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domenica 8 dicembre 2019

Ultime note hawaiiane: piatto, bevanda, agrume e Natale

Anche questa "spedizione" è giunta al termine e a quanto scritto nei precedenti post aggiungo qualche singolarità: pokekava (awa alle Hawaii), pummelo (pomelo) e addobbi natalizi a Honolulu.

Il terzo tacchino (vedi precedente post) era accompagnato da altri piatti locali fra i quali vari tipi di poke (pesce crudo marinato) e dalla mitica kava.
Con la dilagante invasione dei cibi orientali ormai il poke si anche trova in Italia, ma quelli di Oahu sono certamente più originali e sono fra i miei piatti preferiti. 
Oggi molto comune in Giappone anche se, in realtà, è certamente originario delle Hawaii, si trova in varie versioni le cui più diffuse sono quelle a base tocchetti di pesce, soprattutto aku (tonnetto striato) o ahi (tonno pinna gialla), o di polpo (heʻe). Alghe e sale marino sono indispensabili, le salse cambiano molto in base alle aree.

Come “aperitivo” mi è stata offerta la mitica kava, bevanda derivata dalle radici del Piper methysticum, pianta originaria delle isole del Pacifico occidentale.
La bevanda è in un certo senso discussa in quanto produce effetti in parte simili a quelli dell'alcool o di droghe leggere ma certamente non produce assuefazione né dipendenza, né induce aggressività o propensione alle liti, piuttosto facilita una calma conversazione a bassa voce, è quasi soporifera, inducendo una certa sonnolenza … quasi una camomilla. Dicevo discussa in quanto, seppur tradizionalmente quasi sacra nelle isole del Pacifico dove viene consumata in abbondanza anche in eventi ufficiali, non si conoscono a fondo gli effetti del suo consumo massiccio e prolungato. Ciò ha fatto sì che in vari periodi la kava sia stata bandita e tutt’oggi vari medicinali a base di estratti di Piper methysticum sono commercializzati liberamente in alcuni paesi, proibiti in altri.
I presenti alla cena, consumatori settimanali (weekend) e tutti legati in un modo o nell'altro alle isole dove è culturalmente inserito come Fiji e Filippine, hanno contribuito con le loro preparazioni (quasi una pasta) che vengono poi allungate con acqua a temperatura ambiente, e servite da una ampia coppa conica (kava bowl) che poggia su 4 o più piedi, tutto realizzato da un unico pezzo di legno. La coppa viene solo risciacquata, ma mai lavata … come si faceva con le macchinette da caffè napoletane. Solitamente la kava viene servita in coppette ricavate da noci di cocco tagliate a metà e poi levigate; molti hanno la loro “tazza personale”, che portano con sé.
Mi era stato anticipato il sapore amaro (gusto che preferisco insieme al piccante) che per molti “esordienti risulta quasi disgustoso, ma non mi è sembrato particolarmente tale. Mi sono fermato a tre abbondanti tazze perché non volevo riempirmi lo stomaco di liquidi primi di mangiare, ma non ho percepito alcun effetto particolare.


I frutti degli alberi di Citrus maxima (pomelo, pummelo, jabon, shaddock, pampaleone) sono certamente fra i più grandi visto che arrivano a pesare perfino 4 chili; quelli che settimanalmente arrivavano al Foster Botanical Garden (gentilmente offerti da uno dei giardinieri che ne produceva in abbondanza) si aggiravano sui 2 kg, quello della foto uno dei più piccoli. Il frutto è ormai sempre più in voga per i suoi effetti benefici, strano che abbia tardato tanto. Si tratta di uno degli agrumi più antichi, fra i capostipiti, dall’ibridazione del quale derivano sia il pompelmo (più amaro) che il cedrangolo (arancio amaro) da noi usato per lo più come portainnesto di tante altre specie di agrumi. Ha aspetto piriforme, una buccia molto spessa e la pelle che racchiude ciascuno spicchio è quasi immasticabile e per questo viene di solito rimossa. Molto succoso, ha sapore molto gradevole e bilanciato: meno dolce delle varie arance, meno aspro di limoni e mandarini, meno amaro dei pompelmi. 


Curiosità: 
davanti alla sede storica del municipio (Honolulu Hale), ogni anno viene montata una scenografia nella quale dominano le enormi figure di Shaka Santa (Papà Natale, shaka dall’ormai noto gesto amichevole e augurale) e la sua compagna Tutu Mele, attorniati da tartarughe e pinguini.

venerdì 22 novembre 2019

Piante molto particolari: Eucalyptus arcobaleno e Pianta cadavere!

