mercoledì 25 gennaio 2023

Oscar … e questi sarebbero i migliori film del 2022?

Se la commedia grottesca – demenziale in ambiente metaverso Everything Everywhere All at Once è il film che ottiene più Nomination (11) significa che si sta perdendo il concetto classico del cinema. Non che sia malvagia, ma pur essendo ben realizzata e sorprendente si dovrebbe dedurre che tutti gli altri siano di qualità complessiva inferiore. Le previsioni sono state quindi rispettate e gli altri pluricandidati che seguono sono certamente buoni ma non per questo memorabili:

  • All Quiet on the Western Front (9)
  • The Banshees of Inisherin (8)
  • Elvis (8)
  • The Fabelmans (7)
  • TÁR (6)
  • Top Gun: Maverick (6)

  
Alcuni, anche questi come previsto, sono stati scelti solo per alcuni aspetti e quindi in specifiche categorie (Living, Triangle of Sadness, The Whale, …). La vera sorpresa sembra essere il drammatico All Quiet on the Western Front terzo adattamento di un romanzo del 1929, dopo l’originale del 1930 ed il primo remake del 1979. Le aspettative di varie altre megaproduzioni (Avatar, Babylon, …) sono andate (giustamente) deluse così come quelle di film certamente meno promossi che avrebbero meritato qualcosa di più. Non capisco le Nomination di Glass Onion: A Knives Out Mystery e quelle dei vari fantasy e ancor meno quella di Paul Mescal per Aftersun (molto lodato dalla critica, secondo me veramente scadente) mentre ho notato che vari film non in lingua inglese hanno i loro bravi meriti. Oltre ad All Quiet on the Western Front (Germania), si distingue Argentina, 1985 (Argentina) mentre è stato stranamente lasciato fuori Bardo, False Chronicle of a Handful of Truths di Iñárritu (Mexico) pur avendo ottenuto la Nomination per la fotografia. Altro film che meritava di essere preso in considerazione fra gli stranieri è Last Film Show (India) un vero omaggio al cinema (proiezioni, non produzioni) senza dubbio più avvincente di A Quiet Girl (Irlanda), ma non ho ancora visto Close (Belgio) ed EO (Polonia).

  
Altra nota generale è quella della tendenza ad allungare troppo (e spesso inutilmente) le durate: la media (dico la media) della quindicina che ho guardato più quelli che non ho alcuna intenzione di guardare come Maverick, Avatar, Elvis, Babylon e Black Panther è di 2h25’ … un’esagerazione, spesso non giustificata dalla qualità.

 
In conclusione, fra le dark comedy grottesche consiglierei Everything Everywhere All at Once e Triangle of Sadness ma non Glass Onion; fra i drammatici The Banshees of Inisherin (un poco dark), All Quiet on the Western Front e TÁR. Aggiungete The Fabelmans e gli stranieri Bardo, False Chronicle of a Handful of Truths (molto visionario e surreale, necessaria una seppur minima conoscenza della storia e della situazione politica e sociale messicana), Argentina, 1985 e senz’altro Last Film Show, seppur non candidato.

lunedì 2 gennaio 2023

Microrecensioni 366-370: chiusura con 5 film di qualità (almeno sulla carta)

La media dei rating di questa cinquina di fine 2022 su RT è di 95%, e tre di essi sono ambientati nel sud-ovest americano ma in epoche e ambienti sostanzialmente diversi e, con una certa elasticità, possono essere inquadrati fra i western revisionisti; Nomination Oscar per Jeff Bridges in due di essi. Completano il gruppo una pietra miliare dell’horror e un recente candidato Oscar cinese (di Hong Kong).

 
True Grit (J. Coen & E. Coen, USA, 2010)

Uno dei famosi flop Oscar … 10 Nomination, ma nessuna statuetta! Qualcuno l’avrebbe meritato sicuramente. Remake dell’omonimo del film del 1969 diretto da Henry Hathaway, con John Wayne (che nell’occasione vinse l’Oscar come protagonista), uno dei rari esempi di un buon remake, forse addirittura migliore dell’originale. Qui i protagonisti maschili sono i più che affermati Jeff Bridges e Matt Damon e la testarda e intraprendente (spesso indisponente) ragazzina è interpretata dall’allora 14enne Hailee Steinfeld, brava e candidata Oscar nell’occasione, poi praticamente persa in produzioni poco importanti. I fratelli Coen sono certo una garanzia e anche stavolta non deludono, ma molti meriti per la qualità e il successo del film devono essere riconosciuti anche al resto del cast, dai coprotagonisti ai tecnici. Da non perdere.

Hell or High Water (David Mackenzie, USA, 2016)

C’è chi lo ha definito un western moderno, chi un crime-thriller e chi lo ha accostato a Non è un paese per vecchi, ma io penso che sia un film a sé e che non lo può né deve essere inserito per forza in un genere specifico. Entra subito nel vivo dell’azione, senza inutili preamboli, e termina al punto giusto al contrario di tanti film che si autodistruggono negli ultimi due o tre minuti con finali pressoché assurdi. A tratti può sembrare quasi una commedia, ma i personaggi che interagiscono con i fratelli Howard e con i due rangers sono assolutamente credibili. I dialoghi sono taglienti, a volte cattivi, ma purtroppo abbastanza veritieri, specialmente in merito al razzismo; ottimo anche il dialogo-sfida-duello finale. Qualche pecca fra inseguimenti e sparatorie senz’altro c’è, ma non rovina certamente il film e quale acclamato western o poliziesco non ha mostrato tiratori infallibili e/o protagonisti che escono indenni da sparatorie? La fotografia non è memorabile, ma gli scenari e il fascino dei paesaggi sconfinati sopperiscono ampiamente. 4 Nomination (miglior film, Jeff Bridges non protagonista, sceneggiatura e montaggio). Suggerirei di non perderlo!

