giovedì 28 marzo 2019

21° gruppo di 5 micro-recensioni 2019 (101-105)

Fra i film che ho recuperato nella serie di classici hollywoodiani, mi sono ritrovato a comporre una nuova concatenazione, in questo caso pressoché monografica in quanto al genere: il noir, uno dei miei generi preferiti.
La sequenza inizia con Rita Hayworth in Gilda (dove ritrovo il Joseph Calleia di Algiers) e continua con un’altra sua famosa interpretazione, The Lady from Shanghai, di e con Orson Welles; quest’ultimo è regista e protagonista anche di The Stranger, nel quale il suo opponente è Edward G. Robinson, protagonista di Key Largo (di John Huston) insieme con Humphrey Bogart, che è protagonista assoluto dell’ultimo film della cinquina Deadline - U.S.A..
Fra tutti, i due di e con Orson Welles spiccano comunque sia per realizzazione che interpretazione, nonostante i "problemi" del film con la Hayworth.

   
103  The Stranger (Orson Welles, USA, 1946) tit. it “Lo straniero”  * con Orson Welles, Edward G. Robinson, Loretta Young * IMDb  7,4  RT 96% * Nomination Oscar a Victor Trivas per la sceneggiatura originale
Film di Welles poco proposto, ma tutt'altro che "minore", grazie anche alle ottime interpretazioni dei due contendenti, due attori di primo rango quali erano Orson Welles ed Edward G. Robinson (anche se l’ho già scritto in numerose occasioni, ripeto che artisti di simile livello se ne vedono pochissimi al giorno d'oggi). Non lo definirei un vero e proprio noir, collocandolo fra un film di investigazione (non poliziesca) e un thriller. I particolari, i dettagli, i tempi perfetti, lasciano una scia di indizi e di trasmettono ansia e attesa. Il poliedrico ed ineffabile Mr Potter (Billy House), pur non essendo un vero protagonista e non uscendo quasi mai dal suo emporio/farmacia/bar, è al centro di tutti gli eventi di Harper, la cittadina nella quale si svolge il dramma. I suoi commenti e soprattutto le sue informazioni contribuiranno a risolvere il caso; infatti, fra ciò che ascolta dai clienti del suo esercizio e ciò che vede attraverso la vetrina, tiene praticamente tutto il paese sotto controllo. Indimenticabili sono le sue partite a dama che affronta con espressione bellicosa indossando una visiera, quasi a mo’ di elmo.
Orson Welles gioca con le ombre in maniera egregia, talvolta proponendole al posto dei protagonisti, altre volte riportando lo spettatore ai tempi dei muti espressionisti o anticipando quelle indimenticabili che proporrà in The Third Man (1949; c’è anche una battuta che sembra anticipare quella famosa pronunciata sulla ruota di Vienna). La conclusione sul campanile è certamente memorabile quanto quella di Vertigo (1958, Hitchcock), anche se sostanzialmente differente e dal diverso esito.
Un ottimo film, assolutamente da non perdere. Lo conosco quasi a memoria ma non mi stancherò mai di guardarlo.

102  The Lady from Shangai (Orson Welles, USA, 1947) tit. it “La signora di Shanghai” * con Rita Hayworth, Orson Welles, Everett Sloane * IMDb  7,7  RT 86%
Potrebbe essere stato uno dei migliori (se non il migliore) film di Orson Welles, con il suo stranissimo e mal assortito quartetto di protagonisti, due dei quali trasudano viscidità al solo guardarli, mentre Orson Welles, stregato dall'infida Rita Hayworth, si lascia trascinare nel vortice dell'intricatissima trama quasi senza opporre resistenza.
Perché non è fra i top movies insieme con Citizen Kane, A Touch of Evil e The Third Man? Semplice, nessuno ha mai potuto vedere il film che Welles aveva in mente, di oltre un'ora più lungo e con molte scene che oggi si vedono girate in modo diverso. Infatti, il produttore Harry Cohn (Columbia) mise completamente da parte il primo montaggio effettuato dal regista, eliminò oltre un terzo della sceneggiatura e costrinse Welles (che infine non si attribuì la regia) a girare di nuovo parecchie scene, imponendogli le sue direttive. Pensate che le scene conclusive nel Luna Park (fra le quali quella della Casa degli Specchi), in origine di oltre 20 minuti, furono condensate in appena 3'. Fra sospetti e doppigiochi, l'intricatissima trama continua a riservare sorprese fino agli ultimi minuti, con capovolgimenti di fronte, tradimenti e complicità inaspettate. Conta anche su buoni dialoghi; memorabile l'aneddoto sui pescecani narrato da Welles e riproposto in conclusione.
Se ciò che è giunto nelle sale è comunque un gran bel film (da non perdere), pensate a cosa ci siamo persi per l’inettitudine del produttore Cohn!
Agli anglofoni, suggerisco di leggere questa review su IMDB nella quale sono riportate alcune delle obiezioni elencate da Orson Welles in una lettera di ben 9 pagine.

      
104  Key Largo  (John Huston, USA, 1948) tit. it “L'isola di corallo”  * con Humphrey Bogart, Edward G. Robinson, Lauren Bacall, Claire Trevor  * IMDb  7,9  RT 97%  *  Oscar a Claire Trevor non protagonista 
Classico noir degli anni ’40 con tanti nomi famosi, tra i quali ottimi interpreti. Tuttavia, delude una Lauren Bacall molto poco convincente in un ruolo quasi secondario, nettamente sovrastata dall'interpretazione di Claire Trevor la quale, non a caso, vinse l'Oscar 1949 come non protagonista. Nel reparto maschile, ennesima superba interpretazione di Edward G. Robinson e i due ottimi caratteristi Lionel Barrymore e Thomas Gomez non sono da meno. In mezzo a loro il buon Humphrey quasi sfigura.
Tranne che per pochissimo all'inizio e alcuni minuti finali, tutto si svolge in un piccolo hotel di Cayo Largo, chiuso per la cattiva stagione, mentre passa velocemente un uragano. La tensione monta fra i gangster che hanno “occupato” l’hotel, il proprietario semi-paralitico e la figlia, un visitatore, un’alcolizzata di facili costumi, poliziotti alla ricerca di un paio di evasi ...
Contando su pochi personaggi chiusi in uno stesso ambiente, in gran parte il film è quasi teatrale, ma regge perfettamente grazie alla buona sceneggiatura e alle interpretazioni della maggior parte del cast.
Key largo è certamente all'altezza della sua fama e merita un’attenta visione.

101  Gilda  (Charles Vidor, USA, 1946) * con Rita Hayworth, Glenn Ford, George Macready, Steven Geray, Joseh Calleia  * IMDb  7,7  RT 97%  *  Nomination Grand Prix a Cannes
Gilda (pronuncia originale "Ghilda") è un noir famoso ma non proprio classico nella sua struttura. La femme fatale di turno è Rita Hayworth (più famosa e esuberante che brava) mentre il ruolo del protagonista tocca a Glenn Ford, onesto attore ma non particolarmente incisivo.  La sceneggiatura abbastanza originale porta avanti parallelamente la parte "malavitosa" (traffici internazionali con la copertura di una bisca clandestina, ma ben conosciuta) e quella della storia d'amore “tossico”, i cui precedenti non vengono mai del tutto chiariti, fra i due protagonisti che fanno di tutto per danneggiarsi a vicenda, soprattutto psicologicamente.
I dialoghi taglienti e una serie di personaggi peculiari che frequentano il casinò di alto livello (tuttavia illegale) rendono interessante la trama anche se molte situazioni sono abbastanza scontate. Non giocatori, ma quasi onnipresenti, sono l’anziano tuttofare/addetto ai bagni Uncle Pio (Steven Geray) e il Detective Obregon (Joseh Calleia), due veri filosofi ai quali, oltretutto, nulla sfugge.
A guerra appena terminata, sembra che l’argomento dei nazisti passati oltreoceano risultasse particolarmente interessante e quindi fu trattato in innumerevoli film, anche di ottima qualità. Per esempio, quasi contemporaneamente a Gilda giunsero sugli schermi anche Notorius (di Hitchcock) e The stranger, del quale ho appena scritto.
Certamente consigliato.

105  Deadline - U.S.A. (Richard Brooks, USA, 1952) tit. it “L'ultima minaccia”  * con Humphrey Bogart, Ethel Barrymore, Kim Hunter * IMDb  7,2  RT 88% 
Noir poco conosciuto di ambiente giornalistico, con tanta morale a favore di tutto il settore, dal direttore ai reporter, dai tipografi agli operai. Certo c’è anche qualche “cattivo” nello stesso settore, ma i problemi maggiori verranno dal mafioso di turno, Rienzi, tanto per cambiare nato a Palermo!
Film oserei dire routinario, ma con una solida seppur prevedibile struttura, analoga a tanti altri, egualmente più che guardabili e piacevoli.
Bogart, fresco vincitore del suo unico Oscar da protagonista per il film precedente (The African Queen, di John Huston), già 50enne ha perso un po' di fascino e di verve ed in questo film non appare tanto incisivo come in altri casi, anche per il ruolo affidatogli. Fra i co-protagonisti si distinguono senz’altro Ethel Barrymore (sorella dei più famosi John e Lionel), l’ottimo caratterista Ed Begley e Martin Gabel.
Non imperdibile, ma certamente più che degno ... tuttavia ben distante dalla qualità degli altri 4 di questo gruppo.  

IMPORTANTE: fra pochissimi giorni, il 2 aprile, il mio GOOGLE+ sarà chiuso e le 1.300 micro-recensioni degli anni 2016-2018 non saranno più accessibili in tali pagine. Tuttavia, restano consultabili nelle pagine del mio sito www.giovis.com e facilmente rintracciabili grazie all’indice generale

martedì 26 marzo 2019

Questione di lana caprina causa un incidente diplomatico fra Spagna e Portogallo

Quest'anno ricorre il 500° anniversario della partenza di Magellano (portoghese) da un porto spagnolo (Sanlúcar de Barrameda) con 5 imbarcazioni battenti bandiera spagnola, alla ricerca di una rotta occidentale per raggiungere le Molucche (alias Isole delle spezie), disputate fra spagnoli e portoghesi, e - in subordine - completare la circumnavigazione del globo terrestre.
In Portogallo si stanno preparando per celebrare quest’ultimo evento anche se Fernão de Magalhães (nome originale lusitano, Fernando o Hernando de Magallanes in spagnolo) non completò quel viaggio in quanto fu ucciso in un'isola nella battaglia di Mactán (Filippine, 27 aprile 1521), per mano di indigeni, mentre il comandante dell'unica nave che tornò in Spagna quasi 3 anni dopo fu lo spagnolo Juan Sebastián Elcano.
Cosa abbiano da commemorare i portoghesi non è chiaro ... forse il progetto di Magellano, che tuttavia fu rigettato dalla corte e successivamente, nell’ultima parte del viaggio, ostacolato in ogni possibile modo? Gli spagnoli, ovviamente, hanno cominciato a mettere i puntini sulle i.
Ma c’è un ulteriore dilemma “filosofico” ... cosa si intende per “giro del mondo”? Ci sono sostanzialmente due punti di vista: c’è chi intende tornare al punto di partenza procedendo sempre nella stessa direzione (verso est o verso ovest non importa) e chi semplicemente attraversare tutti i meridiani, anche in viaggi diversi.
Nel primo caso Elcano e i pochi sopravvissuti furono senz'altro i primi, nel secondo Magellano "potrebbe" essere stato il primo in quanto una decina di anni prima aveva navigato vari anni fra Indiaisole della Sonda, dove ritornò nel ’21 poi provenendo da est. Ho evidenziato "potrebbe" poiché, proprio in uno dei precedenti viaggi, nel porto malese di Malacca aveva comprato un giovane schiavo, poi detto Enrique de Malaca (o el Negro) che poi portò sempre con sé utilizzandolo anche come interprete. Questi era di probabile origine filippina e quindi, in tal caso, sarebbe stato lui il primo ad aver attraversato tutti i meridiani nel momento in cui la spedizione giunge nei pressi dei suoi luoghi natali, a est delle acque più orientali precedentemente solcate da Magellano.
Pur essendo stato per quanto possibile conciso, penso di aver chiarito che, pur avendo tante certezze e prove inconfutabili di date ed eventi, la questione non è di facile soluzione.

Da appassionato geografo, lascio la suddetta diatriba e passo discettare dei risultati più concreti ed interessanti del viaggio:
  • La scoperta del passaggio navigabile fra Atlantico e Pacifico sud della Patagonia che ancora oggi porta il nome di Magellano. Per individuarlo nel labirinto di isole che costituisco la parte estrema dell’America meridionale fu necessario un lungo e complesso lavoro esplorativo lungo oltre un mese (21ott - 27nov 1520)
  • Dimostrazione pratica e definitiva della sfericità del globo terrestre
  • La questione del cambio di data, cioè il guadagnare o perdere un giorno al completare un giro del mondo viaggiando rispettivamente verso est o verso ovest. Questo fatto fu molto dibattuto e utilizzato perfino in speculazioni filosofiche metafisiche ma, curiosamente, divenne di effettivo dominio pubblico, a tutti i livelli, solo grazie al Verne che lo utilizzò per il colpo di scena finale nel suo famoso romanzo Il giro del mondo in 80 giorni.
  • la temporanea ripartizione di rotte commerciali, oggetto dei secolari contrasti ispano-lusitani. Nel XVI secolo i portoghesi dominavano nel sudest asiatico avendo importanti colonie (Goa, Ceylon, Malacca, Timor, Macao, ...) mentre gli spagnoli che fino a quel momento dominavano nelle Americhe, giungendo da est, si impossessarono di numerose isole (Caroline, Marianne, Salomone, Guam, Palau, ...) ma soprattutto delle Filippine.
Completo con qualche nota su flotta ed equipaggio. Salparono 5 imbarcazioni di piccola stazza (mediamente più piccole delle 3 caravelle di Colombo, di 150, 140 e 100t) sulle quali si imbarcarono 239 uomini.
Victoria (85t) - unica giunta a destinazione, con 18 persone a bordo. Altri 12 membri dell’equipaggio, fatti prigionieri nelle Isole di Capo Verde, tornarono qualche settimana più tardi dopo essere stati trasferiti a Lisbona e quindi liberati. Fra i 18 sopravvissuti a tante peripezie c'era anche il vicentino Pigafetta, il quale era giunto alla corte spagnola al seguito del vescovo e nunzio pontificio Francesco Chiericati. Entusiasmato dai resoconti dei viaggi di esplorazione e conquista, ottenne di potersi aggregare alla spedizione di Magellano come soprannumerario (chi fa parte dell’equipaggio, ma senza compiti relativi alla navigazione) e in questo suo ruolo redasse una dettagliata relazione del viaggio, dal nome Relazione del primo viaggio intorno al mondo. A sinistra, il pannello maiolicato realizzato a Sanlúcar de Barrameda in memoria dell'impresa, con i nomi dei componenti dell'equipaggio, Pigafetta è l'ultimo della lista. 
Trinidad (110t ) - inizialmente l’ammiraglia, sotto il comando di Magellano; catturata dai portoghesi alle Molucche, mentre tenta di ritornare via Pacifico
San Antonio (120t) - la più grande; l’equipaggio si ammutinò durante le esplorazioni in Patagonia (nov ’20) e tornò indietro approdando in Spagna nel maggio 1521
Concepción (90t) - abbandonata e bruciata alle Filippine, per mancanza di equipaggio
Santiago (75t) - naufragata nel 1520

In Spagna e Portogallo, ormai da varie settimane, compaiono sui giornali ed in rete frequenti articoli sul tema, con interventi di storici, geografi ed accademie varie.

domenica 24 marzo 2019

20° gruppo di 5 micro-recensioni 2019 (96-100)

Cinquina di qualità che completa le mie prime 100 visioni 2019, estremamente eterogenea per stili, anni e paesi di produzione ... difficile scegliere i preferiti.
Un capolavoro di Buñuel, un misconosciuto eppure ottimo film di Minelli su Van Gogh, un Renoir incompiuto, il più recente Almodóvar (in sala da appena 2 giorni) e l’esordio di Del Toro!
   

97  L'âge d'or (Luis Buñuel, Fra, 1930) tit. it. “L’età dell’oro“ * con Gaston Modot, Lya Lys, Caridad de Laberdesque * IMDb  7,7  RT 92%
Definito osceno, scandaloso e blasfemo, per circa 50 anni fu bandito in quasi tutto il mondo. All’uscita a Parigi lo Studio 28, dove si proiettava, fu devastato e furono distrutte varie opere surrealiste lì esposte; dopo una settimana il visto di censura fu revocato e il film immediatamente ritirato dalla circolazione. Si dovrà attendere fino al 1979 per la première ufficiale oltreoceano al Roxie di San Francisco e solo due anni più tardi la Gaumont ottenne il permesso per mostrarlo di nuovo in Francia. Sembra di capire che, almeno ufficialmente, in Spagna resti tutt’oggi “censurato”.
Non so quanti abbiano familiarità con le prime due pellicole di Buñuel (l'altra è Un chien andalou, 1929, 16 min), veri manifesti del surrealismo, ed è quindi opportuno ricordare che entrambe le sceneggiature furono frutto della collaborazione con Salvador Dalí e che, da buoni surrealisti, il loro obiettivo era quello di provocare, sovvertire la “normalità”, scandalizzare. Da ciò si deduce che non si può riassumere né analizzare in breve un'opera come questa, che oltretutto include innumerevoli elementi freudiani oltre a quelli surrealisti. Essendo quindi inutile, in quanto impossibile, entrare nel merito dei contenuti, fornisco solo poche informazioni di carattere molto generale. Il film dura 62 minuti ed è sostanzialmente diviso in 6 parti, la prima delle quali (la più breve) è tratta da un documentario sugli scorpioni di vari anni prima. Nelle successive compare più volte una coppia di amanti che si ritrovano in situazioni ed ambienti molto diversi. La parte conclusiva (anche questa breve) fa chiaro riferimento a Le 120 giornate di Sodoma del marchese de Sade (tenuto in gran considerazione dai surrealisti) e il primo ad uscire dal castello appare essere Gesù (almeno per come è comunemente raffigurato).
Io sono fra quelli che sostiene che non si debba trovare una spiegazione a tutto in quanto, per loro stessa ammissione, gli autori proponevano cose senza senso. I riferimenti all’ordine, alla Chiesa, i politici e i militari sono tanti e chiari, altri simboli sono liberamente interpretabili (in modo relativamente facile ma senza riscontro), alcune immagini e vari eventi bisogna accettarli per quello che sono, come per esempio la giraffa buttata dalla finestra! (non ho trovato nessuna spiegazione convincente).
Raccomando assolutamente la visione di L'âge d'or ma, al contrario di quanto avviene normalmente, può essere opportuno documentarsi in precedenza. Comunque, a chi è interessato a comprendere e non fermarsi ad una prima superficiale percezione, saranno necessarie ulteriori letture e certamente gioverà qualche altra visione.

99  Lust for Life (Vincent Minelli, USA, 1956) tit. it. “Brama di vivere“ * con Kirk Douglas, Anthony Quinn, James Donald * IMDb  7,4  RT 100% * Oscar ad Anthony Quinn non protagonista e 3 Nomination (Kirk Douglas protagonista, sceneggiatura e scenografia)
Titolo mai sentito nominare, eppure un ottimo film, a prescindere dall’Oscar a Anthony Quinn (non protagontista) nei panni di Paul Gaugin e delle 3 Nomination, una delle quali fu l’ultima delle sole 3 per Kirk Douglas, tutte come protagonista, forse un po’ poche (l’Oscar fu assegnato a Yul Brinner per The King and I, ma fra i candidati c’erano anche James Dean e Rock Hudson per Giant). 
Tratta di un lungo periodo della vita dell’indiscusso genio della pittura Vincent Van Gogh che penso sia quello al quale sono stati dedicati il maggior numero di film (quasi una ventina), i più recenti dei quali sono stati l’originalissimo film d’animazione Loving Vincent (2017) e At Eternity's Gate uscito pochi mesi fa. Ne ho visti almeno la metà, ma questo è il primo che vedo affrontare anche il suo paio di anni da “predicatore” evangelista in un’area mineraria belga. Molto di quanto proposto non si trova negli altri lavori che si concentrano per lo più sull’ultimo periodo della sua vita, passato fra Arles e Parigi. La scelta di Kirk Douglas come interprete mi è sembrata ottima in quanto, oltre ad calarsi perfettamente nel personaggio nelle sue varie fasi, ha una straordinaria somiglianza con l’artista.
Il numero dei dipinti mostrati nel film rasenta l’incredibile, pur essendo assolutamente lontano dal taglio documentaristico. Fra i pregi di Lust for Life è quello di ricreare situazioni e non solo riprodurre ambienti o inserire personaggi divenuti soggetti dei dipinti più famosi. Per seguire al meglio i dialoghi di Vincent con suo fratello Theo (mercante d’arte) e con gli altri artisti, aiuta conoscere nomi e stili dei vari pittori dell’epoca amici/rivali, in particolare degli impressionisti.
In conclusione, non solo un pregevole film dal punto di vista strettamente cinematografico, ma anche un interessantissimo biopic. Più che consigliato.
      

96  Partie de campagne (Jean Renoir, Fra, 1936) tit. it. “Una gita in campagna“ * con Sylvia Bataille, Jane Marken, Georges D'Arnoux * IMDb  7,7  RT 100%
Aveva attirato la mia attenzione la regia di Jean Renoir, ma non trovavo il film in IMDb. Il motivo è che si tratta di un mediometraggio che, oltretutto, ha avuto circolazione limitata essendo stato montato solo dopo 10 anni, da altri. Lo stesso dvd non includeva la pellicola di 40' bensì il progetto portato avanti da Alain Fleischer per la Cinémathèque française nel 1994, utilizzando il materiale disponibile nei suoi archivi, consiste in una raccolta di riprese originali del 1936. Queste sono state ordinate, lasciando però varie riprese di una stessa scena, alcune ripetizioni da angolazioni diverse, sovrapposizioni di dialoghi e frequenti commenti dello stesso Renoir, per una durata complessiva di quasi un’ora e mezza. Proposto così, tale materiale può forse considerarsi addirittura più interessante del film in sé e per sé, fornendo una precisa idea della gestione di attori e riprese da parte del regista. Molti definiscono questo film quasi un omaggio al padre (il famoso pittore impressionista Auguste Renoir) come se volesse dare vita ad un suo dipinto.
Più che notevole il gruppo di collaboratori di Renoir che ebbe come assistenti alla regia Luchino Visconti e Jacques Becker (poi regista di Le trou, 1960, Il buco, 8,5 IMDb) e come secondo assistente il famoso fotografo Henri Cartier-Bresson, allora 28enne. Il figlio di Jean Renoir  interpreta il ragazzo che pesca, all’inizio del film. La sceneggiatura fu adattata dallo stesso Jean Renoir da un racconto di Guy De Maupassant del 1881.
Se avete la fortuna di recuperarlo, non ve lo perdete. Pur non essendo un film vero e proprio, né un documentario, è estremamente interessante ... tutto in presa diretta.

98  Dolor y gloria (Pedro Almodóvar, Spa, 2019) * con Antonio Banderas, Penélope Cruz, Asier Etxeandia, Leonardo Sbaraglia, Cecilia Roth, Julieta Serrano, Raúl Arévalo, Rosalia, Asier Flores
Niente male questo recentissimo lavoro del regista manchego, abbastanza diverso dai precedenti, ma con il solito (ottimo) stile in quanto a colori, dettagli e inquadrature. Particolarmente apprezzabile la sceneggiatura (dello stesso Almodóvar) che, seppur con un inizio un po’ lento e titubante con tanti salti temporali, prende rapidamente corpo e riesce ad incastrare alla perfezione ricordi, re-incontri e coincidenze fino alla (in)quadratura finale con la quale conclude questo film che molti pensano sia pieno di riferimenti autobiografici, a partire dal fatto che il protagonista Salvador è un regista cinematografico già di successo, ma oggi in crisi esistenziale. Il tutto è organizzato in modo creativo con vari flashback, fra l’infanzia in campagna e trasloco in una (affascinante) cueva e i tempi attuali, mentre molto di ciò che è nel mezzo viene solo narrato.
Oltre ai più che noti Antonio Banderas e Penélope Cruz (Salvador attuale e sua madre da giovane, quindi mai insieme) Almodóvar ha messo insieme un cast estremamente eterogeneo, con attori che interpretano personaggi che in distinti momenti avevano avuto un ruolo significativo nella vita del protagonista, alcuni compaiono in brevi cameo (p. e. Cecilia Roth e Rosalía), altri hanno più spazio, alcuni sono contemporanei, altri fanno parte dei ricordi. Purtroppo, non tutti sono convincenti, a cominciare da Penélope Cruz.
Fra i volti che molti potrebbero conoscere ci sono senz’altro la sempre affidabile Julieta Serrano (la madre anziana, una mezza dozzina di film con Pedro), Raúl Arévalo (protagonista de La isla minima e regista di Tarde para la ira), l’argentino Leonardo Sbaraglia (attivo per lo più in America Latina, quello che in Relatos salvajes guida l’auto nel memorabile episodio, vaga citazione di Duel di Spielberg), Cecilia Roth (vari film con Almodóvar, ma divenuta star in Argentina, oggi sembra pagare le conseguenze di una chirurgia mal riuscita ...), e infine la giovane cantante Rosalía, fenomeno musicale del momento, catalana che interpreta flamenco pop con stile unico e include nei video bandiere spagnole e toreo, 2 Grammy Award Latino. Interpreta, con Penélope Cruz, la famosa copla A tu vera, cavallo di battaglia della Lola Flores, nota come La Faraona. Da segnalare il buon esordio del giovanissimo Asier Flores (Salvador bambino) per il quale molti prevedono un roseo futuro nel cinema.
Concludo reiterando il mio apprezzamento per il gusto di Almodóvar nel proporre colori netti (ovviamente, i più frequenti sono quelli della gamma dei rossi), spesso contrastanti, abbinamenti inimmaginabili per altri, a partire dagli affascinanti sfondi dei titoli di testa, all’abbigliamento, all’arredamento, per non parlare anche della scelta di dipinti che coprono le pareti della casa di Salvador.
Un film dal sapore agrodolce, drammatico e “tenero”, fra droghe e passioni, certamente un po’ più godibile per i cinefili che sapranno apprezzare le tante citazioni (sia nei dialoghi che con poster e immagini) e per chi sa abbastanza di cultura spagnola e latina (vari i riferimenti a Chavela Vargas, l’icona del flamenco pop che canta una copla classica, ...).
Penso che, nel suo complesso, possa piacere anche all’estero e in paesi non di lingua ispanica, ma temo che nelle traduzioni (sottotitoli o doppiaggi che siano) si possa perdere parecchio.
Al momento sembra non essere annunciato in Italia.

100  Cronos (Guillermo Del Toro, Mex, 1993) * con Federico Luppi, Ron Perlman, Claudio Brooks * IMDb  6,7  RT 89%
Anche i più appassionati fan di Guillermo converranno che Cronos non è il suo miglior prodotto, ma ciò è più che giustificabile per essere il suo esordio alla regia di un vero film. Fin da piccolo si era divertito a produrre un'infinità di corti e cortissimi in Super8 fatti in casa e poi (professionalmente) era passato alla produzione di effetti speciali.
Cronos resta comunque un cult per essere il primo, anche se la sua gestazione fu quasi contemporanea a quella del suo terzo (El espinazo del diablo, uscito ben 8 anni più tardi) per essere le due sceneggiature il suo lavoro di tesi.
Tralasciando di approfondire l’originale rivisitazione e combinazione dei temi immortalità/vampirismo e di altri aspetti del film (fra i quali l’eterogeneo trio di interpreti) mi sembra interessante sottolineare un paio dei argomenti trattati nella lunga intervista (poco più di un’ora, riportata integralmente) inserita fra gli extra dell’edizione speciale (2dvd) in mio possesso. Nel raccontare dei suoi inizi, rende omaggio al genere horror - del quali si dichiara appassionato fin dall'infanzia - ed in particolare ai film italiani (citando più volte Mario Bava) e giapponesi. L'altra questione è quella della lingua. Una volta che un produttore americano interessato ad un remake di Cronos gli sottopose la traduzione della sceneggiatura, Del Toro (perfettamente bilingue) la rifiutò dicendo che l’avrebbe riscritta lui in inglese ... non è possibile tradurre bene i dialoghi pensati per una lingua in un’altra! Comunque, l’affare non andò in porto.

IMPORTANTE: vi ricordo che dal 2 aprile il mio GOOGLE+ sarà chiuso e che, di conseguenza, le raccolte degli anni 2016-2018 non saranno più accessibili. Tutte le 1.300 micro-recensioni sono ora organizzate in 26 pagine del mio sito www.giovis.com e facilmente rintracciabili grazie all’indice generaleIn detta pagina potrete effettuare ricerche per titolo, regista, interpreti principali, anno e paese di produzione e, utilizzando i link e i numeri d’ordine, giungere rapidamente a quella che vi interessa.

giovedì 21 marzo 2019

19° gruppo di 5 micro-recensioni 2019 (91-95)

Ed ecco una cinquina eccellente, con le due parti di Ivan Grozny di Eisenstein, il suo precedente Alexander Nevsky (1938) e due film con il bel tenebroso Charles Boyer, francese trasferitosi in USA, un’icona dell’epoca.
   

94  Ivan Grozny I (Sergei Eisenstein, URSS, 1944) tit. it. “Ivan il Terribile” * con Nikolay Cherkasov, Serafima Birman, Lyudmila Tselikovskaya * IMDb  7,6  RT 100%
95  Ivan Grozny II (Sergei Eisenstein, URSS, 1958) tit. it. “La congiura dei Boiardi” * con Nikolay Cherkasov, Serafima Birman, Pavel Kadochnikov * IMDb  7,7  RT 100%
Ho trovato anche questo dvd in biblioteca, in una edizione non eccellente ma più che buona grazie al fatto che parte da un ottimo restauro. Nel complesso, penso che sia il miglior lavoro di Eisenstein (autore anche della sceneggiatura), specialmente la prima delle tre parti previste. La seconda fu girata nel 1944-46 ma fu distribuita solo nel 1958 in quanto fu bloccata per motivi politici e la terza, iniziata nel 1946 fu subito sospesa per le suddette critiche e poi, a seguito della morte del regista, il progetto fu definitivamente abbandonato.
Pur essendo una produzione degli anni ’40, lo stile riflette molto quello tipico del cinema muto, con numerose analogie con quello espressionista, ma ha il vantaggio di poter contare con la tecnologia molto più avanzata di quella disponibile negli anni '20. Di conseguenza, la fotografia è eccezionale, mettendo in risalto non solo ogni dettaglio dei volti ripresi in primo piano (in varie occasioni mi ha ricordato quelli in La passion de Jeanne d'Arc, 1928, di Dreyer), ma pure gli ambienti, gli arredi, i costumi; anche i campi lunghi e totali sono più che incisivi. La recitazione tende volutamente al teatrale, a volte con gestualità enfatizzata, gli angoli di ripresa sono scelti ad arte, luci e ombre (spesso enormi) sono chiaramente "impossibili", ma drammaticamente significative e richiamano molto le scene caratteristiche dell'espressionismo.
Gli attori sono tutti più che bravi e, ovviamente, sono dominati da Nikolay Cherkasov (nei panni dello Zar) e Serafima Birman che interpreta magistralmente la parte della sua nemica giurata, la subdola matriarca boiarda Efrosinia. A tutto ciò si aggiunge un commento sonoro originale - puntuale e pertinente in ogni occasione - composto nientemeno che da Sergei Prokofiev, che non penso abbia bisogno di presentazioni.
Film da guardare e ri-guardare ... vero grande cinema senza tempo.


Questo è il trailer in russo, ma ciò che conta sono le immagini (HD) e il commento musicale di Prokofiev. Godeteveli!

      

92  Gaslight (George Cukor, USA, 1944) tit. it.”Angoscia” (sic!) * con Charles Boyer, Ingrid Bergman, Joseph Cotten, Angela Lansbury  * IMDb  7,8  RT 86% * 2 Oscar (Ingrid Bergman protagonista e scenografia)  e 5 Nomination (miglior film, Charles Boyer protagonista, Angela Lansbury non protagonista, sceneggiatura e fotografia)
Come se non bastasse la mia mania di dare continuità alle visioni seguendo generi, registi e attori, spesso incappo con la pura casualità. Appena recuperata una buona copia di Algiers (vedi rec. in basso) mi sono imbattuto in quest’altro ottimo film che vede Charles Boyer nelle vesti di protagonista, affiancato da Ingrid Bergman e Joseph Cotten. Titolo mai sentito nominare, a dispetto del cast di tutto rilievo e dei 2 Oscar e 5 candidature, ma forse mi era passato sotto gli occhi e scartato per il terribile titolo italiano (la maggior parte di questi drastici cambiamenti sono fuorvianti o oltremodo poco invitanti, destinati solo ad attirare pubblico; idem per molte locandine). Altra analogia è che la famosa Hedy Lamarr che si era distinta in Algiers, rifiutò sia questo ruolo che quello successivo di Ilsa Lund in Casablanca, in entrambe i casi rimpiazzata dalla Bergman.
Tornando al film, si tratta di un ottimo noir ambientato a Londra, ben costruito, ben diretto e ottimamente interpretato, non solo dai primi attori ma anche dai pochi di contorno fra i quali si registra l’esordio dell’allora 19enne Angela Lansbury (proprio la Signora in Giallo!) che per l’interpretazione della molto indisponente cameriera ottenne la sua prima Nomination Oscar.
Senz’altro consigliato.

91  Algiers (John Cromwell, USA, 1938) * con Charles Boyer, Sigrid Gurie, Hedy Lamarr * IMDb  6,9  * 4 Nomination (Charles Boyer protagonista,
Già visto molti anni fa in bassa definizione , ho voluto guardarlo di nuovo, in attesa di trovare “l’originale” Pépé le Moko (1937, di Julien Duvivier). Infatti questo non è altro che un pedissequo remake americano del suddetto film francese di grande successo dell’anno prima, con Jean Gabin come protagonista. Sempre sulla base dello stesso romanzo poliziesco di Henri La Barthe, 10 anni più tardi sarebbe giunto Casbah (con Yvonne De Carlo, Tony Martin, Peter Lorre) e infine nel 1949 la parodia italiana Totò le Moko (diretta da Carlo Ludovico Bragaglia), ma pochi conoscono gli illustri precedenti sulla quale fu (ben) basata.
Algiers vanta un notevole cast internazionale; oltre a Charles Boyer, uno dei più famosi latin lover (sullo schermo) dell'epoca, francese appena trasferitosi negli USA al suo secondo film oltreoceano, ci sono non solo due bellezze dell'epoca quali l’austriaca Hedy Lamarr (all’epoca definita “la donna più bella del mondo”) e l’americana Sigrid Gurie, ma anche il canadese Gene Lockhart (Nomination Oscar per questa sua interpretazione del viscido Regis) e, nei panni dell’imperturbabile ispettore Slimane, il maltese Joseph Calleia (tanti ottimi noir per lui: The Touch of Evil, Gilda, The Glass Key, ...).
Bella l’ambientazione esotica nel dedalo della casbah di Algeri, molto interessante la caratterizzazione dei personaggi, dai componenti della banda di Pépé ai vari membri della polizia, ai turisti in cerca di avventura.  
Rivisto con molto piacere, lo consiglio ... nel frattempo proseguo nella mia ricerca di una buona copia di Pépé le Moko.

93  Alexander Nevsky (Sergei Eisenstein, URSS, 1938) * con Nikolay Cherkasov, Nikolai Okhlopkov, Andrei Abrikosov * IMDb  7,7  RT 94%
Più che buono come tutti i film diretti da Eisenstein, ma certamente inferiore ai due Ivan Grozny. Trovo che la parte dedicata alla battaglia fra russi e teutonici sia dedicato troppo tempo a discapito della trama che rimane di per sé debole. C’è da considerare tuttavia, che la “propaganda” aveva all’epoca un ruolo fondamentale e che lo stesso Stalin sosteneva e lodava le opere che esaltassero le gesta e l’eroismo del popolo russo. Anche Nikolay Cherkasov, lo stesso che avrebbe poi interpretato lo Zar Ivan, non dà il meglio di sé essendo relegato nel ruolo di un personaggio che si limita a fare proclami ed arringare popolo e soldati.

   
Aggiungo varie immagini tratte da Ivan Grozny (chiaramente quelle in basso) ed un paio di foto di Hedy Lamarr, non solo attrice ma anche colei che brevettò il sistema sul quale si basano oggi tutte le applicazioni wireless! 
Ciò sconfessa in modo evidente l'equazione bellezza = stupidità.
   
   

   

   

      

IMPORTANTE: vi ricordo che dal 2 aprile il mio GOOGLE+ sarà chiuso e che, di conseguenza, le raccolte degli anni 2016-2018 non saranno più accessibili. Tutte le 1.300 micro-recensioni sono ora organizzate in 26 pagine del mio sito www.giovis.com e facilmente rintracciabili grazie all’indice generaleIn detta pagina potrete effettuare ricerche per titolo, regista, interpreti principali, anno e paese di produzione e, utilizzando i link e i numeri d’ordine, giungere rapidamente a quella che vi interessa.

martedì 19 marzo 2019

VAGRANT TRAIL 18-19 maggio - percorso inedito e logistica (I parte)

