sabato 30 aprile 2016

Altro cibo tradizionale ... peculiare delle coste mediterranee

Crithmum maritimum ... il nome non dirà niente alla maggior parte di voi, ma forse qualcuno lo conosce con il suo nome comune: finocchio marino. Si tratta di una pianta che cresce spontanea lungo i litorali mediterranei, anche molto vicino all'acqua in quanto alofila (resistente all'aria salmastra).

Ieri proprio all'inizio della mia escursione fotografica, prima di intraprendere il sentiero costiero fra Cala Sant Esteve e Cala Rafalet ho notato due persone, a una certa distanza fra loro e armati di grandi buste, che raccoglievano erbe al limite della cantera (una vecchia cava di pietre). Come era facile immaginare, sono sceso sulle rocce e ho "intervistato" il giovanotto che staccava con cura le foglie più tenere del fonoll marì (nome in catalano del Crithmum).
Mi ha spiegato che ne utilizza le foglie per preparare dei sottaceti molto apprezzati, caratteristici della gastronomia maiorchina eppure quasi sconosciuti a Menorca (notizia confermata dal mio anfitrione). Lui è uno dei pochi a produrli (ma solo per uso proprio) con la collaborazione e sotto la guida della moglie (mallorquina). La sua ricetta è estremamente semplice: tenere in aceto (di vino) le foglie per almeno 6 mesi, ma lui le tiene un anno prima di utilizzarle come aperitivo con il classicissimo pan amb oli (pane e olio).

Ho quindi effettuato una breve ricerca e, come al solito quando si tratta di prodotti tradizionali, ce ne sono tante diverse, seppur di poco.
Riassumendo:
  • nella maggior parte dei casi si lavano semplicemente le foglie
  • alcuni dicono che lo si debba fare con acqua di mare per farle mantenere più consistenti
  • per lo stesso motivo altri aggiungono sale e pochi ceci (3, 5 o 7 - comunque sempre in numero dispari ...)
  • qualcuno raccomanda di asciugarle accuratamente prima di coprirle con l’aceto
  • altri le tengono in acqua e sale per un mese e poi le mettono sotto aceto e così possono durare fino a 3 anni
  • in alternativa, qualcuno le sbollenta brevemente
  • anche la fase di macerazione varia da un minimo di un mese fino all’anno (forse eccessivo) del giovanotto che ho incontrato
  • la suddetta macerazione varia comunque anche in funzione della concentrazione dell’aceto che va dal 100% fino ad una miscela molto blanda di 7 parti d’acqua per una di aceto (12,5%)
Tutti concordano nel suggerire l’utilizzo di contenitori di vetro, con chiusura non metallica (l’aceto la potrebbe ossidare).
Già pronti per il consumo sono abbastanza cari e costano mediamente 15 Euro/kg.
Anche lungo le coste italiane c’era l’abitudine di utilizzare il finocchio marino, ma a quanto ho letto pare che lo si continui a usare quasi esclusivamente nelle Marche e soprattutto in Puglia.
Le foglie fresche possono essere aggiunte alle insalate o a sughi per la pasta, a mo’ di prezzemolo. C’è anche chi le frigge in pastella (dovrebbero avere un sapore simile ai carciofi).
Altre brevi notizie: il Crithmum maritimum ha proprietà depurative, digestive, diuretiche, stimolanti in quanto agisce sulle ghiandole endocrine e sulla tiroide; è ricco di iodio, oligoelementi, sali minerali, beta-carotene, proteine, aminoacidi e vitamina C e per quest’ultimo motivo fin dall’epoca dei romani fu utilizzato dai marinai come antiscorbutico.

NB - tutto quanto scritto deriva da quanto ho appreso mediante chiacchierate con menorquini (non erboristi, né medici, né botanici) e da notizie recuperate in rete. Se qualcuno volesse "sperimentare", prima di procedere sia ben sicuro di utilizzare la pianta giusta e si informi in merito alle proprietà effettive ed eventuali controindicazioni!

giovedì 28 aprile 2016

"JULIETA" (di Pedro Almodóvar, 2016)


Julieta (di Pedro Almodóvar, Spagna, 2016)
con Emma Suárez, Adriana Ugarte, Inma Cuesta, Dario Grandinetti, Michelle Jenner, Rossy de Palma
In concorso per la Palma d’oro al Festival di Cannes (11-22 maggio), uscirà in Italia il 26 maggio.

Questo ventesimo film di Almodóvar è un “melodramma drammatico” puro, senza compiacimenti, senza scene strappalacrime e senza alcuna concessione alla commedia. La sceneggiatura, messa insieme unendo e modernizzando 3 short stories di Alice Munro (Nobel per la letteratura 2013), è intricata al punto giusto. Fedele al peculiare stile della scrittrice canadese, la trama quasi si aggroviglia su sé stessa con frequenti flashback che permettono di seguire Julieta nell’arco di una trentina di anni, a partire quasi dalla fine.

