domenica 30 agosto 2020

Micro-recensioni 286-290: cinquina molto varia, tutta da guardare

Terminata l’incursione nei noir americani degli anni ’40 e ’50 (con qualche dramma non proprio noir), ecco un gruppo molto eterogeneo, con un’eccellenza di Alain Resnais accompagnata da due più che buoni film di Julien Duvivier, un dramma spagnolo di J. A. Bardem ed una singolare commedia horror demenziale americana; la media IMDb del gruppo è 7,5.
 
Mon oncle d'Amerique (Alain Resnais, Fra. 1980)
Gran bel film assolutamente poco convenzionale, fra Nouvelle Vague e avant-garde, a tratti documentaristico, con numerosi brevissimi inserti di scene tratte da vecchi film con protagonisti Jean Marais, Jean Gabin e Danielle Darrieux che appaiono in atteggiamenti o con espressioni coerenti alla precedente scena del film (Nomination Oscar per la sceneggiatura, Gran Premio della Giuria e FIPRESCI a Cannes).
Alla base del film c’è la ricerca sul condizionamento di Henri Laborit, neurobiologo e filosofo francese che collaborò alla sceneggiatura e a più riprese appare in prima persona per spiegare come i comportamenti umani siano simili a quelli delle cavie sulle quali conduceva i suoi esperimenti. La trama segue tre personaggi diversi con problemi di relazione di coppia e di lavoro che, occasionalmente, si incontrano.
A chi non conosca Alain Resnais ricordo che fu teorico del cinema, punto di riferimento per i registi della Nouvelle Vague (della quale, comunque, non si dichiarò mai partecipe) e che i suoi primi due film sono i famosi e acclamati (almeno fra i cinefili) Hiroshima mon amour (1959) e L'Année dernière à Marienbad (1961), entrambi Nomination Oscar per la sceneggiatura e vincitori di tanti importanti premi internazionali.

Voici le temps des assassins... (Julien Duvivier, Fra, 1956)
Interessante noir francese, quasi un thriller, generi nei quali Julien Duvivier fu più apprezzato anche se non disdegnava popolari film di cassetta. Fra i primi ci sono gli indimenticabili Pépé le Moko (1937) e Panique (1946), fra i secondi è bene ricordare che fu lui a dirigere i primi due film della saga di Don Camillo: Don Camillo (1952) e Il ritorno di don Camillo (1953). Questa fu l’ultimo dei 7 film nei quali diresse Jean Gabin, che qui interpreta un apprezzatissimo ristoratore nel quartiere dei mercati generali parigini, Les Halles. Dopo una ventina di anni dalla separazione con la moglie, improvvisamente compare una giovane che dice di esserne la figlia e da questo punto in poi si susseguono finzioni e trame diaboliche, condite con minacce, calunnie, furti e qualche morto … quali sono le verità e quali le bugie?
Assolutamente consigliato. 
  
La belle équipe (Julien Duvivier, Fra, 1936)
Sempre di Duvivier è questa commedia drammatica, anch’essa interpretata da Jean Gabin al cui lato si fanno notare anche Charles Vanel e Charpin. Cinque amici che vivono più o meno di espedienti, uno dei quali in fuga dalla guerra civile spagnola, vincono una consistente somma alla lotteria e decidono di aprire un ristorante/balera, ma andranno incontro a vari imprevisti. Si deve sottolineare che di questo film ci sono due finali di taglio molto diverso; quello originale è drammatico e lascia l’amaro in bocca e di ciò se ne resero subito conto i produttori che quindi lo cambiarono in uno molto più ottimista (io avrei optato per una terza soluzione …). In rete si trova una versione che comprende entrambe i finali nei quali si notano varie scene in comune. Da guardare, anche se la trama è molto leggera ed in buona parte scontata.

Cómicos (Juan Antonio Bardem, Spa, 1954)
Juan Antonio Bardem era membro di una famiglia di cineasti, zio dell’oggi famoso Javier, ed è ricordato e apprezzato soprattutto per i suoi primi film, degli anni ’50. Questa fu la sua seconda direzione, seguita dai suoi migliori prodotti, vale a dire Calle Mayor (1955) e Muerte de un ciclista (1956) … consigliati entrambi.
Qui la trama si sviluppa in seno ad una piccola compagnia teatrale itinerante, mal messa eppure di un certo livello. Ben presentati sono i personaggi, la prima attrice che pretende di essere inamovibile, l’impresario, il capocomico, attrici di belle speranze, quelli che a stento sopravvivono con la misera paga. Buona descrizione di tale ambiente, nella disastrata Spagna degli anni ’50.