L’itinerario mostrato sulla mappa in basso è, al momento, la nostra prima scelta fra Pogerola e Capo Muro, ma il percorso effettivo sarà deciso in base alle condizioni climatiche e alle situazione ambientali. Ho pensato di pubblicare solo questa parte (nel complesso inedita) visto che tutto il resto dovrebbe essere noto ai più, almeno a quelli che camminano. Comunque, come norma generale, avendo la possibilità di abbreviare o allungare il cammino di varie centinaia di metri in più occasioni, confidiamo nel fatto di poter comunque raggiungere Santa Maria del Castello percorrendo una ventina di chilometri che (a una media “comoda” di 3,5km/h) equivalgono a poco meno di 6 ore. Di conseguenza possiamo ipotizzare una partenza fra de 14.00 e le 14.30, ma ciò dipenderà anche dalla organizzazione della “cena”.
arrivo a Capo Murosullo sfondo Monte Calabrice e Monte Tre Calli
L’itinerario (in parte molto poco frequentato anche dagli escursionisti) è stato già percorso da Matteo, ma per sicurezza a inizio maggio sarà effettuato un secondo sopralluogo dei tratti Acquolella-Imbarrata e Crocella-Capo Muro per accertarci che niente sia cambiato nel frattempo (è ancora epoca di tagli).
Per gli altri sentieri (ultrabattuti e storici) a meno di sorprese non dovrebbero esserci ostacoli. Infatti, si proseguirà per frana e Forestale lungo il percorso classico e poi, da Santa Maria del Castello, lungo l’Alta via dei Monti Lattari fino a TorcaL’ultima parte in area lubrense offre infinite alternative e considerato che lì siamo di casa dovremmo essere a conoscenza di eventuali problemi.
Come avevo precedentemente annunciato (e nel frattempo ho anche ricevuto varie specifiche richieste in merito), ecco i punti nei quali sarà più semplice aggregarsi o lasciare il gruppo potendo contare su trasporto pubblico visto che si tratta di escursione lineare a non di un circuito.
Sabato chi non parte da Pogerola (bus SITA da Amalfi) può aggregarsi a:
* Palommelle (linea SITA da Amalfi - Agerola - Castellammare, fermata uscita sud traforo e poi 1,2km su sentiero CAI 367)
* Santa Maria del Castello (bus EAV poco frequente, in alternativa fermata * Anaro su via Bosco e poi per Gradoni, parte del sentiero CAI 338). Chi arrivasse nel tardo pomeriggio e volesse fare due passi, può andare incontro agli altri verso la Forestale (CAI 300).
Domenica chi non ha dormito a Monte Comune può aggregarsi a:
* Sella di Arola (Cancello) (circolare EAV fino ad Arola e poi 1,6km lungo via Veterina - parte del sentiero CAI 342)
* Colli San Pietro (linea SITA Sorrento-Amalfi)
* Colli di Fontanelle (linea SITA Sorrento-Amalfi via Sant’Agata)
* Sant'Agata (fermata Farmacia - linee SITA Sorrento - Sant'Agata e poi 400m a piedi)
Di lì in avanti sarà possibile aggregarsi in una infinità di punti visto che saremo spesso in vicinanza di centri abitati o strade principali. Anche per la parte precedente ci sono altri punti dai quali, specialmente chi ha la possibilità di essere accompagnato, dai quali facendo un certo cammino a piedi sarà possibile  raggiungere il gruppo.  


mappa generale agiornata al 19 marzo

Post precedenti relativi alla VAGRANT TRAIL 

AVVERTENZA GENERALE: in tale tipo di percorso è normale che si debbano affrontare tratti ripidi, anche molto ripidi, sia in salita che in discesa, terreno impervio, tratti esposti (non adatti a chi soffre di vertigini), passaggi attraverso vegetazione più o meno fitta, e altri intoppi tipici dell’escursionismo. 
Inoltre, è opportuno sottolineare che non è previsto alcun tipo di assistenza, ognuno dovrà essere autosufficiente e tener presente che in più tratti saremo ben lontani da centri abitati e/o rotabili e quindi per lunghi tratti non sarà neanche possibile rifornirsi di acqua.

domenica 17 marzo 2019

18° gruppo di 5 micro-recensioni 2019 (86-90)

Cinquina molto varia per generi, anni e paesi di produzione. C’è un film tedesco candidato Oscar, il primo islandese che vedo in tanti anni da cinefilo, uno dei primi film della spagnola Bollaín e due film “minori” dei fratelli Marx.
   

90  La caduta - Gli ultimi giorni di Hitler  (Oliver Hirschbiegel, Ger, 2004) tit. int. “Downfall“  tit. or. “Der Untergang “ * con Bruno Ganz, Alexandra Maria Lara, Ulrich Matthes * IMDb  8,2  RT 91% * Nomination Oscar
Ottimo film, fondato su solide basi storiche, che tratta degli ultimi giorni del III Reich. La sceneggiatura è infatti tratta da vari saggi redatti da storici rispettati e stimati, nonché su un paio di autobiografie, l'autrice di una delle quali appare all'inizio e alla fine del film. Si tratta di Traudl Junge, una delle segretarie personali del Fhurer durante la seconda metà della guerra che visse gli ultimi giorni di questa nello stesso bunker dove alloggiavano e/o si riunivano i politici più vicini a Hitler e i massimi responsabili delle forze armate. Leggendo vari qualificati commenti (dal punto di vista storico) sembra che il regista, oltre agli eventi in sé, sia veramente riuscito a descrivere in modo plausibile l'ambiente e lo spirito con il quale si vissero quei giorni.
Downfall conta su una delle migliori interpretazioni di Bruno Ganz (Hitler), recentemente scomparso  dopo aver aggiunto un’altra perla alla sua brillante (seppur sottovalutata) carriera nel film di The House that Jack Buit (2018, Lars von Trier).
Assolutamente poco commerciale e non destinato al grande pubblico, Downfall non solo è il più interessante di questa cinquina, ma anche un ottimo film in assoluto. Per quanto possa valere, fu candidato Oscar fra i film non il lingua inglese (quell'anno vinse Mar adentro, di Alejandro Amenábar) e si trova al 119° posto nella classifica IMDb dei migliori film di ogni tempo.