Cast di tutto rispetto con uno stuolo di brave attrici, alcune delle quali danno il meglio di sé a cominciare dalle due Julieta, in effetti la stessa in epoche diverse, vale a dire Emma Suárez (attrice preferita del primo Medem: Vacas, La ardilla roja, Tierra) e Adriana Ugarte (più conosciuta come attrice televisiva). I ruoli maschili sono molto limitati, ma anche Dario Grandinetti (già con Almodóvar in Hable con ella) è assolutamente all’altezza delle sue colleghe e peccato che nella versione doppiata si perda il suo forte accento argentino. Non torno sull’argomento doppiaggio, affrontato di recente, ma se avete la pazienza di comparare il trailer italiano con quello originale (qui in basso, con sottotitoli in inglese) vi renderete conto che anche in questo caso il risultato non è dei migliori.
Julieta è una storia di incontri, di casualità, di cause ed effetti apparenti ma non certi, di abbandoni, allontanamenti e ritorni. Tutti i particolari hanno un senso e, come alcuni personaggi che appaiono in brevi scene, nella maggior parte dei casi rientrano in gioco o vengono citati successivamente in quanto essenziali per la completezza della narrazione.

Al termine della proiezione molti si troveranno a riflettere sull’evanescente limite fra amore e possessività, fra affetto ed egoismo - argomento sul quale praticamente si sviluppa tutta la storia - e per di più Almodóvar non si pronuncia chiaramente in merito a ciò e addirittura lascia agli spettatori libertà di scelta per immaginare il finale che preferiscono.

Perfino la canzone che fa da sottofondo ai titoli di coda (“Si no te vas”, nell’inconfondibile interpretazione di Chavela Vargas) non è stata scelta a caso considerato che le ultime parole sono "... si tu te vas, en ese mismo instante muero yo”. (se te ne vai, nello stesso istante io muoio).

Anche se una parte della critica si aspettava qualcosa di più dal manchego dopo 3 anni di assenza dopo lo scadente “Los amantes pasajeros “ (Gli amanti passeggeri, 2013), io mi schiero con quelli che, al contrario, lo pongono fra i suoi migliori film paragonandolo addirittura ad Hable con ella. Lo vedo come specchio della maturità raggiunta (tanto per usare una frase fatta) con la quasi maniacale cura dei dettagli, i tanti primi piani, la geniale transizione da una Julieta all’altra, la fotografia nitida e precisa, i colori ben definiti fra i quali spiccano i tanti rossi intenso che contrastano con tutto il resto cominciando con la scena d’apertura e proseguendo con  i vestiti, i sedili del treno, la torta di compleanno, il divano, l’auto, ... solo per citarne alcuni.
   
Per non apparire troppo di parte (e non lo sono assolutamente non essendo Almodóvar fra i miei registi preferiti, pur avendo visto 16 dei suoi film) voglio menzionare una “disattenzione” che ho notato, di quelle da inserire fra i goofs di IMDb: immediatamente dopo la frenata di emergenza del treno, a causa della quale cadono persone e bagagli, si vede la tazza sul tavolino della carrozza bar ferma dov’era. 


Altre 130 micro-recensioni in questa raccolta
 

martedì 26 aprile 2016

La "sobrasada” menorquina

Prodotto tipico delle Baleari in genere, DOP con il nome di Sobrasada de Mallorca, è un insaccato "morbido" che non si affetta ma si spalma o si usa per dar sapore ad altri piatti. Nonostante il nome faccia pensare alla soppressata, (DOP quella calabrese - foto a sx - con piccole varianti popolare anche in Campania, Sicilia, Lucania) è già chiaro a molti di coloro che sono interessati ai prodotti alimentari tradizionali, che somigli molto di più alla nduja calabrese (in basso a destra) spesso commercializzata con l'orrendo pseudonimo "salame spalmabile".
   
A sostegno di questo indubbio legame c'è è la quasi unanimemente riconosciuta origine italiana ed in particolare la paternità del prodotto viene attribuita ai siciliani che fecero conoscere il prodotto prima a Valencia e poi nelle Baleari oltre due millenni fa. All’epoca quasi tutto viaggiava via mare e gli scambi commerciali fra le isole e insediamenti costieri di tutto il Mediterraneo erano comuni nonché frequentissimi.
   
sobras(s)ada menorquina, a destra su rebanada e con aggiunta di miele
La sobrasada menorquina (di Menorca) differisce solo leggermente dalla mallorquina per essere di pasta più fina e meno piccante. Il caratteristico colore rosso viene fornito dal peperone (pimentón dulce = paprika) che ovviamente, essendo originario del centroamerica, fu aggiunto solo in secoli più recenti. Non esiste una forma classica dell’insaccato ma tante in quanto tradizionalmente come "contenitori" vengono utilizzate quasi tutte le parti delle interiora e da esse dipende l'aspetto della sobrasada.

Si va dalla sottile longaniza (nell’intestino tenue, il più sottile) fino alla bufeta (nella vescica, nella quale da noi si conservava una volta la nsogna - sugna, strutto) e alla bisbe (catalano per obispo = vescovo, la più grande, contenuta nello stomaco) passando per varie altre forme e dimensioni e utilizzando diverse parti dell'intestino.