Tucker & Dale vs Evil (Eli Craig, USA, 2010)
In effetti ri-visto in compagnia un paio di settimane fa, aveva rinviato queste poche parole per non interrompere il flusso noir e drammi americani di metà secolo scorso.
Incentrato sul genere horror, rovescia i ruoli e fin dall’inizio appare chiaro che i due hillbilly sono tanto buoni e innocui quanto incapaci, specialmente nelle relazioni sociali. Questa loro attitudine stravagante viene continuamente mal interpretata da un gruppo di studenti in vacanza e sarà causa di una serie incredibile di incomprensioni, conclusioni affrettate ed equivoci che, a loro volta, porteranno a incidenti e morti di ogni genere, quasi tutte tendenti al gore e allo splatter. Una volta capito l’andazzo, è facile prevedere chi sarà il prossimo a soccombere anche se non sempre si sa esattamente come.
I riferimenti a noti film sono chiari, a cominciare da The Texas Chain Saw Massacre (1974, aka Non aprite quella porta). Particolarmente apprezzato dagli amanti del genere horror, ha i suoi meriti e chi è di ampie vedute (cinematografiche) non se lo dovrebbe perdere. Lo confermano i rating, con 7,5 su IMDb e un più che meritato 85% di recensioni positive su RT (su 113) e con la prima che recita: Here's something you don't see every day: a genial, politically correct splatter comedy.

#cinegiovis #cinema #film

sabato 29 agosto 2020

Salvataggio o inopportuna interferenza?

Il video linkato in questo post è apparso sulla pagina FB di tale Domenico Vitale ed in un paio di settimane ha ricevuto, oltre a decine di migliaia di Like diretti, quasi 25.000 condivisioni e circa 8 milioni di visualizzazioni. Pur trovandolo interessantissimo e appassionante, me ne occupo per un motivo puramente “etico”. 
Non essendo utente FB, non ho accesso alle migliaia di commenti pubblicati in merito al fatto e comunque non li avrei letti tutti, ma ho una mia precisa opinione in merito, certamente discordante da quella espressa troppo frettolosamente (almeno secondo me) da tante persone. Anche vari miei conoscenti con i quali ho avuto modo di interloquire (e che si erano subito schierati per il non-intervento) hanno ammesso che non avevano valutato la questione a fondo e, comunque, non dal mio punto di vista. 
In sostanza, il nocciolo della questione è: 
gli umani devono o non devono interferire nella vita degli animali?
Molto in linea di massima, concordo con quelli che propendono per il NO, ma nello specifico caso avanzo molte riserve e mi sento di lodare l’autore di questo vero e proprio salvataggio. Infatti, per le mie (seppur limitate) conoscenze etologiche, sono convinto che il rapace non avrebbe mai allentato la presa degli artigli né il serpente quella delle sue spire. Risultato? Sarebbero inutilmente morti entrambi!
Se un predatore insegue la sua preda (azione naturale ed istintiva, indispensabile per la sopravvivenza) trovo giusto non intervenire per non parteggiare per l’uno o per l’altro. Tuttavia, in questo specifico caso, il rapace non avrebbe potuto riprendere il volo, avendo le ali bloccate dal serpente, e con tutta probabilità il Cervone non si sarebbe mai liberato dalla ferrea presa degli artigli del Biancone (osservate lo sforzo del “salvatore” per separare i due animali). Un mancato intervento esterno avrebbe condannato i due ad una lenta e inevitabile agonia. Per come è andata la storia, invece, l’Elaphe quatorlineata (il serpente, da noi noto come Scurzunaro)) avrà modo, anche se non la certezza, di vivere molti altri anni cacciando piccoli mammiferi, e quanto altro fa parte della sua dieta, e il Circaetus gallicus (il rapace, noto anche come Aquila delle serpi) continuerà a cacciare piccoli mammiferi e rettili, ma d’ora in poi starà ben attento a limitarsi a quelli non troppo grandi!


PS - Non tutti i serpenti sono vipere (come purtroppo molti credono, inclusa la donzella della quale si sente la voce) e non devono essere uccisi essendo non solo assolutamente innocui per gli umani, ma oltretutto utili all’equilibrio dell’ambiente.

mercoledì 26 agosto 2020

Micro-recensioni 281-285: ultima cinquina noir, più che buona

Gruppo costituito dai più recenti fra i film noir americani che ho recuperato (li ho guardati in ordine cronologico), solo l’ultimo è degli anni ’60 ed è anche l’unico a colori. Dei 5 solo uno è stato deludente, gli altri 4 per un motivo o per l’altro sono senz’altro da raccomandare e non solo per gli ottimi interpreti e i buoni registi che li hanno diretti.
 
The Killers (Don Siegel, USA, 1964)
Singolare remake dell’omonimo film del 1946 diretto da Robert Siodmak e interpretato da Burt Lancaster e Ava Gardner, che ottenne ben 4 Nomination Oscar. Gli eventi sono più o meno gli stessi ma se nel primo l’interessato a scoprire chi fosse il mandante e perché la vittima non fosse scappata era un investigatore, in questa nuova versione sono gli stessi killer a chiederselo e cercheranno di venire a capo dell’intricata vicenda, supponendo che ci sia una grossa somma di denaro in ballo. Accanto ai protagonisti Lee Marvin (senior killer), John Cassavetes (la vittima) e Angie Dickinson (la vamp di turno), ci sono ottimi caratteristi dai volti ben noti ed anche Ronald Reagan (poi Presidente USA 1981-1989).
Entrambi i film meritano un’attenta visione anche conoscendo il finale della trama in qualunque ordine si guardino (il soggetto è adattato da uno stesso racconto di Ernest Hemingway); è interessante il diverso approccio e gli ovvi opposti punti di vista.

