarsa plausibilità tanto che, in effetti, lo si potrebbe quasi vedere come una commedia dark. L’ho voluto guardare di nuovo 8 anni dopo l’ultima visione, ma le mie perplessità sono sempre le stesse e, anzi, mi è forse piaciuto meno dell’ultima volta.

The Dark Knight (Cristopher Nolan, USA, 2008)

Veramente questo è il quarto miglior film di sempre? Secondo IMDb ai primi posti, nell’ordine, ci sono: The Shawshank Redemption (1994), The Godfather (1972) e The Godfather: Part II (1974). Avrei anche qualcosa da obiettare in merito al primo in assoluto, ma si sa, le classifiche lasciano il tempo che trovano e, oggettivamente, sono impossibili da stilare. Come si fa a paragonare film girati a decenni di distanza di generi diversi con tecnologie completamente differenti? Comunque sia, questo film è veramente noioso, ripetitivo e abbastanza scontato. Un sacco di azioni spettacolari (ma a chi interessano? certo non a me), ottimi attori (sprecati) e, vabbè che è di derivazione comics, la logica e la psicologia dei personaggi, da qualunque punto di vista le si vogliano considerare, lasciano molto a desiderare. Bah!

lunedì 25 gennaio 2021

50 anni fa diventavo mezzofondista “ufficiale” ...

… ma è giusto ricordare che i miei primi passi (molto amatoriali) furono a Massa Lubrense ed evidentemente mi servirono. Infatti, con i miei compagni di giochi degli anni ’60 spesso organizzavamo gare di corsa, soprattutto lungo i classici percorsi dei cosiddetti giro ‘e Campo e ‘o giro ‘e Sant’Aniello, entrambi lunghi poco più di 800m ma con strappi che facevano "asci' ll'uocchie 'a fora" e brevi discese vertiginose; il giro ‘e Santa Teresa era per lo più riservato alle manifestazioni abbinate alle feste patronali in quanto si svolgeva su strade rotabili ed era necessario chiudere la circolazione. (vedi citazione in calce)

Appena mi fu consentito, insistendo, mi iscrissi appunto ad un Giro di Santa Teresa, esattamente in occasione della festa della Madonna delle Grazie del 1965. Come si può constatare guardando la foto scattata sulla linea di partenza, non sono mai stato uno “a cui piace vincere facile” (come recitava una pubblicità di qualche tempo fa) preferendo sempre perdere dignitosamente sfide anche assolutamente impossibili. Anche chi non mi conosce può facilmente identificarmi nella foto in alto. Purtroppo, non giunsi al traguardo; ma semplicemente perché un vigile, eccessivamente zelante, al volo mi tirò fuori dal gruppo (non ero certo in testa, ma nemmeno ultimo) pensando che fossi un ragazzino intruso … e pensare che avevo appena superato la ripida salita di via Santa Teresa e quindi al traguardo mancavano solo un paio di centinaio di metri in leggera discesa. Nella foto potete anche notare vari tipi di abbigliamento e scarpe non proprio da professionisti ... a destra si vedono mocassini e anche piedi scalzi!

Insieme alla foto sopra, me ne sono capitate altre fra le mani insieme con vari trafiletti di giornale e così mi sono reso conto che esattamente 50 anni fa (inverno ’71) iniziai la mia carriera “ufficiale”, da tesserato F.I.D.A.L., con la Polisportiva Partenope. Già da qualche anno partecipavo regolarmente ai campionati federali giovani di basket, ma il mio prof. delle superiori (allenatore di atletica della Partenope, seppur di altre specialità) mi convinse a tesserarmi e a cominciare a correre le campestri. Così alle partite di basket F.I.P. e a quelle scolastiche di basket e calcio, aggiunsi le gare di atletica, cross d’inverno e pista in primavera.

 

Qui in alto le foto delle fasi finali del mio esordio (vittorioso) nel Bosco di Capodimonte e del successivo Campionato Regionale (quello in  maglia bianca dietro di me era un sostenitore del vincitore, il terzo si intravede dietro la mia spalla destra) che ebbe luogo attorno al campo di aviazione di Pontecagnano (leggi i due relativi aneddoti nel prossimo paragrafo), e qui di seguito ci sono i trafiletti apparsi su Il Mattino.

Aneddoto 1

Voglio aggiungere un singolare aneddoto relativo all’ultima gara citata. L’area era assolutamente piatta e incolta, c’erano solo dei fossi al margine che si dovevano attraversare (brevi ripide discesa e salita) o saltare se ne avesse la forza. Si correva lungo un circuito di circa 2.000m da ripetere più volte a seconda della propria categoria: 2 per gli Allievi, 3 per i juniores e seniores (corto) e 6 per i seniores (lungo). Come detto l’area al margine della pista era incolta ma abbondavano erbe e cespugli e quindi fungevano da pascolo per pecore e capre. Queste venivano inoltre nutrite con le foglie esterne di vari tipi di brassicacee: cavolfiori, verze, incappucciate. A questo punto devo precisare che si correva con scarpe chiodate, con chiodi di 10-12mm il che rendeva la situazione divertente ma non per tutti … i più arguti avranno già intuito che i concorrenti a centro gruppo venivano bersagliati da escrementi e torsoli di cavolo che chi li precedeva prima infilzava con i chiodi delle sue scarpe e quindi li lanciava, seppur involontariamente, all’indietro! Provate a immaginare la scena e l’aspetto di alcuni atleti all’arrivo.

Aneddoto 2

Stesso campo di gara ma in questo caso parlo dei Campionati Interregionali (tutto il meridione). Pur trovandoci quasi al livello del mare, quel giorno nevischiava ... ed il protagonista involontario (e sfortunato) fu il mio compagno di squadra Curcio (senior). Ricordo che ero in macchina con il nostro allenatore prof. Tufano e lo seguivamo con lo sguardo quando improvvisamente sparì! Anche lui, come me, portava gli occhiali ed il nevischio gli si era accumulato sulle lenti ... non vide uno dei summenzionati fossi, ci cadde dentro e perse gli occhiali! Gli ci volle un po' prima di ritrovarli e riprendere la gara. 

Andavamo a gareggiare in situazioni precarie, non solo senza docce, ma spesso anche senza bagni né spogliatoi, e forse proprio per questo ci divertivamo ed eravamo una "grande famiglia", a prescindere dalle società di appartenenza (ma ciò è quasi prassi in atletica).  

*  ‘e ccorse  (estratto da Barracca ‘o rutunniello, cavallocavallo mantieneme ‘ntuosto e altri giochi dimenticati (di Giovanni Visetti) e-book scaricabile gratuitamente qui 

Come in ogni altro paese del mondo, anche a Massa i ragazzi di tanto in tanto si misuravano in gare di corsa, e in particolare erano quelle di resistenza ad offrire un banco di prova più prestigioso. Al pari di tutti gli altri giochi che si svolgevano per strada, pure per le corse ci si doveva accontentare di ciò che si aveva a disposizione, in questo caso una rete di stradine e viottoli tortuosi, nella maggior dei casi in forte pendenza.

Queste gare solo sporadicamente si organizzavano su tratti brevi da percorrersi più volte, nella maggior parte dei casi si disputavano su percorsi costituiti da una serie di vicoli che nel loro insieme formavano un circuito. I percorsi comprendevano rari tratti pianeggianti ed erano invece ricchi di salite e discese e talvolta includevano perfino delle scalinate. Le numerose viuzze offrivano la possibilità di creare una gran quantità di percorsi diversi, ma ogni rione aveva un proprio giro classico.

domenica 24 gennaio 2021

micro-recensioni 21-25: Jarmusch di oltre 30 anni fa (trailer) e altro

Gruppo abbastanza vario e praticamente diviso nettamente in due: 3 film d’epoca quasi cult, di origini e soggetti molto diversi, e due di Jarmusch, per l’esattezza il terzo ed il quarto dei suoi solo 14 film.

  

Down By Law (Jim Jarmusch, USA, 1986)

Uno dei film di Jarmusch più conosciuti in Italia (distribuito come Daunbailò, praticamente come si pronuncia il titolo originale) per contare su Roberto Benigni come protagonista … e appare anche sua moglie Nicoletta Braschi. Molti dei marchi di fabbrica del regista (anche sceneggiatore di tutti i suoi film) sono ben evidenti anche in questo di 35 anni fa: ottima e ricercata colonna sonora, lunghe carrellate alternate a inquadrature fisse, personaggi al limite della realtà ma certamente plausibili, trama basata su coincidenze e citazioni colte. Tre tipi di estrazione e carattere completamente diversi si ritrovano nella stessa cella di un penitenziario americano per crimini seri (prostituzione minorile, occultamento di cadavere, omiicidio) ma “preterintenzionali”. I loro rapporti, inizialmente poco amichevoli, ben presto migliorano e, pur continuando a litigare un po’, forniranno tanti spunti di humor nero. Rivisto dopo tanti mi è ancora piaciuto anche se in più punti cala un po’ di ritmo. Nel trailer originale già si possono ben apprezzare le carrellate e colonna sonora.