86  La donna elettrica (Benedikt Erlingsson, Isl, 2018) tit. or. “Kona fer í stríð“  tit. int. “Woman at War“ * con Halldóra Geirharðsdóttir, Jóhann Sigurðarson, Juan Camillo Roman Estrada * IMDb  7,6  RT 95%
Film originale, ben girato, con buoni momenti di cinema che rimediano a qualche carenza della sceneggiatura. Pur essendo senza pretese, tira in ballo argomenti seri e attualissimi a cominciare da quello dell’influenza dell’industria sul cambio climatico.
Seguendo la lotta quasi solitaria della protagonista contro il potere politico ed economico (energetico), Erlingsson riesce ad alternare dramma, thriller e azione, con le divertenti “interferenze”, certamente involontarie ma ben situate, di uno sfortunato cicloturista e il surrealismo delle onnipresenti 3 cantanti in abiti tradizionali ucraini che, nel fornire a colonna sonora dal vivo, si alternano alle apparizioni nei luoghi più improbabili dei tre suonatori che non possono non far venire in mente i film di Kusturica.
Gli esterni sono ovviamente affascinanti pur non essendo assolutamente di quelli fasulli, da spot turistico o da cartolina, e questo per me è un merito; infatti non sarebbe stato necessario un grande sforzo per trovare location spettacolari in Islanda.
Non poteva mancare il pessimo titolo italiano, unico nel suo genere; la maggior parte degli altri, incluso quello internazionale è fedele all’originale.
Film leggero, piacevole, con varie buone sorprese e pochi avvenimenti scontati, che comunque riesce a fornire tanti spunti di riflessione a chi è disposto a “pensare”. Suggerito.
      
87  Flores de otro mundo (Icíar Bollaín, Spa, 1966) * con José Sancho, Luis Tosar, Lissete Mejía * IMDb  7,1  RT 76%p * Premiato a Cannes
La madrilena Icíar Bollaín, oltre 20 apparizioni come attrice, esordì a 15 anni nell’ottimo film di El sur (1983, Victor Erice); nel 1995 firmò la prima delle sue 9 regie (questa è la sua seconda), si è fatta conoscere a livello internazionale con Te doy mis hojos (2003) e poi El olivo (2016).
Ha un’attenzione particolare nel descrivere personaggi femminili, sia donne indipendenti, che vittime di machismo o, al contrario, matriarche. L’occasione, in questo caso, viene fornita dall’organizzazione di una festa organizzata in un piccolo centro rurale per facilitare l’incontro di songe, con dichiarato scopo matrimoniale. Gli uomini, di età molto varia, sono residenti, le donne, molte delle quali immigranti in cerca di marito per regolarizzare la loro posizione,   arrivano in pullman.
Qualcuna coppia si forma, anche se non sempre va tutto liscio, e qualche relazione procede con soddisfazione reciproca.
Dato l’ambiente, è normale che ci siano anziani affezionati clienti del bar, giovinastri razzisti, il machista, il timido, il professionista, le donne prevenute e sospettose di queste straniere che vengono precedute da cattiva fama.
Non è certo perfetto, ma merita una visione.

89  A Day at the Races * (Sam Wood, USA, 1937) tit. it. “Un giorno alle corse“ * con Groucho Marx, Chico Marx, Harpo Marx * IMDb  7,7  RT 100%
90  Go West (Edward Buzzell, USA, 1940) tit. it. “I cowboys del deserto” (sic!) * con Groucho Marx, Chico Marx, Harpo Marx * IMDb  6,9  RT 89%
Prima di trattare molto brevemente di questi due film, penso sia opportuno richiamare, seppur molto concisamente, i precedenti dei fratelli Marx. Nati e cresciuti in una famiglia di artisti, quasi tutti abili in più campi essendo non solo attori ma anche provetti musicisti, cantanti e ballerini, esordirono ancora adolescenti nei primo decennio del secolo scorso.
Iniziarono in teatro con spettacoli vaudeville e a seguito del loro grande successo approdarono al cinema già nel 1921 con Humor Risk (aka Humorisk, ovviamente muto) che tuttavia non fu mai distribuito ed è andato perso. Si affermarono definitivamente con il sonoro che permetteva loro di sfruttare al meglio non solo la mimica, ma anche gli arguti giochi di parole di solito a carico di Groucho e Chico, visto che Harpo ha sempre interpretato un muto, pur non essendolo. Quindi il loro vero esordio sul grande schermo fu Cocoanuts (1929). Pur essendo conosciuti, non hanno mai avuto i giusti riconoscimenti in paesi non anglofoni a causa della oggettiva impossibilità di tradurre i tanti giochi di parole che spesso sono collegati a oggetti e azioni, e senza di essi indubitabilmente si perde molto. Ciò mi porta a citare il simile caso di Cantinflas, uno dei più amati attori messicani di sempre, scilinguato per eccellenza, che riusciva a fare rapidi discorsi logici eppure privi di senso così come a passare da un argomento ad un altro per analogie, assonanze e doppi significati, confondendo totalmente il suo interlocutore. Anche i suoi testi, è ovvio, sono praticamente intraducibili in qualsiasi altra lingua.
Groucho (che pur facendo dei doppi sensi il proprio cavallo di battaglia si vantava  di non essere mai scaduto in volgarità) fu il vero simbolo e il più emblematico del trio che formava con i suo fratelli Harpo e Chico, non volendo contare gli altri due più giovani Gummo (nessun film) e l'ultimo nato Zeppo (interprete di soli 5 film), di una quindicina d'anni più giovane del primogenito Chico.
Per chi ha poca dimestichezza con i Marx, e casomai li confonde, ricordo che Groucho è quello che cammina a gambe raccorciate, con gli occhiali, il sigaro e i non-baffi ... (quelli che si vedono non sono neanche posticci, sono semplicemente "dipinti" fra naso e labbro superiore, ma molti non ci hanno mai fatto caso), Harpo è il muto, con borse o tasche come quelle del disneyano Eega Beeva (aka Eta Beta, quello che mangia naftalina) dalle quali estrae di tutto e di più, Chico è quello che parla con accento italoamericano, eccellente pianista, il “cervello” del trio.
Il loro periodo d’oro  - Animal Crackers (1930), Monkey Business (1931), Horse Feathers (1932),  Duck Soup (1933) e A Night at the Opera (1935) - volgeva al termine e se A Day at the Races riesce a malapena a reggere il confronto con i precedenti, Go West è nettamente inferiore e le scene degne dei fratelli Marx si contano sulla punta delle dita.

IMPORTANTE: vi ricordo che dal 2 aprile il mio GOOGLE+ sarà chiuso e che, di conseguenza, le raccolte degli anni 2016-2018 non saranno più accessibili. Tutte le 1.300 micro-recensioni sono ora organizzate in 26 pagine del mio sito www.giovis.com e facilmente rintracciabili grazie all’indice generaleIn detta pagina potrete effettuare ricerche per titolo, regista, interpreti principali, anno e paese di produzione e, utilizzando i link e i numeri d’ordine, giungere rapidamente a quella che vi interessa.