The Big Knife (Robert Aldrich, USA, 1955)
Dramma/noir di evidente derivazione teatrale, con un ottimo cast, ben diretto dal solito Aldrich. Al fianco dei mattatori Jack Palance, Rod Steiger e Ida Lupino (ben nota star dei noir, sia come attrice che come una delle poche donne regista dell’epoca) c’è ancora una volta la giovane Shelley Winters, ma anche ottimi caratteristi come Everett Sloane (famosi i suoi personaggi in due film di Orson Welles: Citizen Kane e The Lady from Shangai) e Wendell Corey (il poliziotto di Rear Window - La finestra sul cortile). Ottimo noir da guardare con attenzione anche se non ci sono assassini, poliziotti e inseguimenti.
  
The Scarface Mob (Phil Karlson, USA, 1959)
Primo e originale The Untouchables, presentato in due parti come film TV, subito dopo distribuito nelle sale con questo nome e poi divenuto una serie TV di successo. Basato sulle memorie di Eliot Ness (morto appena due anni prima, interpretato da Robert Stack nel film e nella serie) viene proposto in puro stile noir, con precisi riferimenti, nomi e date.
Solido noir-quasi documentario, per quanto sia essenziale è piacevole da guardare, ben diretto e ben interpretato.

Tight Spot (Phil Karlson, USA, 1955)
Ottima interpretazione di Ginger Rogers che, dopo aver ottenuto fama mondiale al fianco di Fred Astaire negli anni ’30 (10 film con lui), qui si distingue come attrice di ottimo livello, senza accennare alcun passo di danza. Girato soprattutto in interni, narra delle titubanze e paure di una reclusa prelevata dal carcere e tenuta sotto protezione poche ore prima di un processo contro un importante gangster, per essere una importante testimone d’accusa. Dovrà scegliere fra tentare di ottenere uno sconto di pena rischiando la vita o rinunciare a testimoniare sperando di essere lasciata in pace.
Nel ruolo del procuratore c’è il sempre impeccabile Edward G. Robinson, il poliziotto che la protegge è Brian Keith. Da guardare.

The Burglar (Paul Wendkos, USA, 1957)
Nettamente al di sotto degli agli 4 di questo gruppo, sia perché la storia è debole e mal messa in scena, sia perché il cast, pur includendo nomi di cartello per il genere (Dan Duryea, Jayne Mansfield, Martha Vickers) appare mal diretto o quantomeno “svogliato”. Evitabile.

giovedì 20 agosto 2020

Micro-recensioni 276-280: veri noir ma mi aspettavo di più

Cinquina con tanti buoni nomi (von Sternberg, Aldrich e Cromwell fra i registi, Cagney, Rooney, Mitchum fra gli attori) ma in fin dei conti i 5 film ottengono solo la sufficienza, più o meno risicata. Vale però la pena sottolineare che il gruppo stavolta è composto da veri noir e quindi per gli appassionati del genere sono meritevoli di essere guardati.
 
Kiss Me Deadly (Robert Aldrich, USA, 1955)
Regista e rating (IMDb 7,6 e RT 98%) facevano sperare in qualcosa di meglio. Tecnicamente molto ben realizzato, con ritmo rapido descrive la movimentata trama mostrando pochissimo, quasi senza violenza pur lasciandone immaginare tanta, oltre ad una sequela di morti. Il protagonista è il detective privato Mike Hammer (qui interpretato da Ralph Meeker), personaggio di immediato successo creato pochi anni prima da Mickey Spillane. Decine e decine di suoi romanzi e short stories (in parte scritte in collaborazione di Max Allan Collins) sono stati adattati in film, film TV e serie televisive. Trovo che il problema con personaggi simili (Sherlock Holmes, James Bond, Miss Marple, …) consista nella certezza che il protagonista sopravviva a tutto … spesso in modo a dir poco incredibile facendo venire a mancare la vera suspense. Il film si regge quasi esclusivamente sulla regia di Aldrich e sulla fotografia, essendo anche gli attori poco convincenti.

Macao (Josef von Sternberg, USA, 1952)
Uno dei tanti film ambientati nel misterioso oriente, in un porto multietnico, punto d’incontro di personaggi a dir poco singolari, crocevia di traffici legali e illegali di ogni tipo. Protagonista è Robert Mitchum, sempre con la stessa espressione e gli stessi atteggiamenti ... noir, western o crime, per lui non c’è differenza.
Location e intrigo avrebbero meritato miglior sceneggiatura, resta un film appena sufficiente mal sviluppato.
  
The Racket (John Cromwell, USA, 1951)
Di nuovo Robert Mitchum veste i panni del protagonista e, come spesso accade, è di presenza ma quasi del tutto inespressivo; in questo noir viene assolutamente eclissato dal Robert Ryan prefetto nel ruolo del gangster di turno.