Entrambe possono essere ammirate negli Honolulu Botanical Gardens, il primo (2 grossi alberi) a Wahiawa e la seconda (enorme infiorescenza molto puzzolente) al Foster, nella serra delle orchidee, anche se non lo è.

Andiamo per ordine … non sono pochi quelli che definiscono l’Eucalyptus deglupta l’albero più bello al mondo e, certamente se ci si riferisce alla parte legnosa, è anche fra i più singolari. 
I nomi comuni internazionali sono Rainbow eucalyptus (E. arcobaleno), Mindanao gum e rainbow gum, il primo per i suoi colori, gli altri due per produrre una resina gommosa dai vari utilizzi.
Originario delle Filippine, fu introdotto nelle Hawai'i per riforestazione proprio nel Wahiawa Botanical Garden, nel 1929. Quello della foto di apertura (nella quale compaio anche io e la botanica che mi ha assistito nei rilevamenti e compilazione delle mappe) è uno dei due piantati all’epoca e quindi ha oltre 90 anni. Questa varietà di Eucalyptus è l’unica originaria dell’emisfero nord, le altre centinaia di sono invece native di territori a sud dell’equatore, in particolare australiane. 

   


Questi Rainbow eucalyptus hawaiiani, pur essendo ben vistosi, pare che debbano essere considerati poco colorati se comparati con i loro simili nel luogo di origine, vale a dire le Filippine dove prolificano particolarmente bene nelle aree calde e umide. Lì, infatti, crescono ancor più rapidamente raggiungendo notevoli altezze, fino a 60m, e i colori sono ancor più vari e brillanti, dal giallo vivo al blu scuro. Ho aggiunto qualche foto recuperata in rete, giusto per mostrare come possano apparire. 
  


L’altra pianta, Amorphophallus titanum (aro titano o aro gigante, famiglia delle Araceae), possiede l’infiorescenza più grande al mondo, endemica dell'isola di Sumatra (Indonesia).
   


L’infiorescenza “a spadice”, come si può ben notare nelle foto (quella a sinistra è una di quelle del Foster), è veramente enorme e può raggiungere i 3 m di altezza. La fioritura dura meno di una settimana e, in quei pochi giorni, si formano file considerevoli di semplici “ammiratori” e, ovviamente, di cacciatori di selfie. Qui la fioritura viene annunciata non solo via siti istituzionali e social ma spesso anche sui quotidiani. Oltretutto c’è da dire che il nome comune inglese (Corpse plant) suscita molta curiosità anche in chi ne sa molto poco in quanto letteralmente significa “pianta cadavere”. Questo appellativo deriva dal fatto che l’infiorescenza emana un forte odore (non proprio allettante) di materia organica in putrefazione avanzata.

martedì 26 marzo 2019

Questione di lana caprina causa un incidente diplomatico fra Spagna e Portogallo

Quest'anno ricorre il 500° anniversario della partenza di Magellano (portoghese) da un porto spagnolo (Sanlúcar de Barrameda) con 5 imbarcazioni battenti bandiera spagnola, alla ricerca di una rotta occidentale per raggiungere le Molucche (alias Isole delle spezie), disputate fra spagnoli e portoghesi, e - in subordine - completare la circumnavigazione del globo terrestre.
In Portogallo si stanno preparando per celebrare quest’ultimo evento anche se Fernão de Magalhães (nome originale lusitano, Fernando o Hernando de Magallanes in spagnolo) non completò quel viaggio in quanto fu ucciso in un'isola nella battaglia di Mactán (Filippine, 27 aprile 1521), per mano di indigeni, mentre il comandante dell'unica nave che tornò in Spagna quasi 3 anni dopo fu lo spagnolo Juan Sebastián Elcano.
Cosa abbiano da commemorare i portoghesi non è chiaro ... forse il progetto di Magellano, che tuttavia fu rigettato dalla corte e successivamente, nell’ultima parte del viaggio, ostacolato in ogni possibile modo? Gli spagnoli, ovviamente, hanno cominciato a mettere i puntini sulle i.
Ma c’è un ulteriore dilemma “filosofico” ... cosa si intende per “giro del mondo”? Ci sono sostanzialmente due punti di vista: c’è chi intende tornare al punto di partenza procedendo sempre nella stessa direzione (verso est o verso ovest non importa) e chi semplicemente attraversare tutti i meridiani, anche in viaggi diversi.
Nel primo caso Elcano e i pochi sopravvissuti furono senz'altro i primi, nel secondo Magellano "potrebbe" essere stato il primo in quanto una decina di anni prima aveva navigato vari anni fra Indiaisole della Sonda, dove ritornò nel ’21 poi provenendo da est. Ho evidenziato "potrebbe" poiché, proprio in uno dei precedenti viaggi, nel porto malese di Malacca aveva comprato un giovane schiavo, poi detto Enrique de Malaca (o el Negro) che poi portò sempre con sé utilizzandolo anche come interprete. Questi era di probabile origine filippina e quindi, in tal caso, sarebbe stato lui il primo ad aver attraversato tutti i meridiani nel momento in cui la spedizione giunge nei pressi dei suoi luoghi natali, a est delle acque più orientali precedentemente solcate da Magellano.
Pur essendo stato per quanto possibile conciso, penso di aver chiarito che, pur avendo tante certezze e prove inconfutabili di date ed eventi, la questione non è di facile soluzione.

