venerdì 31 luglio 2020

I buontemponi (leggi deficienti o imbecilli) che frequentano Monte San Costanzo

Come loro ce ne sono anche in molte altre aree, ma questi (penso siano sempre gli stessi) sono particolarmente pertinaci, nonché tendenti alla demenza precoce.
La loro “impresa” più recente è stata quella di accatastare tante frasche dei pini caduti (l’anno scorso) sul bivio del CAI 300 che connette la sella di San Costanzo con Nerano
Le foto che seguono sono state scattate poche ore fa e dimostrano in modo lampante la pochezza di tali individui subnormali. 
La settimana scorsa, in compagnia dei Camminanti, sono tornato dopo quasi un anno sul suddetto percorso ma non si vedeva traccia del bivio … solo un ammasso di tronchi e frasche secche. 
Ci vollero esattamente 2 secondi per capire che l’innesto della discesa era stato coperto e quindi, senza pensarci due volte né perderci d’animo, scavalcammo vari tronchi, sicuri che pochi metri più a valle avremmo ritrovato il sentiero (foto a sinistra) … e così fu.
Oggi sono tornato sul posto per valutare meglio la situazione e in pochi minuti, dopo aver riportato alla luce la vecchia mattonella (danneggiata) che evidenziava il bivio, mi sono reso conto che l’inizio del sentiero era stato semplicemente (e proditoriamente) coperto più che altro da frasche accatastate al lato di un tronco caduto proprio sul tracciato, quasi riempendolo. 
In meno di 10 minuti (da solo e senza aver bisogno di attrezzi) ho rimosso buona parte delle frasche e annodato qualche fiocchetto bianco/rosso per facilitare l’individuazione della traccia da parte di coloro che poco conoscono l'area o vanno in giro seguendo una traccia gps.
Nelle foto che seguono si possono vedere i risultati di un brevissimo "lavoro" ... in linea di massima, a smantellare ci si mette molto meno tempo che a costruire ... per "loro" ne è valsa la pena?
vista da valle
vista da monte alle 13:08
Tornando a quanto detto in apertura, ricordo che, ancor prima del cambio secolo, uno o più di tali buontemponi si prese la briga di coprire i segnavia bianco/rossi del CAI con vernice verde chiaro, con il solo risultato che anche il meno dotato dei camminatori novellini avrebbe potuto seguire facilmente il percorso prestando attenzione ai segni verdi invece che a quelli bianco rossi … si può essere più dementi? Ci persero il tempo e la vernice, senza considerare il rischio che corsero nel caso fossero stati colti in flagrante ... ebeti o cretini?
Negli anni successivi ha(nno) sfregiato, rimosso o distrutto le mattonelle segnavia del Progetto Tolomeo, poi quelle dell’aggiornamento del 2003 e infine, in tempi recentissimi quelle relative al Giro di Santa Croce e all’ex-CAI 00. Anche in questi casi se ne è quindi parlato sui cosiddetti social fornendo lo spunto per una ulteriore pubblicità a tali percorsi.
In conclusione, pur restando sostanzialmente anonimi, si sono costruiti una buona fama di deficienti.

Micro-recensioni 246-250: altro Kusturica

Dopo la ri-visione del noto Underground, ho recuperato il secondo film di Kusturica (novità per me), prodotto 10 anni prima, per poi proseguire con tre film sovietici (uno in due parti) non completamente allineati alle direttive statali, tutti recuperati tramite l’interessantissimo sito Russian Film Hub
 
Assa (Sergey Solovev, URSS, 1987)
Cult giovanile, almeno per quelli che hanno vissuto gli anni della rivoluzione culturale, in particolare musicale, degli anni ’80. Allo sdoganamento della musica giovanile undergroung e rock (Viktor Tsoy, elemento di spicco del rock sovietico è fra i protagonisti del film) si affiancano una storia d’amore impossibile, uno sguardo al mondo della malavita con intrusione del KGB, un salto all’indietro nel tempo di quasi due secoli, con la rappresentazione dell’assassinio dell’imperatore Paolo I, Zar di tutte le Russie, nel 1801 e, come se non bastasse, due sequenze di cinema sperimentale – “psichedelico” che rappresentano altrettanti sogni del musicista. In chiusura, una dirigente legge tutte le regole alle quali dovevano sottostare quelli che si esibivano in pubblico.