Visione senz’altro consigliata per i singolarissimi personaggi, ben fotografati in b/n e ben diretti, per la trama quasi surreale e l’ottima musica interpretata dai compagni di sventura di Benigni: Tom Waits e John Lurie (suppongo e spero che li conosciate).

Mistery Train (Jim Jarmusch, USA, 1989)

Al contrario di quanto appena scritto a proposito di Down By Law, questo non l’avevo mai visto e per la verità non mi ha convinto. Tre storie troppo scollate una dall’altra, aventi in comune l’albergo dove alloggiano in contemporanea (ma senza mai incontrarsi) una coppia di giovani turisti giapponesi, due donne sole (una appena lasciata dal compagno, l’altra recentissima vedova) e tre vaghi. Qui la colonna sonora (di John Lurie) è senz’altro la migliore cosa, Tom Waits presta solo la voce (DJ radiofonico, se sente in continuazione ma non si vede mai) e, per rimanere in ambito musicale, c’è da notare la presenza (solo come attore) di Screamin' Jay Hawkins, cantautore affermato nei generi blues, rhythm and blues, soul e anche rock and roll. Ha dei buoni momenti di humor nero, qualche scena caricaturale, varie buone riprese e i treni che passano sferragliando che potrebbero perfino far pensare a Ozu (anche se non credo che fosse intenzione del regista).

  

I Know Where I'm Going (Michael Powell, Emeric Pressburger, UK, 1945)

Questa regia a quattro mani non è una casualità, i due vantano una lunga collaborazione tanto da aver diretto, scritto e prodotto insieme ben 19 film. Per indicare il loro sodalizio avevano un nickname che diede il nome anche alla casa di produzione: The Archers. Si tratta di una piacevole e ben realizzata commedia romantica ambientata nelle isole scozzesi delle Ebridi. Interessanti sia i paesaggi che le scene nelle quali i protagonisti interagiscono con gli abitanti dell’isola, fra pub, balli, feste … e kilt. Per vostra conoscenza, gli Archers sono i registi del famosissimo Scarpette rosse (1949, The Red Shoes) e anche di un altro apprezzatissimo (in patria) film: The Life and Death of Colonel Blimp (1943, IMDb 8,1 e RT 97%).

Spider Baby (Jack Hill, USA, 1967)

Nel mio girovagare fra siti cinefili ho trovato questo titolo, disponibile in rete in buona qualità e inserito fra i cult dell’horror satirico anche se di caratteristiche quasi uniche. Praticamente non c’è niente di soprannaturale se non una malattia degenerativa dalla quale sono affetti tutti i membri della famiglia Merrye. Tre giovani vivono in una casa lontana da tutti, accuditi da un maggiordomo, autista, cuoco, tutore, … interpretato da Lon Chaney jr. (qualità molto inferiori a quelle dell’omonimo padre). Inaspettatamente sopraggiungono una coppia di cugini, accompagnati dal loro avvocato e dalla sua segretaria, per sfrattare i parenti e prendere possesso della casa, ma la cosa non si rivelerà tanto facile. Succede un po’ di tutto e non mancano risvolti sexy … ma non c’è da meravigliarsi visto che il regista Jack Hill (solo 17 film) era specializzato in B-movie, horror e exploitation. Si tratta di una pura curiosità, più commedia che horror, senz’altro molto originale.

El camino de la vida (Alfonso Corona Blake, Mex, 1956)

Per un certo verso ha dei punti in comune con Down By Law, infatti i protagonisti sono tre ragazzini che, pur non essendo delinquenti abituali, finiscono in riformatorio per disperazione e per reagire al bullismo. Tre storie diverse che avranno un lieto fine grazie ad uno psicologo volontario. Non è male ma è senz’altro troppo buonista, tanto che una certa parte di critica lo volle vedere come risposta a Los olvidados (1950, Luis Buñuel) nel quale i giovani erano certamente più “cattivi” e violenti. Gli apprezzamenti ricevuti gli sono quindi stati attribuiti per lo più per il messaggio positivo, per affermare che i riformatori possono effettivamente riportare sulla retta via ragazzini che si sono cacciati nei guai. Evitabile.

venerdì 22 gennaio 2021

Modi di dire tipicamente messicani

Nel precedente post elogiavo il linguaggio delle commedie classiche messicane per essere fonte inesauribile di proverbi, modi di dire, divertenti soprannomi e parole tipiche sconosciute anche alla maggior parte degli spagnoli. Ne propongo alcuni che, anche se si ritrovano in modo più o meno simile in altri idiomi, comprendono dei vocaboli esclusivamente messicani.

Guajolote que se sale del corral, termina en mole (tacchino che esce dal recinto, finisce cotto in mole)

Guajolote = tacchino, in spagnolo è pavo, e i mole sono vari tipi di salse dense (mole poblano, verde, negro, amarillo, …) che usano come base anche una ventina di ingredienti macinati insieme, fra i quali vari tipi di peperoncini, cacao, cannella, mais; si usa lo stesso nome sia per il crudo (consistenza di farina o pasta) e i piatti cucinati, di solito di carne.


Due modi di dire riferiti all’esagerazione

Echarle mucha crema a sus tacos (mettere molta crema sui propri tacos = esagerare nelle lodi)

Assumendo che tutti conoscano i tacos, sappiate che vengono serviti con crema (panna, tendente all’acido, niente di dolce …)

Contigo la milpa es rancho y el atole champurrado (Per te l’orto è un rancho e atole è champurrado)

Detto breve, ma con ben 3 vocaboli da chiarire: atole bevanda tipica servita calda, a base di farina di maiz nixtamal, immancabile e in qualunque fiesta e nei mercati, servita dalla olla (tipici reciienti di terracotta). Il champurrado è la sua versione ricca, con cacao. Milpa = piccolo campo coltivato, di solito a mais.

Un paio relativi agli onnipresenti fagioli, che quasi esclusivamente in Messico e America centrale si chiamano frijoles ... in Spagna sono per lo più judías o alubias.

Ves que el niño es pedorro y le das frijoles (vedi che il bambino è scorreggione e gli dai fagioli = come peggiorare la situazione)

Buscarse los frijoles (guadagnarsi da vivere)

Praticamente identico al nostro abbuscarse ‘o ppane (o ‘a pagnotta), essendo i fagioli alimenti di base nella dieta messicana.

Una coppia per il pinole, molto simile al gofio canario, è farina di mais tostato arricchito con zucchero di canna e spezie. 

El que tiene más saliva, traga más pinole (chi tiene più saliva, ingoia più pinole)

Essendo macinato finemente, per mandarlo giù si necessita di molta saliva. Si usa per indicare chi sa proporsi, per effettiva esperienza o per tante parole. 

No se puede chiflar y comer pinole al mismo tiempo (non si può fischiare e mangiar pinole allo stesso tempo)

Conoscendone la consistenza, è chiaro che fischiando se ne sputerebbe gran parte.

A acocote nuevo, tlachiquero viejo (letteralmente intraducibile, ma il senso è: per l’attrezzo nuovo, artigiano esperto)

Simile ai recipienti fatti di vegetali secchi, l’acocote è una lunga zucca bucata alle estremità e viene utilizzata per succhiare dal centro dei maguey (agave) il tlachique (o aguamiel), liquido più dolce dello zucchero, contenente oltre 50% di fruttosio utilizzato in pasticceria, cocktail e, soprattutto, per produrre il pulque, bevanda alcolica simile a mezcal e tequila ma di qualità inferiore.

Para todo mal, mezcal; para todo bien, también (se va tutto male, mezcal; se va tutto bene, anche)

Restando in tema di bevande alcoliche derivate dalle agavi. 

Anche il seguente, come la maggior parte dei proverbi e modi dire, è assolutamente azzeccato e veritiero; non per niente si dice "proverbi, saggezza dei popoli".

Al nopal sólo se le arriman cuando tiene tunas (si avvicinano al fico d’india solo quando ha frutti, quindi per puro interesse)

Nopal ha origine preispanica, in spagnolo è higuera (de la Indiachumberatunas sono i suoi frutti, niente a che vedere con i pesci. 

domenica 17 gennaio 2021

micro-recensioni 11-20: full immersion nel cinema popolare messicano (1948-1956)

Fino agli anni ’60 la cinematografia messicana fu molto prolifica e, oltre ai film di grande qualità che giustificarono la definizione Epoca de Oro del Cine Mexicano (con i vari Buñuel, Indio Fernández, Bustillo Oro, …), furono prodotti una marea di pellicole più che decenti che contavano non solo su buoni registi, ma anche su una marea di buoni attori e caratteristi. Anche i più noti cineasti hanno nel loro curriculum varie commedie, musical e melodrammi, assolutamente sconosciuti all’estero ma molto apprezzati in patria.

Fra i 10 che ho recuperato 4 commedie quasi musicali che vedono protagonista un cantante/attore di grido, fra i più amati dal grande pubblico: due per Pedro Infante e due per Jorge Negrete. Si deve inoltre sottolineare che anche nei film non del genere cabaretera raramente manca un numero musicale in un cabaret o almeno una cantina (in questo caso con musica ranchera e non caraibica). Si trovano spesso occasioni (feste popolari, processioni, matrimoni, …) per inserire anche gruppi mariachi e/o serenate al chiar di luna … la musica popolare e tradizionale è un must nei film messicani. A tal proposito è giusto menzionare il più famoso e prolifico (e longevo, morto a 100 anni) autore di circa 500 colonne sonore e commenti musicali in una cinquantina di anni: Manuel Esperón.

 

Nei film non prettamente musicali i giovani cambiavano rapidamente, ma c’era un gruppo di attori affermati che, con la loro sola presenza, garantivano la qualità del prodotto. Parlo dei fratelli Soler (Fernando, Julián e Andrés, anche registi, e Domingo solo attore ma con 152 film all’attivo), dei due comici per antonomasia Cantinflas e Tin Tan, e della star indiscussa delle signore di una certa età: l’inimitabile Sara García (157 film).

Molti di questi film leggeri erano adattamenti di commedie di successo e le situazioni, per quanto un po’ ripetitive, riuscivano ad avere sempre qualche intreccio originale. Per esempio, in due di questo gruppo (Tal para cual e El gran mentiroso) il protagonista conduce una doppia vita, con nomi diversi, ma lo sviluppo della trama è sostanzialmente diverso. In un altro paio si vedono cacciatori di doti che solo in extremis (ovviamente) saranno smascherati. Anche figli illegittimi e governanti già balie di fiducia sono personaggi frequenti. In questo nutrito gruppo solo El caso de la mujer asesinada è fuori dal coro essendo un originale mistery che tuttavia, dopo un’ottima prima parte che lascia abbastanza spiazzati, si perde nel finale.

 

I temi sociali e morali più ricorrenti sono quelli della speranza di matrimonio delle ragazze (che spesso vengono illuse, sedotte e abbandonate), i più o meno alcolizzati, il contrasto fra classe sociale ricca (borghesi o arricchiti poco conta) e i poveri e onesti lavoratori, sempre pronti ad aiutare gli altri secondo sane regole morali. Infatti, molti drammi, commedie e dramedy, con il loro più o meno lieto fine trasmettono messaggi positivi, svergognando i cattivi e gli imbroglioni, favorendo gli innamorati, riunendo le famiglie.

Tutto ciò richiamava quindi un gran numero di spettatori, sia nelle città che nella provincia, in quanto la maggior parte del pubblico apparteneva al ceto medio-basso e si rallegrava del fatto che, almeno sullo schermo, loro venissero rappresentati in modo positivo e, talvolta, avessero la meglio sui ricchi e prepotenti.

Dal mio punto di vista di amante della cultura latina ed in particolare quella messicana, questi film hanno l'ulteriore attrattiva di far conoscere una quantità di interessantissimi modi di dire e proverbi che spesso non hanno omologhi italiani, nonché tanti personaggi del popolo, artigiani, professionisti e musica dell'epoca. Non mi dilungo nel citare interpreti e approfondire le trame visto che non esistono versione italiane e sono fruibili solo da chi abbia dimestichezza con il messicano (tanto slang rispetto al castigliano spagnolo) e la sua inconfondibile cadenza.