Kiss Tomorrow Goodbye (Gordon Douglas, USA, 1950)
Prodotto e interpretato da James Cagney che continuava a fare il bulletto e il tombeur de femmes dimenticando di essere all’epoca già 51enne e non più adeguato ai ruoli che lo avevano reso famoso una ventina di anni prima. Personaggio poco credibile, sempre con lo stesso ghigno.

Drive a Crooked Road (Richard Quine, USA, 1954)
Film su misura per Mickey Rooney (1,57m), che resta uno dei più famosi shorty (piccoletti) hollywoodiani ricoprendo quasi sempre ruoli di buoni, timidi, onesti, ingenui, ecc. Non fu la prima volta che Rooney interpretava un pilota automobilistico (The Big Wheel, 1949) ma neanche stavolta riesce ad essere veramente credibile. Il regista lo diresse anche le 34 puntate The Mickey Rooney Show (serie televisiva 1954-55).

lunedì 17 agosto 2020

Micro-recensioni 271-275: solidi film, noir o quasi noir

Come preannunciato, questa cinquina è di livello medio molto migliore della precedente ed ogni film vanta una o più “eccellenze”, in settori diversi. Non a caso il loro rating medio su IMDb è 7,2 e su RT 90%. Pur non essendo capolavori, sono certamente buoni film della fine degli anni ’40 e tutti meritano una visione.
 
Gun Crazy (Joseph H. Lewis, USA, 1950)
Un Bonnie and Clide ante litteram, vagamente simile alla coppia di famosi criminali; anche se i due erano già stati uccisi nel 1934 e il primo film biopic più o meno ufficiale fu quello del 1958 diretto da William Witney. Da sottolineare che la sceneggiatura è opera di Dalton Trumbo, uno dei più rinomati autori di Hollywood seppur in molti anni fosse stato inserito nella black list e quindi bandito (Trumbo di Jay Roach, 2015, è il suo biopic). In questo caso i due si incontrano in una fiera itinerante, lui semplice fanatico di armi, lei tiratrice eccezionale che si esibisce come fenomeno dalla mira infallibile. L’avidità e la mancanza di scrupoli (specialmente della ragazza) condurrà entrambi su una via senza ritorno. 

Side Street (Anthony Mann, USA, 1950)
Un giovane in procinto di diventare padre coglie l’occasione per impossessarsi di 200 dollari, ma scoprirà che il reato è di ben altra entità e ciò scatenerà una sequela di avvenimenti che porteranno anche a varie morti violente. Tutti i tentativi per redimersi e mettersi la coscienza a posto si riveleranno inutili … anzi in parecchi casi peggioreranno la situazione.
  
Hollow Triumph (Steve Sekely, USA, 1948)
Aka The Scar (= cicatrice, quasi uno spoiler …), film ben realizzato e ben interpretato da Paul Henreid, il Victor Lazlo di Casablanca. Interessante sceneggiatura con l’unica pecca del chiarire troppo palesemente (cosa facilmente evitabile) la causa della scoperta della differenza fra i due sosia. Tutto il resto è sapientemente messo in scena. Non mancano vari twist né la femme fatale.

Thieves' Highway (Jules Dassin, USA, 1949)
C’è un ottimo trio di protagonisti in questo crime che si sviluppa nel mondo del mercato ortofrutticolo: Richard Conte, Lee J. Cobb e Valentina Cortese. La precisa regia di Jules Dassin (già apprezzato per The Naked City, 1949) ben rende la buona sceneggiatura.

Not Wanted (Elmer Clifton, USA, 1949)
Dramma a tutti gli effetti, assolutamente non un noir. La protagonista è una brava ragazza ma superficiale, quasi in rotta con i genitori, troppo ingenua e sognatrice. Come avverte la voce fuori campo all’inizio del film, si narra una storia che si ripete quasi quotidianamente. In effetti il personaggio (ben descritto) non è tanto da compatire ma da biasimare per comportarsi in modo insulso e irrazionale ogni volta che debba prendere delle decisioni. La giustificazione dell’età (19 anni) non è sufficiente per “scagionarla” da ogni responsabilità.
  
#cinegiovis #cinema #film

venerdì 14 agosto 2020

Rating dei sentieri: non sanno più cosa inventarsi!

Primo post dell'ottavo anno di Discettazioni Erranti

Mi è capitato di arrivare sul sito ufficiale di un National Park (NP) americano, esattamente quello dello Shenandoah NP, in Virginia. Hanno dedicato una specifica pagina al come determinano la difficoltà di un’escursione, un calcolo concettualmente pressoché folle che utilizza la seguente formula: radice quadrata del doppio del dislivello (in piedi) x la distanza (in miglia).
Il primo problema consiste nel fatto di dare una stima di impegno fisico (legato esclusivamente a distanza e dislivello) e la fanno passare per difficoltà … che è tutt’altra cosa. Questa infatti dipende dal fondo dei sentieri e dalle pendenze, valutazione del tutto trascurata. Inoltre la formula è poco pratica per chi utilizza il Sistema Internazionale (SI), solo negli USA non si sono ancora adattati al sistema decimale! Nel resto del mondo si dovrebbe convertire in piedi il dislivello misurato in metri moltiplicandolo per 3,28 e in miglia la distanza misurata in km moltiplicandola per 0,62. La formula diventa quindi: radice quadrata di (dislivello in m x 3,28 x 2) x (distanza in km x 0,62). Il risultato viene quindi associato ad una delle seguenti 5 fasce:

  • < 50 Facile: generalmente meno di 5km, pendenze dolci, adatto a chiunque ami camminare.
  • 50-100 Moderato: generalmente da 5 a 8km, adatto a chi può affrontare sentieri un po’ più impegnativi, con discreta pendenza e possibili tratti ripidi.
  • 100 –150 moderato impegnativo: generalmente da 8 a 13km, risulta arduo per persone fuori allenamento
  • 150-200 impegnativo: generalmente da 12 a 16km, lungo e ripido è arduo per la maggior parte degli escursionisti, anche per il dislivello.
    > 200 molto impegnativo: generalmente oltre 13km, solo escursionisti ben preparati dovrebbero affrontarli, oltre ad essere lungo e ripido può includere attraversamenti di tratti rocciosi e di ruscelli e superamento di altri ostacoli naturali.
  • > 200 molto impegnativo: generalmente oltre 13km, solo escursionisti ben preparati dovrebbero affrontarli, oltre ad essere lungo e ripido può includere attraversamenti di tratti rocciosi e di ruscelli e superamento di altri ostacoli naturali.
La cosa “tristemente divertente” è che nella stessa pagina candidamente ammettono che tale metodo è “approssimativo e imperfetto” e, almeno in questo, hanno perfettamente ragione. A mo’ di esempio aggiungono che il sentiero Dark Hollow Falls ha rating 36,3 (facile) solo perché è molto breve ma, oggettivamente, dovrebbe essere valutato almeno come moderato essendo molto ripido.
Si cade poi nel ridicolo considerando una velocità media di 2,4 km/h per i percorsi facili, 2,25 km/h per i moderati, 2,1 km/h per i moderati impegnativi e 1,9 km/h per quelli impegnativi e molto impegnativi; ciò senza considerare soste, foto e condizione. Gli svizzeri, che certamente ne sanno molto di più in quanto a escursionismo, nel loro famoso “grafico/tabella” (riportata in basso) considerano ben 4,2km/h sui sentieri facili, mentre procedendo ai 2,4km/h dei virginiani gli elvetici prevedono di superare anche un dislivello di oltre 300m, con una pendenza media del 15% circa.
Morale: prima di intraprendere un qualunque percorso che non si conosce, oltre ad accertarsi della distanza da coprire e dislivello da superare, è bene analizzare la distribuzione delle pendenze e informarsi sulla qualità del fondo che, è bene ricordarlo, può cambiare di molto in dipendenza delle stagioni.
Non vi fidate ciecamente dei vari facili, difficili, per tutti, ecc. pubblicizzati su siti e brochure varie.

A chi interessa questo argomento suggerisco di leggere questi altri post:
escursionismo: fattori che incidono sui tempi di percorrenza

giovedì 13 agosto 2020

Micro-recensioni 266-270: si torna ai noir classici

Cinquina sottotono, con la maggioranza dei film legati alle conseguenze della guerra terminata un paio di anni prima e, stranamente, alcuni hanno in comune la parte psichica al centro della trama. Non tutti sono di buon livello, anche se interpretati da attori che andavano per la maggior (p.e. Burt Lancaster) ma, in compenso, il prossimo gruppo si preannuncia molto interessante e di più alto livello.
 
Sleep, My Love (Douglas Sirk, USA, 1947)
Ancora una volta un regista di scuola tedesca emigrato oltreoceano. Specialmente nelle tante scene in interno si nota l’influenza dello stile che i vari Lang, Siodmak, Lubitsch, von Sternberg, Wilder, Curtiz e altri introdussero a Hollywood. Nel solido cast si distingue Don Ameche, ben supportato non solo dai coprotagonisti Claudette Colbert, Robert Cummings, ma anche dai vari caratteristi che ricoprono gli altri ruoli.
Essendo difficile dire qualcosa della interessante trama senza fare spoiler, seppur non fondamentali, dico solo che si tenta di far passare per insana di mente la protagonista, con l’aiuto di vari singolari personaggi, alcuni conniventi, altri assolutamente ignari della diabolica trama. Buona sceneggiatura, ben messa in scena, con ottima scelta dei tempi.
Da guardare.

Larceny (George Sherman, USA, 1948)
I protagonisti sono un gruppo di truffatori (non troppo affiatati) che agiscono nell’ambiente dell’alta società, dove i dollari circolano in quantità e senza tanti problemi. Ovviamente, si devono creare personaggi, storie, background e “garanzie” per ottenere la fiducia delle loro vittime. Trama ben costruita e con tanti twist, fino al movimentato finale, anche se in buona parte prevedibile. L’elemento di disturbo è l’infida, bellicosa, passionale e incontrollabile Tori che, a causa del suo carattere “esuberante”, mette a rischio l’intera operazione truffaldina. L’interpreta una ottima Shelley Winters che all’epoca, giovane e snella, interpretava frequentemente ruoli di femme fatale o ragazza del boss di turno, come in questo caso, ma tutt’altro che sottomessa … (nella foto al lato è con Dan Duryea).
Un noir originale che merita la visione.
  