Per fortuna sembra che qui le spesso insensate regole europee non abbiano condizionato la produzione delle Sobrasadas (Sobrassadas in catalano, con due “s”) e pertanto è più che mai uno dei prodotti tipici più “ esportati” dai turisti, insieme con il formaggio Mahon  (anch’esso DOP, nelle sue varie stagionature: tierno, semi-curado, curado añejo) e le avarcas, le caratteristiche semi-scarpe aperte di Menorca.

domenica 24 aprile 2016

Per quanto ci si sforzi di trovare qualcosa, la si trova solo per caso

Perfino il titolo di questo post mi è giunto per caso e con piacere l’ho utilizzato rimpiazzando il precedente e forse più banale Natura, foto e serendipity. Si tratta di una citazione dal film “Ba wang bie ji” (Addio mia concubina, di Kaige Chen, Cina, 1993) quindi tradotta dal mandarino, ma l’argomento del caso e dei suoi effetti sulle nostre vite in genere è stato ampiamente trattato e discusso da pensatori e filosofi già vari millenni fa.
Tutte le azioni umane hanno una o più di queste sette cause: caso, natura, costrizione, abitudine, ragione, passione e desiderio. (Aristotele , il "caso" citato per primo ... è solo un caso?)
L’aforisma cinese può suonare strano, ma riflettendo (e speculando) ha una sua logica se si danno i giusti valori alle parole. Se sappiamo dov'è una cosa, non la cerchiamo ...  l’andiamo semplicemente a prendere. Se abbiamo solo un’idea di dove possa essere cominceremo a cercare secondo una certa logica, a memoria (che spesso inganna), in ordine da un lato all’altro, ma solo per caso la troveremo subito o ... mai.

Natura, foto e serendipity

Questo era l’argomento e titolo originale nel quale avevo unito tre fattori che, ben combinati, possono fornire grandi soddisfazioni, a patto di avere almeno uno dei tre interessi e chiaramente l’assunto è applicabile ad altre triadi ed in altri campi restando intrinsecamente veritiero.
La natura è un mondo da esplorare anche per i più esperti, è in continuo cambiamento ed evoluzione e, fatte salve alcune leggi fondamentali, le anomalie, eccezioni, varianti e rarità sono all'ordine del giorno. 
La fotografia è un ottimo modo per fissare le immagini e quindi avere successivamente  la possibilità di identificare specie, osservare particolari, condividere le "scoperte". 
La serendipity (“Fortuna di fare felici scoperte per puro caso e, anche, il trovare una cosa non cercata e imprevista, mentre se ne stava cercando un’altra”, Anonimo) amplia le possibilità a dismisura a patto di essere attenti, flessibili e un po' avventurosi.
So di tornare su argomenti già trattati, ma penso che siano importanti per le persone attente e curiose, e rammentarli o semplicemente parlarne può giovare agli “esploratori-ricercatori-osservatori-fotografi”, specialmente a quelli meno esperti. Per le nostre osservazioni, indipendentemente da quanto sia acuta la nostra vista, fino l’udito e sensibile l’olfatto, saranno molto utili nozioni scientifiche, logica e serendipityLe prime aiutano certo a notare anomalie, differenze, particolarità, fioriture fuori stagione, misure inusuali e via discorrendo, ma per tutto ciò sono necessarie un po’ di letture (non per forza studio) e molta esperienza. La logica è un po’ più difficile da applicare e per ottenere buoni risultati è utile avere conoscenze varie più che approfondite. Infine la serendipity unisce e ottimizza nozioni e logica “guidandoci” (anche se siamo noi che dobbiamo seguire gli indizi) verso scoperte assolutamente inaspettate, riferendomi chiaramente alle “sorprese” anche se molte vere “scoperte” sono veramente conseguenza della serendipity.
   
Per la prima uscita menorquina di questo mio terzo soggiorno sull’isola avevo scelto una piccola area al limite di Mahon, solo attraversata in precedenza. Meno di un chilometro quadrato, assolutamente incolto, pieno di muretti a secco, antichi canali in rovina e tanta vegetazione spontanea. Sono partito alla ricerca di Ophrys (piccole orchidee, spesso difficili da notare nel mare verde) e dopo una mezz’ora senza trovarne alcuna ho visto un bel campo di Sulla (foto sopra a sx, le prime che vedevo). Ma nei pressi ho anche visto (e mangiato) qualche asparago selvatico e continuando la ricerca-raccolta lungo i muretti a secco ho trovato una simpatica e affascinante Locusta (foto di apertura). Avvistate delle piccole macchie gialle ho scavalcato un muretto e, oltre a fotografare i Centaurium maritimum (foto sopra a dx), mi sono trovato al margine di un campo di orchidee, non quelle che cercavo inizialmente, ma le Anacamptis pyramidalis, specie che qui a Menorca assume tutte le tonalità di colore comprese fra il rosa e il bianco (foto sotto).
   
Se avessi continuato a cercare solo le Ophrys camminando lungo le tracce più o meno battute e concentrando lo sguardo nel tentativo di avvistare le piantine poco appariscenti non avrei trovato le Sulla, né mangiato gli asparagi, né incontrato la Locusta che mi ha concesso di scattare macro ottime (a mio giudizio) che mi hanno permesso di studiarne tanti dettagli non apprezzabili ad occhio nudo, né approfittato del campo di Anacamptis, né fotografato tanti altri fiori ... che non cercavo. 
Questi continui cambi di direzione e piani hanno trasformato un’escursione che poteva essere deludente in una passeggiata molto soddisfacente.
Tante altre foto sono nella mia raccolta macro su Google+.

giovedì 21 aprile 2016

Anche questa è globalizzazione?

Island disaster era il titolo che campeggiava su un grande pannello esposto nella sezione ornitologica del National Zoo di Washington.
Si riferisce ai profondi cambiamenti intervenuti nel corso degli ultimi 60 anni nell’isola di Guam, nel Pacifico. Negli anni ’50 il Boiga irregularis (un serpente arboricolo) giunse sull’isola per caso, molto probabilmente con un carico via nave o aereo dall’Australia o dalla Nuova Guinea. Trovò un ambiente perfetto per le sue caratteristiche con abbondanti e facili prede e praticamente nessun predatore. 
Dopo mezzo secolo di permanenza su Guam questi serpenti hanno causato l’estinzione  di 9 delle 18 specie di uccelli presenti al momento del loro arrivo, e delle altre 6 sono già classificate rare e 3 poco comuni. 

A parte un minuscolo serpente delle dimensioni di un verme sull’isola non ce n’erano altri. Pare che  i Boiga si siano “trovati molto bene” ed è stato constatato che ora arrivano quasi a 3 metri di lunghezza contro la media di meno di 2 metri degli altri.
Guam è un importante hub aereo e si paventa il rischio che i serpenti possano viaggiare di nuovo e, nonostante i controlli e barriere elettrificate, alcuni “sono già riusciti a partire” ma sono stati bloccati ad Honolulu (Hawaii).

Questa è la storia in breve così come riportata sul pannello dello Smithsonian, ma c’erano anche parti interessanti (che qualche “scienziato” dovrebbe valutare) relative ai possibili metodi di contrasto.
Alla domanda “Si potrebbe introdurre un predatore?” la risposta è un chiaro “NO” e si riporta l’esempio delle manguste che per simile scopo furono portate nei Caraibi con il risultato che hanno ucciso molti più uccelli che serpenti e topi.
Viene anche scartata l’ipotesi delle trappole (con le quali effettivamente si potrebbero catturare i serpenti) in quanto l’isola è troppo grande per eseguire un intervento a tappeto e a causa dei tempi lunghi si migliorerebbero soltanto le condizioni di quelli che sopravvivono, avendo minore concorrenza.
Pare si stia ipotizzando una “guerra biologica” e si sta cercando un virus o altro agente infettivo ma ci vorrà tempo prima che si possa essere certi che non risulti poi dannoso per altre specie (inclusi gli umani). Alcuni studi stanno esplorando la possibilità di intervenire sulla riproduzione ma devono ancora capire come, dove e quando si accoppiano e riproducono, o attirarli con feromoni o altre soluzioni ma nessuna sembra essere attuabile in tempi brevi.
Ovviamente, tutto ciò non è colpa dei serpenti che sono stati trasportati a Guam dove semplicemente hanno continuato a vivere come avevano sempre fatto in precedenza. Dalle mie esperienze di viaggiatore posso dire che soprattutto per le isole, che in quanto tali hanno  spesso flora e fauna particolare, il problema è molto sentito e negli aeroporti ci sono severi controlli. Ricordo che in Nuova Zelanda, dove arrivano molti escursionisti da tutto il mondo, venivano controllate anche e soprattutto le suole delle scarpe o scarponi da trekking che avrebbero potuto “importare” semi o batteri intrappolati in un po’ di fango secco.
  
Ho trovato anche interessante questo articolo apparso ieri su Repubblica in merito all’invasione delle specie “aliene”, fra le quali ci sono anche gli scoiattoli grigi americani che mettono a rischio la sopravvivenza di quelli rossi europei. In passato sono state disastrose le importazioni di capre e di conigli in Nuova Zelanda, per non parlare delle invasioni umane come quella degli europei in centroamerica dove hanno causato più morti con malattie come vaiolo e morbillo che con armi vere e proprie.

Nel mio piccolo, anche io avevo accennato alle possibili conseguenze dell'importazione di specie alloctone (sia piante che animali) nel recente post Animali e umani: dilemmi e controsensi.

lunedì 18 aprile 2016

Sensazionale scoperta botanica? poco probabile ...

... eppure notare qualcosa di inusuale in specie normalmente presenti in un determinato ambiente è sempre evento che causa una certa soddisfazione.
Ciò non solo per la “scoperta” in sé e per sé, ma anche per la successiva indagine per determinare quale sia la causa dell’anomalia se di questo si tratta o quale sia la specie diversa da quella solita, da quella che uno si aspetta. Tutto questo ovviamente vale per le persone che abbiano un certo “occhio” e abbiano nozioni basilari di botanica e sappiano distinguere un fiore dall’altro anche se non ne conoscono il nome, insomma basta avere un po’ di spirito di osservazione.
Veniamo ora ai fatti nei quali entra anche, come quasi sempre accade la serendipity. Procedendo velocemente lungo un sentiero a me ben noto, con il preciso scopo di andare a scattare alcune foto panoramiche, sulla via del ritorno l’occhio mi è caduto su una orobanche di una conformazione estremamente particolare e chiaramente mi sono fermato a scattare qualche foto. In quella a sinistra vedete una “normale“ Orobanche e a destra quella strana, con la cima piatta e con un numero incredibile di fiori ammassati, invece dei pochi disposti piramidalmente (descrizione assolutamente senza alcuna pretesa scientifica, ma semplicemente divulgativa, attinente alla realtà osservata).
   
Allertati vari amici botanici, le prime risposte hanno confermato l’originalità dell’infiorescenza ma, essendo seri professionisti, nessuno si è pronunciato a titolo definitivo basandosi solo sulle foto inviate e per ora si sono limitati a suggerirmi varie ipotesi. Dovrebbe trattarsi di una O. lavandulacea , nome italiano Succiamele della psoralea (P. bituminosa). 
Per cercare di venire a capo della situazione, a distanza di 3 giorni sono tornato sul luogo e ovviamente non ho trovato la stessa Orobanche ma ne ho trovate numerose altre non esattamente uguali alla prima, ma comunque diverse dalla loro struttura normale così come descritta nei testi di botanica. 
Di conseguenza, dopo una attenta osservazione di numerose Orobanche, mi sono convinto di aver trovato non solo una O. lavandulacea con infiorescenza particolare, ma anche altre di colore e dimensioni simili però con portamento diverso, probabilmente un'altra varietà. 
Mi hanno colpito vari esemplari stranamente ramificati, in particolare alcuni anomali in quanto assolutamente asimmetrici.
Continuerò ad indagare, a sottoporre quesiti ai miei amici botanici e ad avere una ennesima scusa per andare in giro, anche lungo gli stessi sentieri, al fine di venire a capo di questi "misteri". 
E molto probabilmente, anche concentrandomi sull'osservazione delle Orobanchaceae, mi capiterà di trovare qualche altro elementi che susciti curiosità e dia inizio ad una nuova indagine ... serendipity.

Precisazione per i più curiosi: 
“L’orobanche è una fanerogama annuale parassita obbligata in quanto priva di clorofilla, il cui ciclo vitale dipende totalmente dal suo ospite. Non potendo svolgere la fotosintesi clorofilliana e mancando di un vero e proprio apparato radicale deve assumere necessariamente sostanze elaborate e acqua dalla pianta ospite che parassitizza.” (V. Testi)

sabato 16 aprile 2016

Tortillas ... quelle messicane, di mais

Tutt'oggi le tortillas sono di fondamentale importanza nella dieta dei messicani, basti pensare che nonostante un calo del 25% del consumo nazionale, la media è di circa 90kg pro capite per anno.
Quelle classiche messicane, relativamente sottili e di 14-15 cm di diametro, possono venir utilizzate come accompagnamento di un qualunque pasto o singolo piatto o sopa e portate in tavola calde in apposito contenitore o in un semplice cestino avvolte in un panno, oppure trasformate in tacos, totopos, tostadas, enchiladas, enfrijoladas, entomatadas, sopa de tortilla, quesadillas, chalupas, flautas, burritos, tacos dorados, sincronizadas, tostadas, chilaquiles e altre varietà regionali.
In America Centrale se ne trovano di più spesse (fin quasi 1cm di altezza) e di più grandi, fin’oltre 20 cm di diametro. Restando in Messico, e nel campo della statistica, ho appurato che da un kg di impasto si ricavano fra 45 e 55 tortillas, i più precisi sostengono che siano 48, per un peso di 21g ciascuna. La produzione giornaliera di questa piccola tortilleria di Bacalar (Quintana Roo, Mexico), con il macchinario (di almeno una cinquantina di anni fa) che vedete nelle foto è di circa due quintali al giorno, vale a dire approssimativamente 10.000 tortillas, a stessa quantità che le macchine moderne sono in grado di produrre (cottura inclusa) in un’ora.
Si prepara un impasto di varie decine di kg e lo si inserisce nell'invaso sotto forma di una grande palla molto consistente. La macchina la stende (la aplasta) e sul nastro vengono tagliati i dischi che passano subito nella parte coperta dove cuociono velocemente per poi cadere sull'altro nastro diritto che le porta fino a chi le impilerà. Vengono vendute a peso al prezzo medio 16 MXN/kg (0,80 euro).
   
Le tortillas, essendo parte della cultura mesoamericana, ancor prima dell’arrivo degli europei, entrano anche in vari modi di dire come "¡Quedó como tortilla!" che significa che qualcuno o qualcosa è stato schiacciato e appiattito (realmente o in senso figurato).
Ma quello più interessante, che mi ha portato a alla scoperta di qualcosa che sembra conoscano appena un 30% dei messicani stessi, è legato alla superstizione che vuole che chi prepara un taco “sul lato sbagliato della tortilla” sia cornuto.
A seconda del tipo di cottura e del numero di volte che viene girata, se viene girata, ogni tortilla avrà due lati, o facce (caras), diverse: una più dura e cotta e l’altra più morbida e "assorbente”, con delle bollicine e un sottile strato, come una pellicina, talvolta separato dal resto da una piccola sacca d’aria. Questa seconda parte, detta anche “panza” (pancia), è quella sulla quale andrebbero poggiati i vari altri elementi, ingredienti e accompagnamenti, mentre l’altra è ovviamente quella che si dovrebbe maneggiare.

mercoledì 13 aprile 2016

Doppiaggio o sottotitoli? Sottotitoli for ever!

Penso che siano ben pochi, se esistono, i cinefili o semplici appassionati di cine che sostengano il contrario. Anche se in Italia ci fossero i migliori doppiatori del mondo, come molti sostengono, la versione originale è tutt’altra cosa, perfino in un idioma del quale non si conosce una singola parola. Il tono e il livello della voce, la compenetrazione dell’attore nel ruolo sulla scena non può essere riprodotto in studio da un doppiatore, per quanto bravo sia.
Pur riconoscendo che i sottotitoli in parte distolgono l’attenzione dello spettatore dalle immagini, in particolare per i film molto parlati o con serie di battute molto rapide, in molte pellicole di qualità si perdono le performance vocali di attori di gran livello, inequivocabilmente e giustamente migliori dei propri doppiatori anche se non per demerito di questi ultimi.
Proprio ieri ho visto Infamous  (di Douglas McGrath, USA, 2006) con Toby Jones, Daniel Craig, Sandra Bullock, Peter Bogdanovich, Sigourney Weaver, film del quale propongo due trailer. Ecco il primo, in versione originale:
L’interpretazione di Toby Jones è superlativa e assolutamente particolare (come il personaggio interpretato, lo scrittore Truman Capote) e non penso sia possibile doppiarlo. Se avete un minimo di tempo e pazienza, e ovviamente interesse, comparate l'originale con alcune scene identiche doppiate in italiano (voce di Claudio Insegno) e giudicate voi ...
Per mio gusto, anche nei casi in cui ho a disposizione sia versione doppiata che sottotitolata, scelgo la seconda, perfino quando non conosco la lingua originale. Per esempio in un qualunque film di Kurosawa (specialmente in quelli ambientati nel Giappone medioevale) penso sia fondamentale ascoltare la caratteristica cadenza e le tonalità del giapponese, veloce, con frasi che spesso sembrano tronche, e non il ben più dolce italiano.

Passando ad altro esempio di diverso genere, qualche giorno fa ho visto “Urga”, film del 1991 di Nikita Mikhalkov di produzione franco-russa, doppiato (abbastanza male) in spagnolo. Ma c’era un problema ben più significativo: nella versione originale si parlavano ben tre diversi idiomi (russo, mongolo e cinese) e ciò creava delle incomprensioni che spariscono nella versione monolingua. Spesso i protagonisti (in particolare il camionista russo) ripeteva le stesse parole chiedendo al suo interlocutore se avesse capito (cosa logica nell’originale), ma nella versione doppiata parlano tutti un perfetto castigliano e quindi ciò non ha assolutamente senso e si perde molto dell’amichevole “conflitto culturale”.
Similmente si perde molto in casi di personaggi particolari e quando ci sono significative differenze di cadenze o accenti che hanno un chiaro peso nell’originale (anche per questioni culturali) e che sono quasi impossibili da riportare in altra lingua.

Ciò è valido anche in verso opposto: pensate ad un qualunque film italiano nel quale ci sono persone che parlano in dialetto e in italiano corretto, o con cadenze che lasciano chiaramente trasparire la loro provenienza regionale che ha una certa importanza nella trama. 
In altra lingua si perdono tutte le sfumature e ciò che si è fatto talvolta dall’inglese all’italiano doppiando parlate degli stati del sud degli USA con dialetti dell’Italia meridionale è del tutto ridicolo e privo di senso.
Infine, un altro problema ricorrente, in particolare per pellicole d’epoca, è quello della traccia unica e della presa diretta. In questi casi i rumori di fondo e voci degli attori erano appunto in una sola traccia audio e difficilmente separabili successivamente. Di conseguenza, in parecchi film di qualche decennio fa eseguendo il doppiaggio si perdevano i rumori di sottofondo e di ambiente.
Non da ultimo, ricordo a tutti che guardare film in versione originale e sottotitolati è un ottimo metodo per migliorare la propria pronuncia se si conosce la lingua e impararla se la si conosce poco e in ogni caso ampliare il proprio vocabolario. 
Chi è veramente interessato ad apprendere lingue straniere può anche guardare il film con audio originale e sottotitoli nello stesso idioma (che molte volte includono modi di dire diversi e non esattamente le stesse parole), scegliere i sottotitoli per non udenti (si imparano tanti verbi e aggettivi) e infine coloro che sono abbastanza bravi hanno la possibilità di fare un esercizio non facile ma estremamente proficuo per l'elasticità mentale: guardare il film con audio originale e sottotitoli in idioma diverso (non italiano).

lunedì 11 aprile 2016

Animali e umani: dilemmi e controsensi

Premessa
A seguire non propongo soluzioni, ma solo interrogativi e spero che sia chiaro, di volta in volta, il senso nel quale uso i termini “animali” (che può essere un dispregiativo per gli umani, ma assolutamente non offensivo per gli animali stessi) e “animalisti” che possono essere veri o falsi.
  • perché la maggior parte di quelli che vedono un riccio e un serpente casualmente schiacciati per strada si dispiacciono per il riccio, ma non per il serpente?
  • quanti sono quelli che “detengono” animali in spazi limitati, senza che abbiano contatti con esemplari della loro razza, in un ambiente che, per quanto curato, non è certo il loro e nutrendoli in modo errato?
  • può essere una giustificazione il fatto che siano nati in cattività e quindi non hanno mai conosciuto il loro vero ambiente?
  • i veri amanti dei cani perché fanno poco o niente per vietarne il commercio (spesso di esemplari di importazione illegale) fin quando non saranno stati adottati tutti quelli nei canili e i randagi?
  • “ammessa” la caccia legale, perché consentire quella alle quaglie (p.e.) e vietare quella ai piccioni, molto più dannosi (ammesso che la quaglie lo siano) ed egualmente commestibili e oltretutto più grandi?
  • che senso ha criticare gli zoo per avere animali in gabbia e consentire il commercio di canarini e pappagallini che finiscono in piccole gabbie o iguana e tartarughe in piccoli terrari?
  • perché invece non promuoverli come centri di recupero, studi e ricerche, ospitando e curando animali feriti, detenuti illegalmente e altri nati in cattività che non sarebbero in grado di sopravvivere in ambiente naturale?
  • perché generalmente la pesca è tollerata mentre la caccia ha molti più oppositori?
  • perché sono in tanti quelli che non mangiano carne, però continuano a mangiare pesce?
  • eventualmente, non sarebbe più logico fare una distinzione in base alla provenienza, vale a dire allevamento o ambiente naturale?
  • che senso ha re-introdurre specie o addirittura introdurne di alloctone che stravolgo l'equilibrio precedente e, una volta fuori controllo, non fare niente per riparare ai danni causati? 
  • non sarebbe meglio se questo tipo di geni, presenti in tutto il mondo (conigli in Nuova Zelanda, maiali selvatici alle Hawaii, cinghiali in Italia), pensassero di meno e, tranne casi particolari, lasciassero l'evoluzione alla natura?
  • perché tanti provano repulsione per anfibi e rettili che in Italia, tranne la vipera che comunque non è letale, sono assolutamente innocui?
  • è un retaggio del “serpente” del peccato originale, lo stesso al quale la Madonna schiaccia la testa, simbolo del male? e non dimentichiamo il drago ucciso da San Giorgio ...
Esperienza personale: anni fa mi capitò di guidare un gruppo di lombardi e fra loro c’era un sedicente animalista (ripeteva in continuazione “Perché io sono animalista”) che raccontava di aver comprato un furetto e di tenerlo su terrazzo insieme ad un pastore tedesco che “lo odiava”. Già il tenendo un pastore tedesco (presumibilmente almeno di taglia media) su un terrazzo cittadino non è il più bel regalo da fare al cane, ma se invece di “regalargli” una compagnia della stessa razza gli si impone un co-inquilino che odia e che probabilmente sarà egualmente insoddisfatto della situazione, come si può parlare di animalismo?
E per rimanere ai furetti, sapete che spesso vengono nutriti con animali vivi così come varie altre specie? Vi sembra logico per un “animalista” nutrire un animale “da compagnia” con altri animali vivi allevati all’uopo?

venerdì 8 aprile 2016

I tralicci di Jeranto ... aggiornamenti


post escursionistico di interesse locale, notizia importante in fondo 

Tanto tuonò che piovve ...

Fino ad un anno fa al lato di via Ieranto c’erano due grossi tralicci ancora in piedi seppur in disuso da anni, arrugginiti, inutili e certamente antiestetici (prima foto in basso) finché, a seguito di contatti con l’ENEL furono tagliati alla base e poi lasciati al suolo al lato del sentiero. (seconda e terza foto)

L’abbattimento fu eseguito da una ditta specializzata in tale tipo di lavori appaltata da detto ente anche se lo stesso non era effettivo proprietario dei tralicci che erano stati dismessi prima dell’acquisizione della rete da parte dell’ENEL.

Come nel caso dei tralicci di via Campanella, la rimozione e lo smaltimento fu affidata a ditta autorizzata al recupero e riciclo di materiali ferrosi, che fu coadiuvata da volontari delle associazioni che operano sul territorio.
   
Dopo lunga attesa causata da una serie di impedimenti, finalmente il traliccio 3 è stato completamente sezionato ed in gran parte inviato al riciclo. (in basso le foto di com'era fino ad una settimana fa e di ciò che resta)
   
A breve, tempo permettendo, saranno rimossi i suddetti ultimi piccoli pezzi e quindi si procederà ad effettuare medesima operazione sul traliccio 1 che vedete nelle due foto sottostanti, ripreso da angolazioni diverse.
   
Degli altri tre tralicci, da anni giacenti fra i cespugli, uno è stato già smaltito, mentre quello sul sentiero per le grotte dei Crapari (5) e quello a valle del sentiero sono ancora lì. Quest’ultimo (2) si trova in posizione particolare, in un luogo dal quale è difficile rimuoverlo, anche se non impossibile. Per ora, almeno, si è provveduto (si sta provvedendo) ad eliminare quelli che erano più invasivi. 

Giro di Santa Croce e dintorni ...

Mi erano già stati segnalati un albero caduto sul sentiero del crinale, immediatamente a valle dell'intersezione del Vuallariello con il CAI 300, e un ramo di pino che pende su una delle rampe dell'antica mulattiera. (foto in basso. Entrambe gli ostacoli sono facilmente aggirabili/superabili e quindi non creano nessuna difficoltà effettiva, neanche ai meno agili. 
Comunque, a breve anche questi minimi problemi saranno risolti.
    

Infine, per "battere" il sentiero (è primavera e la vegetazione avanza), domenica 10 aprile andremo a percorrere l'intero Giro di Santa Croce partendo dalla piazza di Termini alle 18.00.

giovedì 7 aprile 2016

Ritorno alla routine peninsulare: foto ed escursioni

Come anticipato, ho approfittato della prima occasione per ricominciare a battere i sentieri della Penisola Sorrentina, ed in particolare quelli attorno a Monte San Costanzo, lasciando a casa la compatta tascabile utilizzata in viaggio e riprendendo l’obiettivo macro.
Prima destinazione è stata la zona a sud di Cancello, nelle immediate vicinanze della rinnovata via Campanella, che non visitavo da prima dell'inizio dei lavori e conseguente chiusura, e che ho trovato coperta come al solito da vegetazione rigogliosa. 
   
Inoltre, tutte le stazioni di orchidee di mia conoscenza hanno prodotto o stanno producendo i loro fiori, nella norma in quanto a quantità e distribuzione. Nel corso del mio breve sopralluogo ho notato e in parte fotografato varie specie di Ophrys (in fiore e sfiorite), Serapias che, come al solito, sono assolutamente predominanti per quantità e poche Orchis italica (mai state numerose in quell’area, ancorché diffusissime nell’intera penisola).
In questo album Google+: Non solo orchidee (macro) ne propongo solo una minima sia parte per non essere eccessivamente ripetitivo, sia in quanto in molti casi è difficile scattare macro non avendo come e dove piazzare il cavalletto. Per esempio, in cima ad una roccia ho visto una bella e "imponente" Orchis italica di notevoli dimensioni (parliamo comunque di pochi centimetri) che avrei voluto fotografare ma, nonostante vari tentativi, non sono riuscito ad arrivare a “tiro di obiettivo”. 
   
Fra le 20 foto macro ne troverete anche alcune di altre specie come Oxalis, Gladiolus, Linum, Lupinus, Muscari (ora Leopoldia). La buona notizia è quindi per quelli che si sono lasciati suggestionare dalle allarmistiche previsioni di varie associazioni e dei loro super esperti botanici che paventavano desertificazioni, distruzioni ed estinzioni di specie a seguito dei lavori.
Dal canto mio non ho mai creduto che tali opere, limitate ad una striscia di un paio di metri e non particolarmente invasive (seppur esteticamente non proprio di mio gradimento), potessero influire in modo tanto negativo in un’area a monte di esse. Ipoteticamente ciò potrebbe essere vero solo a valle a causa di un eventuale diverso percorso delle acque pluviali. Chiaramente parlo per ciò che ho visto finora, vale a dire la parte alta del progetto (già completata) ma certamente, quando possibile, andrò a continuare la mia perlustrazione fino alla Punta della Campanella e ritornerò quindi sull'argomento. 

Almeno per i prossimi due mesi, gli amanti di foto e fiori potranno recarsi anche ogni settimana negli stessi luoghi trovando ogni volta nuovi fiori e quindi nuovi colori e nuovi profumi. 
A tutti consiglio di non perdete l'occasione di approfittare di questi mesi primaverili che, senza togliere niente agli altri, sono certamente i più affascinanti per i camminatori con interessi naturalistici, in particolare botanici.