Ecco i 10 film (media su IMDb 7,3), in ordine cronologico:

Cartas marcadas (René Cardona, Mex, 1948)

Dos pesos dejada (Joaquín Pardavé, Mex, 1949)

La duquesa del tepetate (Juan José Segura, Mex, 1951)

Acà las tortas (Juan Bustillo Oro, Mex, 1951)

Un gallo en corral ajeno (Julián Soler, Mex, 1952)

Rumba caliente (Gilberto Martínez Solares, Mex, 1952)

El gran mentiroso (Fernando Soler, Mex, 1953)

Tal para cual (Rogelio A. González, Mex, 1953)

El caso de la mujer asesinada (Tito Davison, Mex, 1955)

El inocente (Rogelio A. González, Mex, 1956)

domenica 10 gennaio 2021

micro-recensioni 6-10: 2 noir e 3 western … atipici (con trailer)

Proseguendo nella mia continua ricerca di buoni titoli fra cult semisconosciuti, trascurati dai più e segnalati come sottovalutati da aficionados e cinefili, sono giunto a un paio di western a dir poco atipici, in particolare quello Jim Jarmusch che rientra nella nel sottogenere degli acid western. Di questo ulteriore gruppo, spesso combinato con quelli revisionisti, non avevo mai letto alcunché ma ho scoperto che vi rientrano film, come El topo (1970, Alejandro Jodorowsky) e The Shooting (1969) e Ride in the Whirlwind (1968) entrambi diretti da Monte Hellman nel 1966 e con un giovane Jack Nicholson, tutti a me noti e visti più di una volta. Antesignano del genere viene considerato l’ottimo The Ox-Bow Incident (1942, Wellman, aka Alba fatale, con Henry Fonda). All'altro invece ci sono arrivato seguendo la filmografia dell’ungherese André De Toth, uno dei tanti valenti cineasti mitteleuropei emigrati negli Stati Uniti. I suoi maggiori successi sono noir e western, ma forse quello più conosciuto è un horror, House of Wax (1955, con Vincent Price), storico per essere il primo film in 3D con suono stereofonico.

 

Dead Man (Jim Jarmusch, USA, 1995)

Una vera sorpresa, relativamente moderno ma mai sentito nominare … grande flop al botteghino (9 milioni di budget, circa 1 di incassi). Eppure contava su Johnny Depp come protagonista e un cameo del quasi 80enne Robert Mitchum, diretto dallo stimato Jim Jarmusch, con un più che avvincente commento musicale originale di Neil Young. Anche la fotografia in bianco e nero è ottima ma, ovviamente, se ne accorsero solo quelli che guardarono il film; candidato alla Palma d’Oro a Cannes e 6° miglior film dell’anno per Cahiers du Cinéma. Cos’è quindi che andò storto? Probabilmente, oltre a un cattivo lancio e scadente distribuzione, influirono i singolarissimi personaggi e la trama quasi surreale, che include molto humor negro e anche macabro, tante dotte citazioni (tipiche di Jarmusch, ma non per tutti), lo stravolgimento dei canoni dei western, sia classici, che spaghetti che revisionisti, allucinazioni, travestitismo, cannibalismo e cultura dei nativi. Personalmente non apprezzo Depp e anche in questo caso sembra assolutamente fuori contesto, ma potrei anche pensare che fu scelto apposta per apparire un ingenuo spaesato cittadino (almeno nella prima parte) al contrario di tanti altri volti dalle forti connotazioni, certamente poco rassicuranti.

Per fornire una vaga idea del film, ecco il trailer originale. Senz’altro lo consiglio a chiunque abbia mente aperta e sia interessato a guardare buoni film anche se fuori dei canoni.

Day of the Outlaw (André De Toth, USA, 1954)

Senza dubbio il migliore dei 3 film di De Toth inseriti in questo gruppo; guardandolo non si può fare a meno di pensare a The revenant (2015, Iñárritu) e a The Hateful Eight (2015, Tarantino) per avere gli esterni girati in lande inospitali e pesantemente innevate. A questa particolarità si aggiunge l’atipica trama pur avendo personaggi più o meno canonici. In un piccolo agglomerato di case in mezzo alla valle innevata è in corso una violenta diatriba fra due allevatori (divisi anche dall’amore per la stessa donna) che monta rapidamente verso uno scontro a fuoco quando arriva un gruppo di banditi in fuga (con bottino, dopo aver assalto una banca) e si impadroniscono del villaggio. Si passa così da una questione personale fra due uomini (facilmente risolvibile) al confronto fra una mezza dozzina di banditi armati a stento tenuti a freno dal loro capo (un ottimo Burl Ives) e una ventina di abitanti (che sono stati disarmati) compresi donne e bambini. 

Anche di questo film propongo il trailer che mi sembra abbastanza significativo.