Welcome, or No Trespassing (Elem Klimov, URSS, 1964)
Per puro caso, subito dopo la conclusione di Assa con le regole che gli artisti dovevano seguire nelle loro performance, ho guardato questo film satirico ambientato in un campo estivo per bambini e bambine, diretto da un inflessibile (e ottuso) direttore. Anche quei giovanissimi devono sottostare ad innumerevoli regole, alcune delle quali giuste e logiche per una buona educazione e convivenza, altre frutto della pedissequa applicazione dei dettami del Partito. Divertente e ben girato peccato per la conclusione non all’altezza della prima ora.
 
BEG - The Flight (Aleksandr Alov, URSS, 1971)
Il film giunse nei cinema d’oltrecortina in due parti separate ma fu poi presentato a Cannes l’anno successivo come opera unica di 3h16’. Il soggetto è liberamente tratto da tre lavori di Bulgakov, non strettamente collegati fra loro: La Guardia Bianca (1925), La fuga (1927) e Il Mar Nero (1936). In particolare il progetto di adattamento teatrale del primo fu censurato dallo stesso Stalin e neanche l’intervento di Gorki sbloccò la situazione. Materia del contendere era il modo nel quale venivano rappresentati gli ufficiali della Guardia Bianca. La prima parte riguarda il caos provocato dalla fine della rivoluzione mentre nella seconda si seguono le vicende di alcuni “fuggitivi” sulle coste del Mar Nero e a Parigi. Storicamente interessante e molto ben realizzato, con le consuete ottime interpretazioni degli attori russi. Merita la visione anche per lo spaccato che offre delle relazioni sociali militari, rivoluzionari e borghesi dell’epoca.

Papà... è in viaggio d'affari (Emir Kusturica, Yug, 1985)
Nonostante vanti la Nomination Oscar fra i film stranieri e la Palma d’Oro e Premio FIPRESCI a Cannes, non mi ha convinto del tutto e non mostra la verve e l’esplosivo humor nero dei film successivi che lo hanno reso famoso.