High Wall (Curtis Bernhardt, USA, 1947)
Un pilota di rientro dall’Indocina dopo 2 anni di assenza si ritrova implicato nell’assassinio di sua moglie. A causa di un precedente incidente che aveva causato danni cerebrali e successiva operazione, soffre di perdita di memoria e confessa di averla uccisa. Una dottoressa dell’ospedale psichiatrico nel quale si deve stabilire il suo stato mentale non crede alla sua colpevolezza e da qui in avanti gli avvenimenti diventano sempre meno credibili. Idea di partenza non malvagia, ma si perde fra parte legale, clinica e azione. Appena sufficiente.

Kiss the Blood Off My Hands (Norman Foster, USA, 1948)
Deludente … i due famosi attori protagonisti Burt Lancaster e Joan Fontaine (sorella minore di Olivia de Havilland) non riescono e rendere credibile questa storia ambientata a Londra nell’immediato dopoguerra. Lei infermiera lui reduce da un campo di prigionia nazista, soggetto a scatti di violenza. La trama ha molto poco di plausibile e si sviluppa in modo lento e poco coinvolgente.
Evitabile.

I Wouldn't Be in Your Shoes (William Nigh, USA, 1948)
Il titolo si riferisce in modo sottile alla causa della condanna a morte di un innocente che faceva del ballo la sua professione; le sue scarpe sono l’indizio principale del suo coinvolgimento nell’assassinio. I tempi sono molto mal gestiti e i flashback e la voce fuori campo creano ulteriore confusione. Il soggetto era potenzialmente buono ma è stato adattato in modo insoddisfacente.  
Evitabile.

#cinegiovis #cinema #film

sabato 8 agosto 2020

Micro-recensioni 261-265: solo Siodmak, non solo noir

Cinque film abbastanza diversi fra loro diretti da Siodmak a metà anni ’40; tre di essi hanno in comune la presenza di Ella Raines, attrice dallo sguardo magnetico -evidentemente apprezzata dal regista - che in quell’epoca ebbe gran fama ma la sua carriera fu brevissima, una ventina di film in 10 anni. Al contrario, i protagonisti maschili sono tutti diversi ma di gran qualità a prescindere dalla notorietà: Victor Mature, Richard Conte, George Sanders, Gene Kelly, Charles Laughton.
 
Cry of the City (Robert Siodmak, USA, 1948)
L’unico vero e classico noir di questo gruppo. Protagonisti sono due italoamericani che si conoscono dall'infanzia ma che hanno preso strade diverse, uno è tenente della omicidi, l'altro un balordo privo di scrupoli con reati di ogni tipo sulla coscienza, fra il quali l'omicidio di un poliziotto. Ben strutturato, pieno di twist piazzati al momento giusto, scorrevole e rapido pur se con poca vera azione. Tuttavia, la regia mi è sembrata poco solida e specialmente nel montaggio mi è sembrata carente. Perfetti i due interpreti principali: Victor Mature (il poliziotto Lt. Candella) e Richard Conte (il criminale Martin Rome). Molto ben descritti anche i rapporti fra i membri della famiglia (numerosa) Rome, con la classica madre italoamericana (probabilmente di prima generazione) che si preoccupa per tutti. C’è anche tanto italiano dei dialoghi ma nella v.o. che ho visto non c’è traccia di sottotitoli … gli americani capivano tutto?
Interessanti anche i tanti personaggi di contorno, avvocato ricettatore, medico senza licenza, infermiera, massaggiatrice, … fra gli interpreti c'è anche una giovane Shelley Winters.
Nonostante le succitate pecche, lo consiglio.

The Suspect (Robert Siodmak, USA, 1944)
Noir sui generis, è ambientato a Londra all’inizio del secolo scorso e non si sviluppa nel mondo del crimine bensì in una famiglia borghese benestante. I coniugi di mezza età e senza figli tuttavia non vanno per niente d’accordo e l’apparizione della giovane e avvenente Mary Gray (interpretata da Ella Raines) porterà lo scompiglio nella famiglia. Ennesima ottima prova di Charles Laughton, protagonista assoluto del film; purtroppo per lui, sarà “perseguitato” dal flemmatico ispettore Huxley di Scotland Yard. Ironico e in più occasioni divertente, in particolare nei battibecchi fra marito e moglie.
Il finale sembra un po’ edulcorato, probabilmente anche in questo caso la ragione deve essere individuata nel Code (vedi commento seguente). Consigliato.
  