  

Ramrod (André De Toth, USA, 1947)

Altro western del regista ungherese e anche questo si distingue dai canoni classici per avere per protagonista una donna (un’inadatta Veronica Lake) che in modo a volte ingenuo e a volte subdolo riesce a mettere gli uni contro glia altri, opponendosi anche al suo ricco padre e ottenendo quello che vuole … ma forse non tutto. Per il resto è una tipica guerra fra allevatori senza esclusione di colpi, con un bando che vorrebbe agire secondo legge e l’altro che non esita a far fuori personaggi scomodi. Buon western non banale, senz’altro sopra la sufficienza.

Crime Wave (André De Toth, USA, 1953)

Uno dei tanti noir diretti da De Toth, e anche questo film non è semplice variante di altri già visti. Un ex galeotto redento viene raggiunto da un suo vecchio compagno di cella ferito nel corso di una rapina e da quel momento in poi si susseguiranno una serie di eventi che lo implicheranno sempre di più. Interessanti personaggi, ben interpretati e ben diretti. Per appassionati dei noir degli anni ’50, vanta un buon 7,4 su IMDb e 67% su RT.

Railroaded (Anthony Mann, USA, 1947)

Certamente Anthony Mann ha diretto film migliori e non è questo quello per il quale sarà ricordato. Lavoro onesto, ma con sceneggiatura abbastanza banale e anche le interpretazioni non sono di quelle memorabili. Guardabile.

mercoledì 6 gennaio 2021

micro-recensioni 1-5/2021: per iniziare bene l’anno …

… sono andato sul sicuro (con qualche ma ...), con 4 quotatissimi prodotti hollywoodiani distribuiti nell’arco di parecchi decenni e un tedesco di rating appena inferiore (IMDb 7,5 e RT 94%), secondo me attribuibile esclusivamente alla particolarità del soggetto: Nosferatu. Dopo aver guardato film tanto acclamati, è mia abitudine andare a leggere vari commenti, fra i migliori e i peggiori (che tutti hanno), tralasciando quelli nel mezzo, immaginando un confronto virtuale. Pur riconoscendo che la loro qualità sia di alto livello, non sono tanto d’accordo in merito alle posizioni relative nei vari rating, a cominciare dal film di Herzog, che comunque è un caso a sé.

Nosferatu: Phantom der Nacht (Werner Herzog, Ger, 1979)

Fra le principali critiche mosse a questo remake (molto fedele) del Nosferatu originale di F.W. Murnau (1922) ci sono quelle dei pochi movimenti di macchina e della scarsa originalità, quando questi sono invece proprio fra i suoi meriti. Si tratta di un omaggio a quel tipo di cinema, lavorando però con mezzi moderni e una delle sue eccellenze è quella di girare a colori ma spesso con varietà di tonalità di colori dello stesso gruppo, quasi come se fosse un bianco e nero virato. Anche la scelta del suo amico/nemico Klaus Kinski quale protagonista si rivela perfetta e l’attore interpreta il ruolo a meraviglia. Per apprezzare appieno questo film, penso sia indispensabile aver visto l’altro e si comprenderà che non fu prodotto per fargli concorrenza o stravolgere la storia, casomai inserendo effetti speciali certamente già possibili 40 anni fa ma neanche immaginabili un secolo fa. Herzog ancora una volta dimostra di trovarsi a suo agio proponendo personaggi solitari e assolutamente al di fuori della norma, che mirano a imprese straordinarie se non impossibili, contro ogni logica e contro tutti. Location, luci, arredamenti e costumi fanno il resto, vero cinema della miglior tradizione europea opposto alle americanate, per quanto possano essere ben realizzate.

 

There Will Be Blood (Paul Thomas Anderson, USA, 2007)

(IMDb 8,2 e RT 91%, 2 Oscar e 6 Nomination, 144°)

Questa parabola di un petroliere (titolo italiano) che si sviluppa nell’arco di vari decenni, i primi del secolo scorso, è basata su un romanzo di Upton Sinclair, splendidamente adattata da Paul Thomas Anderson. Al di là della bravura dimostrata dal solito Daniel Day-Lewis (al suo secondo Oscar) nei panni del protagonista, il regista-sceneggiatore riesce a dipingere alla perfezione l’ambiente, soci e antagonisti in particolare il suo persecutore interpretato alla perfezione da Paul Dano, attore per il quale non stravedo, ma perfetto per questo ruolo di viscido e infido, mascherato da buono e compassionevole. L’altro Oscar andò a Robert Elswit per la fotografia (assolutamente meritato, specialmente per le scene con poca luce) e, per la cronaca, in tre delle 6 candidature andarono (miglior film, regia e sceneggiatura) Anderson fu superato dai fratelli Coen per No Country for Old MenChiaramente imperdibile per chi non l’avesse ancora visto.

Chinatown (Roman Polanski, USA, 1974)

(IMDb 8,1 e RT 100%, 1 Oscar e 10 Nomination, 154°)

Ho sempre sostenuto che Polanski è un ottimo regista, capace di districarsi a meraviglia in ogni genere, con pochi attori o con set affollati, in ogni ambiente e in ogni epoca, e questo ne è un ennesimo esempio. Chinatown è un film ben bilanciato (fatto dimostrato dalle 11 candidature Oscar e non importa averne ottenuto Oscar) vantando un ottimo cast, nel quale non sfigura certo John Huston, anche se i più lo conoscono e lo ricorderanno come regista. La sceneggiatura è scorrevole ma piena di twist e sorprese (non sempre prevedibili), il cast è di ottimo livello e fotografia, scenografie e costumi accattivanti. Visto che li ho inseriti nello stesso gruppo, è impossibile non fare un riferimento (non un paragone …) a L.A. Confidential, anch’esso ambientato a Los Angeles anche se a qualche decennio di distanza. Questo ha storia e protagonisti più plausibili mentre l’altro, per quanto possa essere ben girato e interpretato, appare molto più campato in aria, troppi personaggi fuori di testa, violenza gratuita ed eccessiva, sparatoria interminabile (con il 90% di colpi a vuoto, pur essendo opera di professionisti), corruzione alle stelle … una vera americanata, anche se di ottimo livello.Anche questo imperdibile per chi non l’avesse ancora visto.

  

Anatomy of a Murder (Otto Preminger, USA, 1959)

(IMDb 8,0 e RT 100%, 7 Nomination)

Classico court room movie, ma con una buona vena ironica e con un crimine poco chiaro. Un avvocato quasi ritiratosi dall’attività (James Stewart), accetta di difendere un militare (Ben Gazzara) che avrebbe ucciso il presunto violentatore della sua provocante moglie (Lee Remick). Dovrete guardare il film fino alla fine per sapere, forse, come son andate verament le cose. Vari sono i personaggi quasi da commedia; oltre all’avvocato difensore, ci sono i suoi due assistenti e il giudice (nuovo per quel tribunale), mentre le parti più serie e drammatiche sono riservate al presunto colpevole e all’avvocato inviato a supporto del D.A. (George C. Scott), arrogante e minaccioso, ma spesso messo alla berlina dall’umile avvocato di provincia. Per oltre 2 ore Otto Preminger tiene alta l’attenzione degli spettatori fra le indagini dell’avvocato in ambiente ostile, le civetterie della donna e i battibecchi in tribunale. Ottimo film di genere che, per definizione, prevede poca azione. Consigliato a quelli ai quali piacciono argute discussioni, dialoghi, stilettate e arguzie verbali, condite con una certa suspense.

L.A. Confidential (Curtis Hanson, USA, 1997)

(IMDb 8,2 e RT 99%, 2 Oscar e 7 Nomination, 124°)

Come molti avranno già intuito, a prescindere dai giudizi di tanti altri, questo film che già mi lasciò qualche perplessità anni fa, continua a non convincermi. Lo trovo esagerato, con personaggi molto sopra le righe e di caratteri completamente opposti, che convivono nello stesso distretto di polizia, nel quale il senso della legge è quasi del tutto assente. Pestaggi selvaggi, si alternano a incontri con la femme fatale di turno (Kim Basinger), gli intrecci fra politica, soldi, potere e polizia sono troppo spinti ed i comportamenti dei singoli sembra poco plausibile. I tre poliziotti sono ben interpretati da Kevin Spacey, Russel Crowe e Guy Pearce, anche James Cromwell fa la sua brava figura, mentre assolutamente ridicolo appare Danny DeVito; secondo me, la cosa peggiore è la sceneggiatura e a ciò si aggiunge la regia di Curtis Hanson (solo 14 film in 40 anni, chissà come mai) che lascia abbastanza a desiderare.

 

#cinema #cinegiovis