   
Slow West (John Maclean, UK/NZ, 2015)

La strana coppia di protagonisti vede Michael Fassbender (Nomination protagonista per Steve Jobs, 2015, e non protagonista per 12 Years a Slave, 2013) insieme con Kodi Smit-McPhee, agli inizi della carriera, appena maggiorenne, oggi noto soprattutto per l’interpretazione in The Power of the Dog (2021, Nomination come attore non protagonista). Western revisionista ambientato nel west americano di fine ‘800, ma girato fra Scozia e Nuova Zelanda, con una singolare trama: un giovane aristocratico scozzese si avventura da solo nel selvaggio west per raggiungere la sua amata e lì si affida ad un avventuriero che gli farà da guida e scorta. I fini poco chiari del personaggio interpretato da Fassbender e tutti gli sviluppi di quello che è in effetti un road trip mantengono un continuo clima di suspense, un po’ come nel sopra citato True Grit, vista la mancanza di fiducia fra i giovani e inesperti protagonisti e i loro accompagnatori. Interessante e certamente originale, non un capolavoro ma certamente vale la pena guardarlo.

Dracula (Tod Browning, USA, 1931)

Capostipite di una lunghissima serie di film con il personaggio creato da Bram Stoker, non contando il Nosferatu (1922) di Murnau (che, nonostante il cambio dei nomi dei protagonisti, fu condannato a ritirare e distruggere le pellicole), un Drakula ungherese del 1917 (del quale restano solo pochissime immagini) e un fantomatico film russo di cui si vocifera, ma del quale non si conoscono né regista, né interpreti, né trama (quasi sicuramente una fake news). Inoltre fu il primo Dracula parlante, che inizialmente doveva interpretato da Lon Chaney (grande attore trasformista, specializzato in personaggi horror) che però morì nel 1930. Gli subentrò così Bela Lugosi che, grazie a questo ruolo, divenne un’icona degli horror hollywoodiani. In effetti le sue apparizioni sul grande schermo iniziarono prima degli anni ’20 in Ungheria; emigrato negli Stati Uniti, nel 1927 fu protagonista a Broadway di una versione teatrale di Dracula (non fedelissima al romanzo di Bram Stoker) che ebbe tanto successo da contare ben 268 repliche prima di andare in tour per gli Stati Uniti e quindi fu la prima scelta essendo venuto a mancare Chaney. La sceneggiatura fu adattata da detto lavoro teatrale, che aveva trama e personaggi non fedelissimi al romanzo, e si notano così varie differenze con le versioni successive più note. Per esempio, è Renfield ad andare in Transilvania per la firma del contratto e non Harker che è invece pretendente di Mina e non già marito come nei Nosferatu. Personalmente preferisco la trama di questi ultimi (Murnau, 1922, e Herzog, 1979), il primo secondo me migliore di tutti, forse equiparato solo dal remake con Klaus Kinski. Comunque, questo di Tod Browning (che l’anno successivo avrebbe girato il suo capolavoro Freaks) merita senz’altro una visione. Prima o poi dovreste guardarlo.

Better Days (Derek Tsang, Cina, 2019)

Candidato all’Oscar fra i miglior film stranieri e inopinatamente ritirato dalla selezione ufficiale di Berlino (pare per censura cinese), affronta palesemente il problema del bullismo scolastico con affermazioni in merito alla sua diffusione in qualunque parte del mondo sia nei titoli di testa che di coda. Fa scoprire che anche nell’organizzatissimo sistema dell’istruzione superiore cinese è presente tala piaga ma, come in tanti altri casi, il merito di affrontare temi scottanti dei quali poco si parla non equivale ad avere conseguenti meriti di ottimo film (vedi per esempi Spotlight, Oscar come miglior film e sceneggiatura nel 2016). Certo non so come ragionano e si comportano i giovani cinesi, ma mi sembra che i loro comportamenti (e quelli della polizia) abbiano spesso poco di razionale. In sostanza lo definirei un discreto film, certamente sopravvalutato.

sabato 31 dicembre 2022

Microrecensioni 361-365: intrattenimento con commedie, sci-fi e buona musica

Come intermezzo, prima di chiudere l’anno con altri film di qualità, ho messo insieme tre   commedie grottesche abbastanza originali spesso al limite del demenziale e certamente non superlative, uno sci-fi di oltre 20 anni fa che sembra anticipare l’attualissimo metaverso e un dvd musicale (fra biografia e spettacolo) di un cantaora di flamenco appartenente a una grande famiglia di artisti.

 
eXistenZ (David Cronenberg, Can/UK, 1999)

Non fu tanto ben accolto da critica e pubblico questo sci-fi scritto e diretto da David Cronenberg, eppure mi piacque (pur non essendo il mio genere) e l’ho guardato di nuovo con piacere. Si sviluppa quasi completamente nella realtà virtuale e in una ulteriore realtà virtuale a partire da questa. Tante situazioni futuristiche (poco reali) e personaggi dal comportamento molto strano costituiscono l’ambiente che vede contrapposti i produttori di giochi in ambienti virtuali e i loro feroci oppositori che vogliono solo la realtà; tutti pronti ad eliminare gli avversari in maniera violenta. Alcune scene possono risultare sgradite per chi è di stomaco debole, ma nel complesso hanno una loro giustificazione per la funzionalità della contorta e sorprendente trama. Oltre ai protagonisti Jude LawJennifer Jason Leigh, si apprezzano anche Ian HolmWillem Dafoe in parti secondarie. Orso d’Argento a Berlino, 4° miglior film dell’anno per Cahiers du Cinéma.

Casacueva y Escenario (Morente, Spa, 2008)

Ottimo dvd che raccoglie tre diverse esibizioni di Estrella Morente, per una durata totale di oltre 2 ore. Quasi la metà è montaggio dei pezzi interpretati nel corso di un concerto tenutosi nel Patio del Aljibe De La Alhambra di Granada nel 2004; le altre due parti sono invece informali, praticamente riunioni familiari con pochi amici intimi, ovviamente tutti artisti del flamenco. Pezzi estemporanei e qualche passo di danza oltre alla protagonista vedono impegnati noti chitarristi come Juan Habichuela e Miguel Carmona, varie cantaoras fra le quali spicca l’ineffabile Isabel la Golondrina. Queste due parti furono registrate in una cueva originale del Sacromonte di Granada (abitazione rupestri del quartiere tipicamente gitano) e nella casa del padre di Estrella, il famoso Enrique Morente, regista del dvd. Partecipano anche i germani di Estrella (Soleá e Kiki), nonché Aurora Carbonell, madre dei tre, già bailaora conosciuta come la Pelota. Tutto si svolge quindi in una atmosfera rilassata, cordiale e scherzosa, palesemente genuina.  

  
Be Cool (F. Gary Gary, USA, 2005)

Commedia crime grottesca, realizzata da un eclettico regista/produttore, che è riuscito anche in questo caso a coinvolgere tanti volti noti di Hollywood (attori e commedianti bravi e meno bravi) in un progetto confuso, satirico e a volte divertente includendo ridicole morti e violenze fra numerosi stereotipi del mondo delle produzioni cinematografiche e musicali, fra usurai, mafiosi russi, aspiranti attori, bande di ipermuscolosi afroamericani che vanno in giro con potenti Hummer, grosse pistole ben in evidenza e musica a tutto volume. Vale la pena di citare almeno i più conosciuti elementi del cast che si sono prestati a questo pastiche: John Travolta, Uma Thurman, Harvey Keitel, The Rock, Danny DeVito, James Woods, Steven Tyler, Vince Vaughn. In quanto a F. Gary Gary, ha iniziato dirigendo video musicali pluripremiati e di grande successo, solo successivamente si è cimentato in vari film d’azione (e di cassetta) fra i quali The Negotiator (1998), The Italian Job (2003) e Straight Outta Compton (2015), il suo più quotato, Nomination Oscar per la sceneggiatura. Be Cool fu stroncato dalla critica americana e ha ancora rating bassi, tuttavia ha incassato il doppio di quanto speso per la produzione.

Rocknrolla (Guy Ritchie, UK, 2008)

Terzo film a tema malavita londinese, fra balordi e mafia russa, con tanta violenza, truffe e spargimenti di sangue, dopo Lock Stock (che fece conoscere Guy Ritchie e lanciò Jason Statham) e Snatch con Brad Pitt e Benicio del Toro. Non vale gli altri due che almeno erano una novità; la violenza (per quanto palesemente finta) è esagerata e le vicende dei due russi indistruttibili a metà film è del tutto ridicola. Peccato perché l’intricata struttura di minacce, collusioni e tradimenti poteva essere sceneggiata molto meglio.

Promettilo (Zavet) (Emir Kusturica, Ser, 2007)

Altro film al di sotto degli standard del regista. Qui Kusturica non riesce ad incidere, storia troppo surreale anche se alcune trovate possono essere viste come geniali e divertenti, passi che diventino una specie di tormentone. La musica balcanica è piacevole come al solito e la brass band commenta tutto in modo appropriato l’intero film. Come scritto nel preambolo, anche questa è una commedia leggera, senza pretese, adatta per il clima festivo di questo periodo. Guardabile.

martedì 27 dicembre 2022

Microrecensioni 356-360: cult che non hanno quasi niente in comune

 Mettendo in ordine cronologico le ultime visioni programmate per il 2022, sono capitati insieme per puro caso. Paesi di produzione ben diversi, generi di molto differenti, solo le date ne accomunano tre (anni ’80). La cinquina è composta da un kolossal epico giapponese, una commedia grottesca che in Argentina tutti conoscono, un cult maledetto americano, una produzione internazionale tratta da un romanzo di Umberto Eco, il famoso film di Herzog girato fra Ande e Amazzonia. Media rating IMDb di questo gruppo: 7,8!

 
Freaks (Tod Browning, USA, 1932)

Tod Browning, dopo aver lasciato l’agiata famiglia a 16 anni per unirsi (per amore) ad una compagnia di circensi, entrò nel mondo del cinema come attore apparendo in una cinquantina di corti fra il 1913 e il 1915, ma la svolta ci fu con la partecipazione allo storico Intolerance (1916) di D. W. Griffith; lasciò definitivamente la recitazione per dedicarsi alla regia preferendo i generi crime, mistery e horror. I suoi pochi film muti che ebbero un vero successo furono quelli con il formidabile Lon Chaney (The Unholy Three, 1925, e The Unknown, 1927 – meritano entrambi una visione) e poi divenne famoso per il suo Dracula (1931, il primo americano su tale personaggio), con Bela Lugosi. Forte della fama ottenuta si imbarcò nel folle progetto di Freaks, in origine lungo 1h40’ ma quasi immediatamente ridotto a un’ora circa a seguito delle proteste e dello scandalo suscitato non solo per aver mostrato tanti deformi (che impersonavano i buoni) opposti alla bellezza e alla forza dei cattivi, ma anche per aver inserito torture e addirittura vivisezioni (nelle parti tagliate). Praticamente da allora sparì dalla circolazione lavorando pochissimo ed in incognito, così come del film se ne persero quasi le tracce fino alla riproposizione 30 anni più tardi. Nel 1962, infatti, cominciò a circolare di nuovo ricevendo soprattutto il plauso delle nuove correnti europee e diventando di fatto un cult.

Aguirre, furore di Dio (Werner Herzog, Ger, 1972)

Altro film diventato una pietra miliare, sia per l’ambientazione, che per qualità nonostante il ridottissimo budget, per come fu realizzato in ambiente naturale ostile con una troupe tecnica di sole 8 persone, per l’incontro/scontro fra il regista e Klaus Kinski … due geni fuori di testa che avrebbero lavorato insieme in vari altri film fuori della norma. L’essenza della trama è tratta da una relazione di metà ‘500 relativa alla ricerca del mitico El Dorado; Herzog elaborò la trama estrapolando solo la parte in cui Lope de Aguirre, nel 1561, decise di ribellarsi a Filippo II re di Spagna e conquistare gran parte dell’America meridionali per sé. Spettacolari le scene sulle Ande, nella foresta amazzonica e sulle zattere discendendo i corsi d’acqua, tutte più o meno improvvisate, adattandosi alle situazioni. Per fornire una minima idea della follia del progetto (brillantemente portato a termine, con buona dose di fortuna), sottolineo che il budget fu di appena 370.000 dollari, di cui un terzo era la paga di Kinski. La troupe dormiva sulle zattere o accampamenti di fortuna, il bagno era la piccola capanna che si vede nel film, non c’erano controfigure; per le riprese fu utilizzata la mitica cinepresa rubata da Herzog alla scuola di cinema di Monaco … altro che megaproduzioni e effetti speciali generati da CGI!

  
Il nome della rosa (J. Jacques Annaud, Ita/Fra, 1986)

Questa megaproduzione richiese 5 anni di preparazione, la costruzione di una replica dell’abbazia di Rocca Calascio su un colle presso Fiano Romano (il più grande set esterno dopo Cleopatra, 1963), lunghissime selezioni per il cast per cercare attori dai volti inquietanti. Gli interni furono invece girati in una vera abbazia fondata nel XII secolo, quella di Eberbach in Germania. Basato sul primo romanzo di Umberto Eco (l’unico ad avere un adattamento cinematografico) non soddisfece l’autore perché non riuscì a proporre tutti i complessi temi trattati nel libro, ma questo è quello che succede normalmente (e ovviamente) quando si tenta di concentrare in un paio d’ore i contenuti di centinaia di pagine che trattano argomenti vari, dal potere temporale della Chiesa alla persecuzione dei presunti eretici, fra filosofia e Inquisizione, senza dimenticare la ricerca degli autori di misteriosi omicidi. Film certamente intrigante, che certamente avvince la maggior parte del pubblico più per il lato crime che per quello puramente culturale.

Esperando la carroza (Alejandro Doria, Arg, 1985)

Commedia grottesca classica argentina che ruota attorno ad un’anziana signora che nessuno dei figli vuole in casa propria e le nuore ancora meno. La coppia che all’inizio del film la ospita è in ristrettezze finanziare e con una figlia di pochi mesi da accudire. In crisi isterica, Susana (che è la nuora più giovane) si precipita quindi a casa dei cognati che aspettano anche gli altri cognati per un pranzo domenicale per implorare (o costringere) una delle altre coppie a farsi carico della suocera e alle accesissime discussioni si aggiunge la comunicazione di una tragica notizia. Da apprezzare in lingua originale (castigliano rioplatense). Tratto da un lavoro teatrale di successo, non fu immediatamente ben accolto ma col passare degli anni è diventato un vero cult anche perché propone uno spaccato sociale degli anni ’70-’80. Continua ad essere proposto in tv e ci sono addirittura gruppi di fan che periodicamente si riuniscono per replicare i dialoghi del film, vestiti come i suoi personaggi, nei luoghi in cui fu girato.

Kagemusha (Akira Kurosawa, Jap, 1980)

Pur essendo grande estimatore di Kurosawa, devo dire che i suoi kolossal non valgono i suoi noir, né i suoi film di samurai, pur essendo comunque molto superiori alla media. Si perde un po’ nelle tante riprese delle masse di soldati in continuo movimento, sempre con i loro bravi vessilli attaccati sulle spalle. Certamente spettacolari sono i costumi ma, al contrario, sembra ci sia poca cura per gli interni e spesso il ritmo della narrazione rallenta a tal punto da considerare che forse le tre ore di durata non fossero strettamente necessarie. Nomination Oscar miglior film straniero e scenografia, Palma d’Oro a Cannes.

domenica 25 dicembre 2022

Microrecensioni 351-355: ancora noir e altri film poco visti

Ci sono un insolito noir tedesco dell’ottimo Fassbinder, un classico noir francese (che non conoscevo) del solito Clouzot, un recente neo-noir coreano, un film di John Schlesinger difficile da inquadrare in un particolare genere, precedente a quello che gli diede imperitura fama (Midnight Cowboy, 1969, Un uomo da marciapiede) e un documentario musicale su una star ultracentenaria della musica tradizionale indiana.

 

Veronika Voss
(Rainer Werner Fassbinder, Ger, 1982)

Pellicola conclusiva della trilogia di Fassbinder (Maria Braun - Lola - Veronika Voss) che si differenzia dalle precedenti per avere un risvolto noir e per essere girato in bianco e nero (eccellente). Inoltre fu il suo penultimo film, seguito solo da Querelle uscito pochi mesi dopo, successivamente alla sua morte per overdose, a 37 anni (10 giugno 1982). Giudicato da molti l’elemento più debole della trilogia, la sua quota artistica comunque non se ne distacca molto e penso che sia una questione puramente soggettiva. Egualmente sono convinto che Fassbinder sia stato un regista ampiamente sottovalutato dal grande pubblico, nonostante l’ottimo livello media della sua produzione, ricchissima considerato il relativamente breve periodo di attività (1969-82). Tornando al film, ho trovato avvincente la sceneggiatura (dello stesso Fassbinder) molto ben decritta per immagini, con cose dette e non dette, bugie lampanti, pause e sorprese. Nulla da eccepire in quanto alle interpretazioni. Particolarmente buona la fotografia e la gestione delle luci, con tante immagini nelle quali il bianco è preponderante e splendente, attorno a soggetti scuri. Da non perdere, possibilmente dopo aver visto anche gli altri.

Les espions (Henri-Georges Clouzot, Fra, 1957 (tit. it. Le spie) 

Uno dei meno conosciuti, e oggettivamente non dei migliori, noir di Clouzot. Pur contando su una ottima e intricata trama piena di suspense è il personaggio del protagonista che lascia a desiderare, comportandosi continuamente da ingenuo e sprovveduto, dopo essersi messo volontariamente in un giro di spionaggio internazionale. In breve, e non è uno spoiler poiché così inizia il film, uno psichiatra proprietario e direttore di una clinica, accetta di nascondere per pochi giorni uno scienziato in fuga da oltre cortina in cambio di un milione di franchi. In poche ore si troverà la grande casa invasa da spie introdottesi sostituendo il personale di prepotenza, visitandola di forza o di nascosto, o come nuovi pazienti, mentre all’esterno abbondano passanti sospetti, operai su scale e tetti delle case circostanti, bambini che lasciano messaggi. Il problema è che non può sapere tutte queste spie (che si conoscono fra di loro) sotto quale bandiera agiscono. Si assiste quindi a continui twist, minacce, assassini lampanti e morti sospette. Nonostante il comportamento irragionevole del dottore successivamente al chiaro accordo, il film merita comunque la visione.

  
Darling (John Schlesinger, UK, 1965)

Esemplificazione dell’arrivismo, della scalata sociale ad ogni costo, passando sopra ad ogni convenzione sociale e/o valutazione legale. L’ipocrisia e l’infedeltà regnano sovrane, la leggerezza con la quale in un certo ambiente (o in qualunque ambiente?) si tessono e si distruggono rapporti personali è sbalorditiva eppure probabilmente molto vicina alla realtà. Più che convincenti le interpretazioni di Julie Christie, Dirk Bogarde e Laurence Harvey nei panni dei personaggi principali, ma è tutta la descrizione dell’ambiente (oggettivamente abbastanza squallido) a sembrare più che credibile. Il film ottenne 3 Oscar (Julie Christie miglior attrice protagonista, sceneggiatura e costumi) e 2 Nomination (miglior film e regia), oltre a 4 BAFTA e un Golden Globe.

Rasan Piya (Niharika Popli, Ind, 2015)

Interessante documentario che vede protagonista il famosissimo compositore, poeta e vocalista indiano Ustad Abdul Rashid Khan, rappresentante la 14ima generazione di una stirpe di musicisti, morto l’anno successivo alla realizzazione del documentario, alla veneranda età di 107 anni. Chiaramente, per apprezzarlo si deve avere un minimo di orecchio e conoscenza della musica indiana e dei suoi strumenti tradizionali quali sitar, tablas e il più recente harmonium, inizialmente introdotto nell’area dagli europei e poi adottato in tutto il sub-continente.  

Beasts Clawing at Straws (tit. it. Nido di vipere) (Kim Yong-hoon, Kor, 2020)

Altro neo-noir potenzialmente buono, ma secondo me sminuito dalle troppe evidenti esagerazioni. Ottima la sequenza di intrecci più o meno casuali fra i vari protagonisti che entrano in contatto o cercano di recuperare un borsone pieno di soldi. Meno buona la messa in scena sia per quanto riguarda la gestione degli attori che le riprese in esterno. Il nuovo cinema coreano produce e ha prodotto di meglio. Guardabile, certamente non imperdibile.

venerdì 23 dicembre 2022

Microrecensioni 346-350: ottime commedie surreali e cult + un dramma USA/cileno

In questo gruppo i primi 4 sono tutti surreali e cult, in maniere e proporzioni diverse. Unisco il commento dei due spagnoli, entrambi diretti dal geniale e creativo Javier Fesser, non per niente proveniente dal settore pubblicitario di livello internazionale. In merito a uno dei cult ho già pubblicato post specifico, l’altro è stata una piacevole sorpresa, facente parte di quella serie di film assolutamente originali prodotti in Cecoslovacchia (parliamo degli anni ’60) nell’ambito della Czech New Wave, fra i cui leader c’era Milos Forman poi emigrato in USA nel 1968 dove avrebbe diretto One Flew Over the Cuckoo's Nest (1975, Oscar per la regia + altri 4), Ragtime (1981) e Amadeus (1984, Oscar per la regia + altri 7).

  
  • El secdleto de la tlompeta (Javier Fesser, Spa, 1995) corto, 17’
  • El milagro de P. Tinto (Javier Fesser, Spa, 1998)

Finalmente ho trovato online il film in HD e colto l’occasione per godermi di nuovo questa originalissima commedia semi-demenziale, eppure arguta, piena di dark humor e, soprattutto, di surrealismo. La prima visione mi era “capitata” in volo e quindi, sul piccolissimo schermo, avevo potuto apprezzare solo parte delle tante scritte e dettagli, nessuno dei quali casuali. In breve, ed evitando spoiler, tratta di una coppia molto particolare seguendola dai tempi delle elementari fino ad età avanzata. Con la loro storia si intrecciano quelle di tanti altri personaggi ancor più singolari (extraterrestri, evasi da un manicomio, operaio tuttofare ultranazionalista e razzista, prete despota, …) il tutto in modo quasi romantico nonostante il gran numero di incidenti e morti violente. Uno dei protagonisti va in giro con una bombola di gas, interpretato dallo stesso attore che nel precedente corto El secdleto de la tlompeta fuggiva dalla Guardia Civil con 2 bombole, e ciò ricorda tanto Javier Bardem in No Country for Old Men (2007).
Le riprese variano dal bianco e nero dei flashback in un non meglio identificato paese dell’est Europa (almeno a giudicare dal singolare idioma, sottotitolato anche se, essendo fasullo, è in gran parte comprensibile) ai colori sparati, brillanti e molto contrastati in pieno stile pubblicitario. Il film è un susseguirsi di eventi geniali, mai tirati troppo per le lunghe, qualcuno ripetuto a mo’ di tormentone, ma sempre in situazioni diverse. Sono inclusi miracoli (o presunti tali), un intervento della NASA, treni che passano ogni 25 anni, viaggi nel tempo e chi più ne ha più ne metta. Non da ultimo, si deve apprezzare la composizione del cast nel quale, fra fisionomia e trucco, non c’è una sola persona comune o volto banale. Secondo me sono assolutamente imperdibili, almeno il film.

The Cassandra Cat (Vojtech Jasný, Cze, 1963)

Film apparentemente per famiglie e bambini, ma con non tanto velata critica politica e sociale. Al seguito di artisti girovaghi viaggia un gatto con gli occhiali che, quando gli sono sottratti, mette in mostra le vere personalità dei presenti facendoli apparire completamente viola (ipocriti), gialli (infedeli), grigi (disonesti) o rossi (quelli che amano). Ciò porta scompiglio nella piccola cittadina, dato che molti tentano di nascondere il proprio colore e quindi la loro vera indole, ma c’è anche aperto contrasto fra il direttore della scuola (uomo del regime) con i suoi accoliti che vorrebbero eliminare il gatto e tutti i bambini e gran parte degli abitanti che vorrebbero salvarlo. Tranne la scena centrale con danza delle persone colorate (un po’ più lunga del necessario) è una piacevole commedia che sfrutta anche la location della spettacolare piazza di Telc (Rep. Ceca), quella poi utilizzata anche da Herzog per alcune scene Nosferatu (1979) e quasi tutto Woyzeck (1979). Premio speciale della Giuria a Cannes. Segnalo altro film della Czech New Wave, ancora più folle di questo; mi riferisco a Happy End (1967, Oldrich Lipský), film interamente montato con scene proiettate temporalmente al contrario!

 

En este pueblo no hay ladrones
(Alberto Isaac, Mex, 1964)

Ne ho ampiamente parlato nel post precedente

Gloria Bell (Sebastián Lelio, USA, 2018)

Come vari registi sudamericani che dopo uno o due successi internazionali si fanno irretire dalle case produttrici occidentali, ma non riescono più a mantenere la qualità inziale. Sebastián Lelio che deve la sua notorietà internazionale soprattutto a Una mujer fantástica (Oscar + 3 Premi a Berlino) dopo essersi fatto conoscere con Gloria (2013, altri 3 Premi a Berlino). Ha diretto il suo primo film in inglese nel 2017 (Disobedience) seguito da questo Gloria Bell, che altro non è che il remake americano del suo stesso Gloria cileno. Nonostante le buone performance dei due protagonisti Julianne Moore e John Turturro, i rispettativi personaggi sembrano un po’ fuori dalla realtà e il film non convince più di tanto. Remake praticamente inutile, come la maggior parte dei remake.

mercoledì 21 dicembre 2022

Film cult latino ... con interpreti d'eccezione!

En este pueblo no hay ladrones 

(Alberto Isaac, Mex, 1964)

In questo film c’è tanta cultura latina, cinematografica e letteraria, considerato che fu realizzato da un nutrito gruppo di amici di varie nazionalità, che costituivano parte della nuova intellighenzia messicana negli anni ’60.

Nel 1964 il Sindacato del Cinema organizzò un concorso di cinema sperimentale e Alberto Isaac e il critico cinematografico Emilio García Riera decisero di adattare un racconto del loro amico Gabo (Gabriel García Márquez, all'epoca ancora sconosciuto al grande pubblico) e la scelta cadde su En este pueblo no hay ladrones. Questo era stato pubblicato nella collezione Los funerales de la Mamá Grande (1962) e i tre insieme (Gabo, Riera e Isaac) lo adattarono in sceneggiatura cinematografica. Per la realizzazione riuscirono a coinvolgere (a titolo gratuito) una quantità di amici artisti, scrittori e cineasti. Ve ne cito alcuni, fra i più conosciuti, sicuramente nel mondo latino, ma alcuni anche di livello internazionale:

  • Luis Buñuel – non penso abbia bisogno di presentazione … spagnolo profugo in Messico lì diresse alcuni fra i suoi film più significativi (Los olvidados, 1950, e El angel exterminador, 1962, tanto per citarne un paio); anticlericale dichiarato, partecipò a condizione di avere il ruolo del prete e così fu. Appare solo nella scena in chiesa, nella quale è protagonista di un lungo sermone dal pulpito. (foto seguente)
  • Gabriel García Márquez – detto Gabo, suppongo conosciate anche lui; scrittore colombiano, Premio Nobel per la letteratura nel 1982.  Interpreta il bigliettaio del cinema, seduto all’esterno.
  • Arturo Ripstein - uno dei più stimati registi messicani, già assistente di Buñuel, esordì alla regia nel 1965 con un adattamento Tiempo de morir (romanzo di Gabo). Tanti premi ai Festival internazionali fra i quali molti in Europa, dove è tanto stimato da essere spesso invitato come membro della giuria e in qualche caso come presidente. Premio speciale della Giuria a Venezia 2002.
  • Alfonso Arau - regista di Como agua para chocolate (1992), ma è stato anche attore in oltre 40 film. Interpreta l’agente di commercio nella rissa finale.
  • Emilio García Riera - critico cinematografico, co-sceneggiatore del film; interpreta l’esperto di biliardo
  • Carlos Monsivais - attore, giornalista e scrittore, grande collezionista. Nel Museo del Estanquillo vengono esposte a rotazione e per temi centinaia di dipinti, fotografie, giochi, marionette, modelli, album, calendari, manifesti, libri e memorabilia provenienti dalla sua collezione personale.
  • Leonora Carrington - pittrice surrealista inglese, naturalizzata messicana
Fra gli avventori del biliardo e giocatori di domino ci sono:

  • Juan Rulfo (scrittore, sceneggiatore e fotografo), insieme con Borges e lo stesso Gabo, fu caposaldo della corrente del Realismo magico; è l'autore del famoso romanzo Pedro Páramo (1955) , adattato a film nel 1967, Nomination Palma d’Oro a Cannes
  • Abel Quezada (famoso caricaturista, fumettista e scrittore), tanti i suoi disegni esposti al Museo de la Caricatura di Ciudad de México. Creatore di molti personaggi caricaturali (in basso) interpreti di critica sociale. Proprio per queste prese in giro fu minacciato e censurato dal governo e si trasferì a lavorare a New York, dove collaborò con varie riviste.
  • Ernesto García Cabral (caricaturista e pittore)

Il film fu girato in appena 3 settimane con un budget molto ridotto, ma ottenne subito un buon successo. L’ambiente è di quelli preferiti da Gabo, un pueblo più o meno desolato con strade polverose e assolate con i rapporti personali non sempre facili. A ciò si aggiunge un evento al limite del surreale, il furto dell’unico set di palle da biliardo (3, da carambola), situato nell’unico locale del paese con tavolo da biliardo. Per rimpiazzarle ci vorrebbero varie settimane e tanti soldi ... gli abitanti del pueblo sono in crisi, si cerca un capro espiatorio e le voci corrono incontrollate! 
Per la cronaca, il Concorso indetto dal Sindacato del Cinema fu vinto da Rubén Gámez con il mediometraggio surreale e molto sperimentale La fórmula secreta (42’) pressoché introvabile (ma si può guardare su richiesta alla Cineteca Nacional Mexico), a partire da un’idea del già citato Juan Rulfo.

domenica 18 dicembre 2022

Microrecensioni 341-345: gruppo fra noir e commedia, con un docu-film

Due noir di Clouzot, uno dei vari ottimi registi francesi di età secolo scorso stimati dai conoscitori ma poco noti al grande pubblico al di fuori della Francia, come per esempio Melville. Noir che però hanno anche una buona parte di commedia; certamente non sono dark e seri come Le corbeau (1943) e Les diaboliques (1955) che sono i suoi più apprezzati lavori del genere. Completano il gruppo un buon docu-film familiare-naturalistico, un’altra Ealing comedy e il noir messicano del quale ho già scritto.

 

Quai des Orfèvres (Henri-Georges Clouzot, Fra, 1942)

Tratto da un romanzo di Stanislas-André Steeman, con sceneggiatura e dialoghi (pertinenti e credibili) dello stesso Clouzot. Sono ottime anche fotografia e interpretazioni, fra le quali spicca quella di un relativamente giovane Bertrand Blier (30enne), ma sono bravissime anche le due prime donne Suzy Delair e Simone Renant, nonché Louis Jouvet (l’ispettore di polizia) e Charles Dullin nei panni del viscido e inquietante Brignon. Film interessantissimo e di ritmo rapido che non consente distrazioni da parte del pubblico; quasi in ogni scena c’è qualche elemento che può essere visto come un indizio, una trascuratezza dell’assassino, un rischio di rivelare una bugia. A metà strada fra un dramma della gelosia ossessiva e un noir con mille risvolti e colpi di scena; situazioni facilitate dalle continue bugie raccontante anche quando non sono necessarie. Tempi e dettagli sono tutti ben studiati e posizionati alla perfezione nella scaletta. Premo internazionale per la regia e Nomination per il Gran Premo internazionale a Venezia.

L'assassin habite ... au 21 (Henri-Georges Clouzot, Fra, 1942)

Per un crime (in effetti commedia thriller) l’asserzione del titolo (assolutamente vera) può apparire come un controsenso, ma non è così in quanto l’indirizzo è quello di una pensione nella quale alloggiano molti tipi strani e sospetti. Sotto falsa identità l’ispettore si introduce nella comunità travestito da sacerdote e alternando scene da thriller e da commedia si seguono gli sviluppi delle sue indagini, piene di colpi di scena e sorprese. Come in Quai des Orfèvres, l’elemento di disturbo è il personaggio di Suzy Delair (l’intrigante moglie dell’ispettore) che si presenta a sorpresa e sotto mentite spoglie. Molti paragonano Clouzot a Hitchcock per il suo far vedere senza mostrare e per il senso dell’umorismo. Piacevole, ben diretto e ben interpretato.

  

Alamar (Pedro González-Rubio, Mex, 2009)

Si potrebbe definire un documentario familiare in quanto i protagonisti sono quasi esclusivamente un padre messicano (pescatore indigeno) e suo figlio di 4 anni che normalmente vive a Roma con la madre, ma temporaneamente sta con lui su una palafitta presso la Costa Maya. Pesca responsabile e giusto approccio con la natura sono quindi il tema del film, nel quale ognuno interpreta sé stesso. A parte qualche altro pescatore locale, riveste un ruolo importante uno più anziano ed esperto che vive nella stessa essenziale capanna e fa da mentore al padre e figlio. Brevi apparizioni all’inizio e alla fine del film sono riservate alla madre del fortunato ragazzino, che certamente non avrà dimenticato l’esperienza del repentino passaggio da una moderna città europea ad una casa di legno circondata dal mare, praticamente senza niente, dalla quale parte ogni mattina alla scoperta della barriera corallina, imparando a sommozzare, a pescare, a pulire il pesce che poi mangeranno. Ci sono anche escursioni a terra ed il tentativo di addomesticare un guardabuoi (un tipo di airone). Film d’apertura Generation Kplus a Berlino.

The Ladykillers (Alexander Mackendrick, UK, 1955)

Alle 3 Ealing Comedies guardate di recente ho voluto aggiungere questa, la più famosa, ma non direi la migliore in assoluto. Rispetto alle altre è troppo grottesca e ciò sminuisce la qualità complessiva, nonostante la buona sceneggiatura che ottenne la Nomination Oscar. Oltretutto Alec Guinness è meno brillante del solito e anche Peter Sellers, nel suo primo ruolo di una certa importanza in un film, è ben lontano dall’attore che poi diventerà. Ne è stato prodotto un remake nel 2004 con protagonista Tom Hanks e sceneggiatura dei fratelli Coen … nonostante ciò è stato un flop come la maggior parte dei remake.

Después de la tormenta (Roberto Gavaldón, Mex, 1955)

Di questo ho già trattato, seppur concisamente, nel post precedente, allargando il discorso ad altri buoni film e scritti su temi simili cioè sostituzioni di persona e false identità. 

mercoledì 14 dicembre 2022

Sostituzioni di persona ... fra realtà, letteratura e cinema

Fra i tanti autori che nel corso dei secoli e in varie forme si sono cimentati in questo tipo di storie più o meno misteriose, talvolta reali e/o irrisolte, si trovano personaggi di tutto rispetto. La scintilla che mi ha spinto a scrivere questo post è stata la visione di un bel film che recentemente è stato riproposto in Messico.

Después de la tormenta (1955) fu diretto da Roberto Gavaldón, su un soggetto (El Otro Hermano) di Julio Alejandro, fra gli sceneggiatori preferiti di Buñuel avendo scritto Nazarín (1959), Viridiana (1961), Simón del desierto (1965), Tristana (1970). Questo inusuale noir ambientato sull’isola caraibica Isla de Lobos, Veracruz, narra di due gemelli che escono a pesca ma, a causa di una improvvisa tempesta, ne ritorna solo uno, che sembra essere Melchor, ma sostiene di essere Rafael, e ognuna delle spose pensa sia suo marito. Non a caso i due fratelli sono interpretati dallo stesso attore (Ramón Gay) mentre le due donne sono in effetti le star (Marga López e Lilia Prado).

Storia simile, ma a fini economici e non sentimentali e dal punto di vista femminile, con un’attrice che impersona entrambe le protagoniste, è un precedente noir diretto da Gavaldón, La otra (1946), un classico della Epoca de Oro del Cine Mexicano. La star con doppio ruolo è Dolores Del Rio, il co-protagonista, Victor Junco. Di questo nel 1964 fu prodotto un remake (Dead Ringer, diretto da Paul Henreid) con Bette Davis e Karl Malden. Il soggetto (dell’americano Rian James) narra due gemelle solo in apparenza identiche, ma di caratteri opposti; chiaramente la cattiva tenta di prendere il posto dell’altra.

 

Ma non finisco qui, queste storie mi hanno riportato alla mente anche Il ritorno di Martin Guerre (Nomination Oscar, 1982, Daniel Vigne, Fra) adattato da The Wife of Martin Guerre (1941) scritto dall’americana Janet Lewis sulla base degli atti di un famoso processo del 1560 per sospetto furto d'identità, reale caso trattato anche Alexandre Dumas nella sua serie Les Crimes célèbres, 1839–1840.

L’intrigante tema delle riapparizioni sospette fu affrontato perfino da Bram Stoker, autore di Dracula, un personaggio emblematico della letteratura gotica. Il suo poco noto racconto The Coming of Abel Behenna (1893), è incluso nella collezione Dracula's Guest And Other Weird Stories e, chi volesse, lo può leggere scaricandone qui il testo originale in pdf.

 

Infine, tornando al cinema e pur essendo di tema solo parzialmente attinente, reputo opportuno citare L'enigma di Kaspar Hauser (3 Premi a Cannes, 1974, scritto e diretto da Werner Herzog) nel quale si descrive l’apparizione del misterioso personaggio che fu realmente trovato nel 1828 a Norimberga, interpretato dall’ineffabile Bruno S. (vale la pena leggere qualcosa sulla vita di questo attore per caso). In questo caso il dilemma era: si trattava di un povero sventurato quasi incapace o di un astuto impostore?

Ovviamente, di film e storie di gemelli che fingono di essere l’altra/o, o di impostori che provano ad assumere l’identità di altri ne sono a centinaia, ma questi citati sono certamente fra quelli di miglior qualità. Consiglio di approfondire  il tema e guardare e/o leggere almeno qualcuno dei succitati titoli.