The Strange Affair of Uncle Harry (Robert Siodmak, USA, 1945)
Palesemente rovinato dalla scelta del finale, cosa che causò addirittura le dimissioni del produttore esecutivo, in pieno disaccordo come tanti. Furono proposte e girate ben 5 diverse conclusioni; non conosco le altre ma quella inserita nella pellicola che giunse nelle sale è certamente deludente, assolutamente insensata e dissonante rispetto a quanto mostrato in precedenza. Oltretutto tradisce il finale dell’omonimo lavoro teatrale dal quale è tratto. Chiaramente la causa è da individuare nell’obbligo di rispettare il Motion Picture Production Code, la serie di regole molto prossime alla censura che fra il 1934 e il 1968 condizionò (in negativo) tanti film potenzialmente più che buoni rendendoli poco credibili e stravolgendo nelle ultime scene i caratteri di personaggi. Ottimamente interpretato da George Sanders e dalle attrici che vestono i panni delle 4 donne che lo circondano.

Christmas Holiday (Robert Siodmak, USA, 1944)
Tratto da un racconto di Somerset Maugham, Nomination Oscar per il commento sonoro. Sorprende la presenza di Gene Kelly che non accenna neanche un passo di ballo e se la cava più che dignitosamente come attore vero e proprio.
Si basa su due storie parallele, messe insieme da un incontro casuale che porta a galla le storie sentimentali dei due perfetti sconosciuti facendo riconsiderare loro alcune valutazioni e conseguenti programmi. Gli indispensabili flashback sono ben organizzati e i dialoghi ovviamente di livello visto che per lo più sono frutto della penna di Maugham.

Time Out of Mind (Robert Siodmak, USA, 1947)
Il più deludente del gruppo, strano soggetto per Siodmak, senza morti e senza polizia, un dramma famigliare puro e semplice, con un padre despota e un figlio con poca spina dorsale, che si fa condizionare dalle donne che lo circondano e si rifugia nell'alcol.  

mercoledì 5 agosto 2020

Micro-recensioni 256-260: altri noir, di cui 2 di Siodmak, maestro del genere

Nella raccolta Film Noir Classic citata nel post precedente, oltre ai tanti già ben noti, ci sono numerosi film interessanti seppur non tutti realmente classici, per epoca o soggetto. Procedendo in ordine cronologico nelle visioni di quelli che ho scelto, in questa cinquina sono capitati 2 film di Robert Siodmak, uno dei tanti ottimi registi europei emigrati a Hollywood, specializzato in questo genere, e i soli due veri noir del lotto. Fra i suoi film più noti ci sono pietre miliari come Criss Cross e The Killers (entrambi 100% su RT e con Burt Lancaster protagonista), nonché The Spiral Staircase (aka La scala a chiocciola), un po’ meno apprezzato dagli esperti, ma forse più conosciuto degli altri dal grande pubblico, almeno in Italia. Se non li conoscete ve li raccomando, non sarà difficile recuperarli.
 
Phantom Lady (Robert Siodmak, USA, 1944)
Con questo suo primo noir Siodmak si fece notare negli Stati Uniti e di lì iniziò il periodo migliore della sua produzione. Si tratta di una delle tante storie basate su un personaggio vivo e vegeto che appare nel film e poi misteriosamente scompare, facendo passare per folle chi giura di averlo visto; solo ritrovandolo il protagonista potrà scrollarsi di dosso un’accusa di omicidio.

The Dark Mirror (Robert Siodmak, USA, 1946)
Di due anni successivo a Phantom Lady, stranamente anche questo ruota attorno a donne misteriose, in questo caso due gemelle perfettamente identiche, ma solo nell’aspetto. Ben congegnato, mantiene alta l’attenzione dello spettatore dal momento in cui appaiono le gemelle (nei minuti iniziali) fino alla alle ultime scene. Al limite fra noir e thriller psicologico, con Olivia de Havilland nei panni di Terry e Ruth Collins (che sono solite sostituirsi in varie occasioni) e con due protagonisti maschili: il poliziotto (interpretato dal caratterista Thomas Mitchell) e uno psicologo (Lew Ayres).
Consigliato.
  
So Dark the Night (Joseph H. Lewis, USA, 1946)
Noir hollywoodiano in trasferta nella campagna francese, con trama apparentemente banale ma con risvolti veramente inusuali, specialmente la conclusione è spiazzante. Non per niente non è stato tanto apprezzato dal pubblico (solo 6,3 su IMDb), ma su RT vanta un 100% in quanto, seppur poche, le recensioni sono tutte positive.
Come The Dark Mirror è classificabile fra noir e thriller psicologico, ma non è all’altezza del film di Siodmak.

13 Rue Madeleine (Henry Hathaway, USA, 1946)
Si trova nel gruppo Film Noir Classic, ma è un film di spionaggio ambientato durante la WWII, poco prima dello sbarco in Normandia ed ambientato fra USA e Francia. James Cagney è l’istruttore di un gruppo di spie fra le quali si sa che c’è un infiltrato nazista, ma qualcosa andrà storto e lui dovrà scendere personalmente in campo per salvare la segretezza della data dell’imminente sbarco. Fra i protagonisti si distingue l’italoamericano Richard Conte, raramente vero protagonista, ma ottimo caratterista con ruoli di rilievo in film noir, crime e di mafia americana.

Murder on the Blackboard (George Archainbaud, USA, 1934)
Anche questo si trova fra i noir, ma in effetti si tratta di una commedia poliziesca degli anni ’30 che vede protagonista l’anziana insegnante Hildegarde Withers, aspirante detective, che si confronta con l’ispettore Oscar Piper. Questa coppia di personaggi creati da Stuart Palmer si erano già affermatasi nel precedente Penguin Pool Murder (1932) e furono poi riproposti nel terzo elemento della trilogia: Murder on a Honeymoon (1935).
Molto datato, risulta comunque interessate spaccato d’epoca tendente al caricaturale.

lunedì 3 agosto 2020

Micro-recensioni 251-255: 3 noir, 1 western e 1 dark comedy

Essendomi attardato nel pubblicare le recensioni precedenti, arriva subito la nuova cinquina, iniziata con una visione HD di The Party (già guardato in aereo, quindi non goduto, ancor prima che giungesse in Italia) e continuata con una serie di noir statunitensi.
Anticipo che, avendo trovato una ricca collezione di noir americani classici sul sito ok.ru, fra i quasi 200 proposti ne ho scelti una trentina fra quelli di buona reputazione e spesso diretti da ottimi registi (Aldrich, Siodmak, Dassin, Sirk, Hathaway, Mann, …) e interpretati da noti attori e caratteristi del genere fra i quali James Cagney, Robert Mitchum, Jack Palance, Ida Lupino, Edward G. Robinson, Joan Fontaine, Jayne Mansfield, Burt Lancaster, Dan Duryea, Robert Taylor … saranno quelli che guarderò a seguire.
Agli interessati segnalo che nella pagina sono linkati anche tanti classici ancora migliori: Detour, Suddenly, Brighton Rock, Laura, The Lady from Shangai, The Killers, The Killing, The Third Man, Sweet Smell of Success, Mildred Pierce, Compulsion, The Night of the Hunter, This Gun for Hire, tutti film da non perdere.
 

The Naked City (Jules Dassin, USA, 1948)
Visto tanti anni fa, l’ho trovato in HD e quindi ri-guardato con piacere. Si tratta di un ottimo film che ottenne 2 Oscar (fotografia b/n e montaggio, nonché Nomination per il soggetto) ed è uno dei pochi, se non l’unico, nei quali l’inconfondibile caratterista Barry Fitzgerald riveste il ruolo di protagonista. Tanta voce narrante accompagna gli spettatori nell’indagine sulla misteriosa morte di una modella che vedrà coinvolti ladri, ricettatori e membri dell’alta società.

The Party (Sally Potter, UK, 2017)
Chi va a scorrere i commenti pubblicati in IMDb troverà poche valutazioni mediocri o appena sufficienti, ma tante fra 9 e 10 e altrettante fra 1 e 3. Fra questi ultimi ce ne sono parecchi che lo criticano semplicemente per essere in b/n (per altro ottimo) o per essere troppo breve (1h11') quindi insensati. I diversi punti di vista più pertinenti sono invece focalizzati sulla banalità dei dialoghi e prevedibilità di alcuni eventi, negative per alcuni, pregio per altri che le interpretano come satira critica di tale ambiente assimilabile al radical chic. Io propendo per la seconda interpretazione.
Il cast (solo 7 Attori) non si discute e per l'ambientazione in un unico appartamento ha fatto sì che molti lo accostassero a Carnage (2011, Polanski).
   
The Lineup (Don Siegel, USA, 1958)
I primi 50" sono memorabili, con poche grida (niente dialoghi) e una decina di rapide scene Don Siegel racconta una storia, perfettamente comprensibile, che è alla base di tutto il film. Nei panni di un killer psicopatico si fa notare Eli Wallach, allora alla sua seconda apparizione dopo aver esordito in Baby Doll (1956, di Elia Kazan); seguirono Seven Thieves (di Henry Hathaway, con Edward G. Robinson, Rod Steiger e Joan Collins) e poi The Magnificent Seven (di John Sturges) … quando si dice partire con il piede giusto.
In questo film non mancano suspense, traffico internazionale di opere d’arte (e droga), ostaggi, omicidi e gli inevitabili inseguimenti tanto amati dagli americani. Semisconosciuto, ma senz’altro meritevole di una visione.

The Mob (Robert Parrish, USA, 1951)
L’assassinio di un poliziotto porta un suo collega (fortuitamente sulla scena del delitto) a diventare un infiltrato. La trama abbastanza originale e la buona messa in scena rendono The Mob una gradevole visione.

Blood on the Moon (Robert Wise, USA, 1948)
Robert Wise inziò nel 1942 come assistente di Orson Welles in The Magnificent Ambersons, si cimentò in vari generi per poi giungere alla fama internazionale con i film per i quali vinse 4 Oscar: West Side Story (1961) e The Sound of Music (1965). Questo film è a tutti gli effetti un western classico, tendente al tipo psicologico, ma fu pubblicizzato come noir western, per i vari riferimenti a tale genere. Quando si mischiano troppo i generi raramente si ottengono grandi risultati, tuttavia è un film ben realizzato e senz’altro una interessante visione per gli appassionati.