venerdì 24 luglio 2020

Pasta alla puveriello a modo mio

Ne parlai diffusamente poco più di 4 anni fa nel post Spaghetti alla puveriello (come li ricordo io e come piacciono a me), discettazione che invito a leggere in quanto propedeutica alla presente … le mie scelte e considerazioni appariranno molto più chiare. Essendo tornato in ballo l’argomento ho deciso di riproporlo ad alcuni dei commensali abituali che apprezzano la mia cucina e si fidano delle mie (talvolta fantasiose e non sempre riuscite) varianti di cucina tradizionale.
In questo caso, ho valutato a lungo il modo di ottenere l’albume e il tuorlo (bianco e rosso d’uovo per i non-chef come me) al punto di cottura desiderato. Come ampiamente spiegato nel succitato post, io appartengo alla scuola di pensiero che vuole il bianco ben cotto e frantumato e il rosso quasi crudo e quindi, dopo lungo pensare, sono giunto ad una conclusione che mi sembrava quasi ottimale e con tale procedimento ho preparato gli Spaghettoni alla puveriello e li ho sottoposti al giudizio dei miei convitati. Le foto mancano in quanto tutti, presi dalla frenesia di assaggiare senza far raffreddare la pasta, abbiamo immediatamente affondato le forchette nelle proprie zuppierine (ampie ciotole che preferisco ai piatti fondi che hanno capacità troppo limitata), rigirato gli spaghettoni per colorarli con i tuorli e iniziato ad arravogliare. Del resto, c’era poco da ammirare a occhio e la tanto in voga “presentazione” è l’ultimo dei miei pensieri. A giudicare dall'accurata ripulitura dei piatti con il pane (la famosa scarpetta) sembra che i commensali abbiano approvato l'esperimento.
La scelta della trafila era ristretta a pasta lunga e consistente, di quella che cuoce in oltre una dozzina di minuti, nella fattispecie avevo a disposizione vermicelli (14’) e spaghettoni gragnanesi (16’), entrambi della Garofalo e trafilati al bronzo; altre marche i spesso denominano i secondi (forse più correttamente) vermicelloni, comunque l’importante è che abbiano diametro maggiore dei vermicelli.
Ho pensato di cuocere i bianchi in una ampia tiella di terracotta ( 30cm, h 10cm, tegame, foto in basso), nella quale avrei poi condito la pasta. Infatti, l’idea base era quella di separare albumi e tuorli, cuocere tutti i primi nella ‘nzogna (strutto), mettere in ciascuna ciotola un tuorlo e un paio di questi tenerli da parte per aggiungerli nella tiella, a fuoco spento.
Ingredienti principali e quantità usate pro capite:
120g di pasta * 10/15g di strutto * 25/30g di caciotta secca, meglio se pecorina * 1 uovo + qualcuno per il condimento base (nell’occasione 9 uova per 7 persone)
Procedimento:
calata la pasta, si scalda la sugna e quando è ben calda vi si cuociono tutti i bianchi d’uovo (9 nel mio caso) e quando sono ben solidi si spegne e si frantumano. Quando la pasta è ancora molto al dente si condisce nella tiella e si aggiungono i rossi extra. Quindi di impiatta velocemente e ognuno gira i propri vermicell(on)i in modo da colorarli con il rosso che era sul fondo della ciotola. Si completa con caciotta grattugiata grossa, pepe o peperoncino per chi piace.
Poiché mi diletto a controllare quanto e come mangio, ho calcolato il contenuto calorico di quanto utilizzato per 7, vale a dire 840g di pasta, 90g di strutto, 9 uova e 200g di caciotta = 4.970kcal, pari a 710kcal per porzione. Per un rapido confronto, a beneficio di chi si spaventa per l’uso dello strutto, ricordo che sul primo portale di conteggio calorie che ho trovato una porzione di carbonara viene segnalata a 579kcal, amatriciana a 669, bolognese 545, … ma con soli 80g di pasta! Riducendo semplicemente i miei 120g a 80, senza diminuire il condimento, un piatto di vermicelli alla puveriello conta 567kcal, praticamente alla pari con carbonara e bolognese, 20% in meno della amatriciana.
Ora sto sperimentando un hummus di fave, utilizzando quelle che ho trovato già completamente secche sulle piante al mio rientro in Italia, con 2 mesi e 20 giorni di ritardo.
Vi terrò informati.

sabato 18 luglio 2020

Micro-recensioni 241-245: altri 4 film messicani e uno dei due famosi di Kusturica

Due film di spicco  e tre nella (buona) norma. Ognuno ha le sue ragioni di essere e i suoi meriti e quindi risultano essere interessanti visioni, specialmente se valutate nel loro contesto di tempo e di luogo di produzione.
  
Underground (Emir Kusturica, Yug, 1995)
Kusturica ha diretto solo una decina di film nel corso dei suoi 40 anni di carriera, ma partì con il piede giusto e molti suoi film hanno ottenuto importanti riconoscimenti. Esordì nel 1981 con il poco conosciuto Ti ricordi di Dolly Bell? (4 premi a Venezia e Nomination Leone d’Oro), seguito 3 anni dopo da Papà... è in viaggio d'affari (Nomination Oscar e Palma d’Oro e e Premio FIPRESCI a Cannes) e nel 1988 da Il tempo dei gitani (Miglior regia a Cannes). Dopo aver tentato il salto a Hollywood (Arizona Dream, 1993) tornò a occuparsi di dei Balcani e dei gitani con i due film che gli hanno dato vera fama internazionale visto anche il successo di pubblico: Underground (1995) e Gatto nero, gatto bianco (1998). Ho quindi ri-guardato con molto piacere il primo anche se l’altro rimane il mio preferito per essere più graffiante, esplosivo e grottesco, oltre che conciso. In entrambe ha un ruolo fondamentale la musica, interpretata in scena dalla fantastica banda di ottoni Musika Akrobatika. Questo è forse è un po’ lungo e dispersivo, considerato che inizia con l’occupazione nazista, prosegue per tutta l’epoca di Tito e termina con le guerre interne della Iugoslavia in disfacimento, sotto il “controllo” delle forze ONU.
Senz’altro da guardare (e ascoltare), così come gli altri suoi migliori film.

Dos monjes (Juan Bustillo Oro, Mex, 1934)
Si distingue nettamente fra i messicani di questa cinquina, e per due motivi molto diversi. Uno è lo stile, fortemente influenzato dall’espressionismo tedesco del decennio precedente, nonché dall’emulazione dei registi russi che in quel periodo collaboravano con i messicani a cominciare da Eisenstein. L’altro è la sceneggiatura, che anticipa di quasi una ventina d’anni quella del ben più famoso Rashomon di Akira Kurosawa. Infatti, la storia si basa su due monaci che si ritrovano per caso in uno stesso convento molti anni dopo essersi scontrati per questioni di cuore, prima di prendere i voti. Nel corso delle confessioni al priore presenteranno diverse versioni degli eventi. Le scenografie sono in puro stile espressionistico, così come le luci e i forti contrasti. Purtroppo, le interpretazioni sono molto deludenti … peccato!
  
El Peñón de Las Ánimas (Miguel Zacarías, Mex, 1943)
Rosenda (Julio Bracho, Mex, 1948)
El brazo fuerte (Giovanni Korporaal, Mex, 1958)
Due degli altri 3 messicani sono diretti da registi di spicco della Epoca de Oro e interpretati da attori altrettanto noti, bravi e amati dal pubblico: Jorge Negrete e María Félix sono i protagonisti del primo e Fernando Soler e Rita Macedo del secondo. Senz’altro buoni ma non certo fra i migliori del loro genere.
Il terzo, invece, è quasi del tutto sconosciuto ai più, ma è tornato alla ribalta per essere stato di recente restaurato e la prima è stata proposta dalla Cineteca Nacional Mexico poche settimane fa. Si tratta di un film indipendente dell’allora esordiente Giovanni Korporaal, uno dei primi esempi di satira politica messicana (si parla di corruzione e usurpazione di potere) e per tal motivo addirittura bloccato dalla censura per oltre 15 anni.

giovedì 16 luglio 2020

20 anni fa nacque la Camminata dei 23 Casali

Mi è capitato fra le mani l’opuscolo di 24 pagine edito in occasione della prima Camminata dei 23 Casali di Massa Lubrense, tenutasi il 22 aprile 2000, sabato santo. In esso, ai messaggi di saluto degli assessori al Turismo e alla Cultura (Coppola e Iaccarino) seguiva una presentazione della mia “pensata”.
L’idea della Camminata dei 23 Casali nasce con l’intento di far conoscere il territorio massese evidenziando la vastità di scelte di percorso nella fittissima rete viaria vecchia di secoli, la piacevolezza dell’ambiente rurale, le viste sui Golfi di Napoli e Salerno con le loro isole, isolotti e scogli, il Vesuvio, i Monti Lattari. Nelle intenzioni dovrebbe diventare un appuntamento annuale ed il percorso potrà cambiare di anno in anno in modo da presentare in ogni edizione nuovi punti di interesse, nuovi sentieri recuperati o ripuliti (molti per varie ragioni vengono abbandonati e quindi fagocitati dalla vegetazione).
Quindi non vuole essere una visita guidata alle bellezze di Massa, ma un mezzo per farle solo “assaggiare” ai partecipanti in modo che al termine della Camminata tutti dovranno avere l’impressione di non essere riusciti a vedere abbastanza di Massa pur avendola percorsa in lungo ed in largo, quindi dovranno sentire il bisogno di ritornare per godersi e conoscere con più calma i luoghi, i panorami, i sapori e gli odori massesi, coinvolgendo ovviamente amici, parenti, ascendenti, discendenti, collaterali e affini. E ciò vale anche per i massesi che, per la maggior parte, non conoscono il proprio territorio e ne sottovalutano le bellezze. Quanti massesi hanno avuto occasione di visitare i bastioni del Castello? E quanti sono mai andati da Marciano a Termini per Scola, percorrendo meno di un chilometro? E quelli che conoscono via Filichito o via San Giuseppe, da quanti anni non le percorrono? La Camminata dei 23 Casali diventa quindi un mezzo per far tornare in mente tanti ricordi agli adulti ed anziani che nei decenni passati hanno percorso queste antiche strade per andare a scuola, al lavoro, alle feste patronali; e per far conoscere ai giovani la realtà massese al di là delle strade percorribili con auto e motocicli.
Nel corso della passeggiata si avrà l’occasione di soffermarsi ad osservare luoghi particolari, conoscere le caratteristiche del territorio, accedere ad alcune chiese minori, come San Giuseppe a Prasiano, Santa Maria del Campo e Santa Maria di Loreto, solitamente chiuse e quindi sconosciute ai più. Oltre ad ammirare dall’esterno tanti dei famosi limoneti massesi coperti dai caratteristici pergolati, si avrà modo, effettuando una breve deviazione, di attraversare parte dell’agrumeto più antico di Massa (il Gesù) impiantato dai Gesuiti nella prima metà del ‘600. Altra sosta particolare sarà quella al Castello, del quale in effetti rimane ben poco, ma la vista su Massa e Marina della Lobra dai bastioni settentrionali è veramente da non perdere.
In questo opuscolo si forniscono alcune informazioni basilari sui Casali attraversati, citando i nomi così come apparivano nell’elenco dei Fuochi del 1489 e nell’ordine nel quale saranno raggiunti nel corso della Camminata. Nella seconda parte sono state raccolte alcune notizie sui vari siti oggetto di sosta ed una più approfondita descrizione dei metodi costruttivi di pergolati e pagliarelle con particolare attenzione alla terminologia locale. Infine è stato dedicato spazio all’illustrazione dei principali prodotti massesi ed a due manifestazioni particolari: il Presepe Vivente di Torca e il Carnevale di Termini.
 
in alto, mappa con i 23 Casali toccati dal percorso
qui sopra, copertina e dorso con tabella oraria
Dieci anni dopo il Progetto Tolomeo, che aveva già fatto riscoprire molti percorsi storici dimenticati, la Camminata dei 23 Casali ebbe un buon successo negli anni seguenti, e per questo motivo in alcuni dei quali la classica data del sabato santo fu “raddoppiata” con un’altra edizione il 25 aprile, talvolta con itinerari diversi fra loro. Fra il 2000 e il 2013 si sono tenute 21 edizioni, alla successiva (già annunciata come ultima) si rinunciò a causa del maltempo.
Purtroppo, nonostante lo sbandierato maggior interesse per l'escursionismo e per il recupero dei percorsi rurali, l'itinerario del 2000 non è oggi proponibile per dissesti vari e/o per le cattive condizioni di alcuni tratti. 
I volenterosi possono comunque provarci ...

venerdì 10 luglio 2020

Micro-recensioni 236-240: Fernando de Fuentes e Gabriel García Moreno

Cinquina dedicata a soli 2 registi messicani, costituita dalla celebre Trilogia della rivoluzione del primo, il più famoso dei due, reputato uno dei migliori registi non solo dell’epoca, e un paio di film muti ritrovati dopo un lungo oblio e restaurati negli anni scorsi.
  
Ho approfittato della recente disponibilità online dei tre film di Fernando de Fuentes (anch’essi restaurati ed in 1080p) per ri-guardare gli ultimi due e apprezzare anche il primo, il meno noto dei tre ed una assoluta novità per me.

El prisionero 13 (Fernando de Fuentes, Mex, 1933)
Meno conosciuto degli altri due, si basa su una storia con un numero limitato di personaggi, alcuni dei quali completamente al di fuori delle vicende rivoluzionarie. Visto l’antefatto, risulta chiaro che il bambino separato dal padre ritornerà in scena da grande, ma per giungere a quel momento bisogna aspettare l’ultimo quarto d’ora, che include vari colpi di scena. Trama singolare, della rivoluzione (intesa come scontri a fuoco) non c’è assolutamente niente, ma se ne vedono solo gli effetti su alcuni cittadini della capitale, dove si svolge l’intera storia.

El compadre Mendoza (Fernando de Fuentes, Mex, 1933)
Senza dubbio il più famoso della Trilogia, apprezzato dai critici ed amatissimo dal grande pubblico tanto che fu scelto per l’inaugurazione della Cineteca Nacional México (17 gennaio 1974). Al centro della singolare trama c’è Rosalio Mendoza, ricco proprietario della tenuta Santa Rosa, commerciante e traffichino, che con varie “acrobazie” riesce a restare in buoni rapporti sia con i rivoluzionari di Zapata che con le forze di governo. Anche in questo caso di sparatorie e battaglie non c’è quasi nulla.

Vamonos con Pancho Villa (Fernando de Fuentes, Mex, 1935)
Terzo e conclusivo film della Trilogia della rivoluzione, di nuovo focalizzato sui partecipanti, con un non troppo entusiasmante presentazione di Pancho Villa. De Fuentes ancora una volta narra di uomini, sia giovani che maturi, che abbracciano gli ideali della rivoluzione con passione, coraggio ed entusiasmo … e per più di uno di loro finisce male. Non cono sono i classici eroi ma gente semplice, con le loro paure, le loro fanfaronate e ideali di solidarietà e onore. Questo è l’unico dei tre nei quali si vedono scontri a fuoco, feriti e morti … praticamente girato sui campi di battaglia. I protagonisti sono sei amici che, quasi per gioco, si arruolano nelle fila rivoluzionarie.
 
Come anticipato, i film di Gabriel García Moreno sono tornati alla luce in tempi e modi diversi e sono stati restaurati, ri-montati e musicati, uno addirittura in Polonia. Non sono completi ma le ultime ricostruzioni sono decisamente più lunghe di quelle precedentemente disponibili. Dei pochi altri noti, si sa qualcosa di El Buitre (1925) e pare che varie scene di esso siano state riutilizzate in El puño de hierro (1927). Il regista ebbe una certa fama e seguito durante gli ultimi anni dell’epoca del muto, tant'è che i cartelli dei suoi film erano anche in inglese.

El tren fantasma (Gabriel García Moreno, Mex, 1927)
In poco più di un’ora è concentrata una trama molto articolata, fra furti, rapimenti, inseguimenti, travestimenti e storie d’amore. Si percepisce la mancanza di varie scene, il montaggio manca di continuità, spesso ignorando distanze e tempi, ma senza dubbio era un prodotto destinato ad un grande pubblico che non andava tanto per il sottile e certamente rimaneva incantato da tanta rapida azione e rovesciamento di situazioni.

El puño de hierro (Gabriel García Moreno, Mex, 1927)
Di quest’altro film 7 pizze riapparvero negli anni ’60 e da quelle furono montate 2 edizioni. Ne ho guardato terza ricostruita nel 2001 (e restaurata nel 2016) grazie a integrazioni di altri negativi e positivi e, soprattutto, sulla base del soggetto dettagliato e delle indicazioni di Hortensia Valencia, fra le protagoniste del film e moglie del regista.
Approfittando del restauro, entrambi i film sono stati opportunamente musicati e sono stati aggiunti cartelli. Certamente più articolato e complesso del precedente, combina varie storie diverse che tuttavia hanno qualche personaggio comune e gran parte è legato all'uso e commercio di droga.

sabato 4 luglio 2020

Micro-recensioni 231-235: film sovietici d’autore

Sull’entusiasmo derivante dalla visione di Sayat Nova - Il colore del melograno, ho guardato gli altri 3 film imprescindibili di Parajanov, girati nell’arco di una 20ina di anni. Ho completano questo gruppo con due film di lunghezza ridotta degli inizi di Tarkovsky (considerandoli un’unica visione) e uno dei tanti adattamenti dello shakespeariano Re Lear, ma di indiscusso pregio.
Shadows of Forgotten Ancestors (Sergei Parajanov, URSS, 1965)
The Legend of Suran Fortress (Sergei Parajanov, URSS, 1985)
Ashik Kerib (Sergei Parajanov, URSS, 1988)

Con questi 3 ho guardato quanto c’era da guardare di Parajanov. Di solito gli sono accreditati 10 film, ma il regista rinnegò quanto prodotto prima del ’65 (5 film in stile più o meno tradizionale) definendolo “spazzatura” e l’ultimo non si dovrebbe prendere in considerazione in quanto riuscì a girare solo parte di esso prima della morte. Ne restano così 4, in parte simili per stile ambientazione, basati su leggende e miti, fra il surreale e tableaux vivant, scenografie e location naturali, coloratissimi costumi tradizionali, tanti animali, uso della luce in modo molto espressivo colori forti e contrastanti, musica etnica. Per ognuno di essi si potrebbe scrivere tanto e comunque resterebbero parti non sufficientemente analizzate e molte altre misteriose o incomprensibili per i non esperti di tali culture.
Aggiungo solo che il suo ultimo film portato a termine Ashik Kerib (1988) mi è sembrato meno avvincente dei precedenti forse perché con trama più comprensibile e lineare. Inoltre, rispetto agli altri c’è una maggior continuità nella colonna sonora composta da brani musicali musica e canti tradizionali visto che il protagonista che dà il titolo al film è un menestrello, girovago per forza. Parajanov lo dedicò al suo amico Andrei Tarkovsky, deceduto due anni prima a soli 54 anni.
Comunque ribadisco che sono tutti film da guardare con attenzione, un piacere per gli occhi anche se non si riescono a carpire tutti i significati e i simbolismi.
Re Lear (Grigoriy Kozintsev, URSS, 1971)
Dramma shakespeariano molto ben messo in scena, in affascinanti location. Girato in b/n e in formato 2.35:1, conta su ottime interpretazioni di tanti attori di chiara origine teatrale. Al di là dell’ottima tecnica, come è immaginabile risulta un po’ “pesante” non tanto per la lunga e articolata storia quanto per l’eloquio aulico. Seppur adattato in modo totalmente diverso, regge più che bene il confronto con la versione nipponica di Kurosawa: Ran (1985).
Korol Lir, questo il titolo originale, fu l’ultimo dei soli 15 film diretti da Kozintsev in oltre 40 anni; il precedente era stato Gamlet (Amleto, 1964) ancor più elogiato di questo ed evidentemente basato su un’altra tragedia del famoso autore inglese. Mi dovrò mettere alla sua ricerca.

The Killers (Andrei Tarkovsky, Aleksandr Gordon, URSS, 1956)
Tarkovsky diresse due delle tre parti di questo corto di poco più di un quarto d’ora ed interpreta il secondo cliente, suo cognato, il coregista Aleksandr Gordon, diresse l’altro ed interpreta il barista, non è chiaro quale parte abbia avuto la terza co-autrice Marika Beiku. Il filmato fu prodotto mentre erano studenti Film Institute di Mosca e fu uno dei primi casi dell’epoca in cui fu concesso di utilizzare un soggetto americano; è infatti tratto da un racconto di Hemingway.

Violin and Roller (Andrei Tarkovsky, URSS, 1961)
Mediometraggio di circa un quarto d’ora nel quale già appaiono dei temi cari al regista: tanta acqua, riflessi e specchio. Tuttavia, manca la pacata lentezza che sarà un marchio di fabbrica per i successivi capolavori.

mercoledì 1 luglio 2020

Tajinaste rojo ... soddisfatto a metà

Grazie al Covid, in questo caso veramente e non ironicamente, mi sono trovato ancora a Tenerife nel momento della fioritura del tajinaste rojo.

Quando questa era nel suo pieno le escursioni non erano ancora possibili, poi ho aspettato la ripresa delle corse della guagua per il Teide (l’unica ancora sospesa in quanto prettamente turistica), ho sperato lo scorso weekend, alla fine quando sarà riattivata? Venerdì 3 luglio, il giorno previsto per il mio rientro, con 2 mesi e 20 giorni di ritardo …  'a ciorta d'o pover'omm'.
La differenza fra raggiungere il Parque Nacional del Teide con mezzi propri o in bus consiste nel fatto che nella prima ipotesi si è costretti a tornare al punto di partenza, mentre nella seconda si può contare su 5 fermate distribuite lungo i 14 km della strada che attraversa la caldera, fra i 2.000 e i 2.300m di quota, e quindi iniziare in un punto e terminare in un altro, escursione lineare e non circolare.
Non volendo perdere l’occasione unica, mi sono comunque rassegnato e ho noleggiato un’auto e alle 9.30 ero già all’inizio del sentiero 18 (Chavao), detto anche la ruta del tajinaste rojo, che mi era stato consigliato da una guida locale eppure non ne ho visto neanche uno in fiore. Una coppia di escursionisti francesi (ma residenti sull’isola da 16 anni) mi hanno detto che lì c’erano un mese fa, ma ora era meglio andarli a cercare fra Portillo e Fortaleza. I 4km del percorso (x2 = 8km) si sono rivelati comunque interessanti per le belle viste e un vasto campo di lava cordata (pahoehoe) con vari tratti di lava a cuscino (pillow lava).
Tornato alla macchina ho preso quindi la via del ritorno lungo la quale mi sono fermato più volte per scattare foto panoramiche (Roques de Garcia, Minas de San José, …) o di tajinaste, anche se il più delle volte verdi con un solo minimo accenno di fiori.
L’Echium wildpretii (questo il suo nome scientifico) è endemico delle Canarie, esattamente dell’isola di Tenerife dove si incontra perlopiù nella Caldera del Parco Nazionale del Teide, fra i 2000 e 2500 metri di altitudine. Infatti, lì trova ambiente ideale visto che ha la particolarità di aver bisogno di molto sole e di resistere a temperature basse, quindi si trova perfettamente a suo agio nella caldera dove raramente nevica, le temperature scendono al di sotto dello zero solo di notte e i giorni di sole pieno sono oltre 300 all'anno.
Il genere degli Echium (Erba viperina, famiglia Boraginaceae) conta una 70ina di specie, 27 delle quali sono endemiche della Macaronesia (le isole dell’Atlantico centrorientale: Azzorre, Madeira, Canarie, Capo Verde) e sono fra le più imponenti.
Dalle parti nostre si trova l’Echium fastuosum che qualcuno chiama blu di Capri, ma è nativo di Madeira (in inglese è pride of Madeira). Altri Echium sp. sono comuni sui Lattari, ma il più alto e simile (E. italicum) solo in pochi casi supera il metro, ben poca cosa nei confronti del tajinaste che raggiunge i 3 metri.
Come in varie altre piante i fiori crescono in una specie di spiga in tempi diversi, dal basso verso l’alto; il colore può variare dal rosa pallido al rosso profondo. La combinazione di questi colori sui fusti verticali con lo sfondo con la dominante giallo marrone delle sabbie vulcaniche della caldera del Teide è certamente qualcosa di unico, ma bisogna trovarsi al posto giusto al momento giusto.
Ho approfittato del ritorno a valle per fermarmi a scattare una foto alla Margarita Piedra (anche Rosa de Piedra), come potete vedere si tratta di una singolarissima formazione rocciosa che ricorda un fiore.