Da appassionato geografo, lascio la suddetta diatriba e passo discettare dei risultati più concreti ed interessanti del viaggio:
  • La scoperta del passaggio navigabile fra Atlantico e Pacifico sud della Patagonia che ancora oggi porta il nome di Magellano. Per individuarlo nel labirinto di isole che costituisco la parte estrema dell’America meridionale fu necessario un lungo e complesso lavoro esplorativo lungo oltre un mese (21ott - 27nov 1520)
  • Dimostrazione pratica e definitiva della sfericità del globo terrestre
  • La questione del cambio di data, cioè il guadagnare o perdere un giorno al completare un giro del mondo viaggiando rispettivamente verso est o verso ovest. Questo fatto fu molto dibattuto e utilizzato perfino in speculazioni filosofiche metafisiche ma, curiosamente, divenne di effettivo dominio pubblico, a tutti i livelli, solo grazie al Verne che lo utilizzò per il colpo di scena finale nel suo famoso romanzo Il giro del mondo in 80 giorni.
  • la temporanea ripartizione di rotte commerciali, oggetto dei secolari contrasti ispano-lusitani. Nel XVI secolo i portoghesi dominavano nel sudest asiatico avendo importanti colonie (Goa, Ceylon, Malacca, Timor, Macao, ...) mentre gli spagnoli che fino a quel momento dominavano nelle Americhe, giungendo da est, si impossessarono di numerose isole (Caroline, Marianne, Salomone, Guam, Palau, ...) ma soprattutto delle Filippine.
Completo con qualche nota su flotta ed equipaggio. Salparono 5 imbarcazioni di piccola stazza (mediamente più piccole delle 3 caravelle di Colombo, di 150, 140 e 100t) sulle quali si imbarcarono 239 uomini.
Victoria (85t) - unica giunta a destinazione, con 18 persone a bordo. Altri 12 membri dell’equipaggio, fatti prigionieri nelle Isole di Capo Verde, tornarono qualche settimana più tardi dopo essere stati trasferiti a Lisbona e quindi liberati. Fra i 18 sopravvissuti a tante peripezie c'era anche il vicentino Pigafetta, il quale era giunto alla corte spagnola al seguito del vescovo e nunzio pontificio Francesco Chiericati. Entusiasmato dai resoconti dei viaggi di esplorazione e conquista, ottenne di potersi aggregare alla spedizione di Magellano come soprannumerario (chi fa parte dell’equipaggio, ma senza compiti relativi alla navigazione) e in questo suo ruolo redasse una dettagliata relazione del viaggio, dal nome Relazione del primo viaggio intorno al mondo. A sinistra, il pannello maiolicato realizzato a Sanlúcar de Barrameda in memoria dell'impresa, con i nomi dei componenti dell'equipaggio, Pigafetta è l'ultimo della lista. 
Trinidad (110t ) - inizialmente l’ammiraglia, sotto il comando di Magellano; catturata dai portoghesi alle Molucche, mentre tenta di ritornare via Pacifico
San Antonio (120t) - la più grande; l’equipaggio si ammutinò durante le esplorazioni in Patagonia (nov ’20) e tornò indietro approdando in Spagna nel maggio 1521
Concepción (90t) - abbandonata e bruciata alle Filippine, per mancanza di equipaggio
Santiago (75t) - naufragata nel 1520

In Spagna e Portogallo, ormai da varie settimane, compaiono sui giornali ed in rete frequenti articoli sul tema, con interventi di storici, geografi ed accademie varie.

giovedì 15 dicembre 2016

"Los ultimos de Filipinas", dalla storia a modo di dire

Se frequentate spagnoli e in qualche occasione vi capiterà di essere proprio gli ultimi ad arrivare o ad andare via o a rendervi conto di qualcosa, è probabile che vi chiameranno scherzosamente "los ultimos de Filipinas". 
Questa locuzione si riferisce ad un evento assolutamente reale e ben documentato che ebbe luogo appunto nelle isole Filippine durante e oltre la fine della Guerra Ispano-Americana detta anche Guerra di Cuba. Alla fine dell’800 del vastissimo viceregno della Nueva España non rimaneva quasi più niente visto che praticamente tutte le regioni dell’America Latina e Centrale si erano già conquistate l’indipendenza e allo stesso tempo gli Stati Uniti continuavano la loro politica di espansione dopo aver già preso alla Spagna gran parte del nord del Messico (California, Texas, Arizona, Nevada, Colorado, ...).
Il conflitto scoppiò a seguito dell’esplosione della nave da guerra Maine nel porto dell’Avana (Cuba), che causò la morte di oltre 250 militari, ma non è stato mai accertato che fosse sabotaggio e non semplice incidente. La Guerra coinvolse anche altri territori, molto lontani fra loro, come Puerto Rico e le Filippine. Qui, come anche a Cuba, già operavano gruppi di indipendentisti-rivoluzionari e la Spagna di allora non aveva né uomini, né soldi, né mezzi per controllare tutti questi territori così vasti e così lontani. La Guerra durò meno di 4 mesi (dal 21 aprile al 13 agosto 1898) e il 10 dicembre fu firmato a Parigi l’accordo con il quale la Spagna si impegnava a cedere le Filippine agli Stati Uniti per 20 milioni di dollari, accordo ratificato l’11 aprile 1899.
Come in ogni guerra, ci sono soldati mandati a combattere con pochi mezzi, scarsa preparazione e senza conoscere esattamente i motivi del conflitto. Così capitò a 50 di loro che, a febbraio 1898 e sotto il comando di 4 ufficilai, furono mandati a Baler, piccolissimo e isolato villaggio a circa 200 km da Manila (Filippine), per sostituire la guarnigione che era stata quasi completamente trucidata dai rivoluzionari.
La loro storia divenne “esemplare” in quanto, fra alterne vicende, scontri con gli indipendentisti, malattie letali come il beriberi, scarsezza di viveri e qualche diserzione, resistettero per quasi un anno senza mai rendersi conto dell’inizio e della fine della Guerra.
Per la verità, sia i rivoluzionari (che non avevano un vero interesse nel cacciarli da una chiesa ormai diroccata priva di alcun valore strategico e che già erano passati a combattere i nuovi nemici, gli americani) sia un ufficiale spagnolo che rientrava in patria tentarono di convincerli ma l’irremovibile tenente Martín Cerezo non si fidò neanche dei documenti e ordini scritti, ritenendoli falsi. Alla fine cedette all’evidenza quando gli furono portati vari giornali e riviste che riportavano gli esiti della guerra.
   
Così, ai 33 sopravvissuti fu concesso l’onore delle armi e non furono fatti prigionieri, né dai filippini né dagli americani e rientrarono in patria dove Martín Cerezo fu decorato e continuò la sua carriera militare e infine scrisse un libro sui 337 giorni del sitio de Baler (l’assedio di Baler).
Da qualunque punto di vista si voglia giudicare questa storia che venne ampiamente riportata sui giornali dell’epoca, atto di eroismo, perfetta strategia, abnegazione o tattica militare, diventò esempio di resistenza ad oltranza e gli assediati simbolo degli ultimi in assoluto, nel bene o nel male.
Quindi gli ultimi a lasciare una festa, o gli ultimi ad arrivare (in gran ritardo), gli ultimi ad arrendersi all'evidenza dei fatti o ad una innovazione tecnologica vengono ancora oggi chiamati "los ultimos de Filipinas". La loro storia ha anche fornito lo spunto per un paio di film, uno appena uscito.

Concludo con una delle mie solite associazioni di idee, che non poteva sfuggirmi essendo un altro modo di dire: “tira (votta) ‘na bella filippina”. 
Non ci sono dubbi in merito al significato del termine, si tratta di un vento gelido e secco (di solito la tramontana) ma per estensione si applica anche a spifferi che entrano da una porta o finestra mal chiusa. L’origine non è certa, il solito Brak scrive “... è un prestito lucano (Tursi piccolo comune montano della provincia di Matera) con riferimento al vento particolarmente pungente che spira colà nel rione della Chiesa di san Filippo Neri”, ma mi sembra un po’ debole essendo troppo localizzato e per di più in un piccolissimo paese, ma altrettanto fantasiosa appare l’etimologia proposta nel Lessico etimologico del dialetto brindisino: