lunedì 4 aprile 2016

New York 30 anni dopo

Come succede in qualunque parte del mondo i cambiamenti, anche sostanziali, sono all’ordine del giorno. Per turisti e viaggiatori (come lo sono io) ci sono tanti indubbi vantaggi, ma il rovescio della medaglia è spesso la perdita dell’identità di alcuni luoghi. In particolare nelle grandi città (e quindi a New York, già famosa per essere un melting pot) l’arrivo di tanti nuovi “immigrati” sta creando tanti altri ambienti che si vanno a sovrapporre alle comunità storiche che avevano un proprio “quartiere” come Little Italy, Chinatown o le aree del Bronx, Queens e Brooklyn
   
Nel corso di questa mia seconda visita a New York, dopo quella nel novembre 1985, ho sentito parlare tantissimo spagnolo latino, molto più di allora, pure fra il personale dei nei musei, dei trasporti, degli agenti della sicurezza e delle forze dell’ordine, ma anche altri idiomi inclusi russo e arabo
Little Italy è quasi scomparsa, un po’ fagocitata dalla confinante Chinatown (vedi insegne con caratteri cinesi al lato di "Welcome to Little Italy") un po’ per il cambiamento che investe tutta ManhattanVari dei pochi locali storici rimasti sono gestiti da stranieri e proprio sulla strada principale Mulberry st. ho dovuto ascoltare gli insistenti inviti di un cameriere russo che mi voleva convincere che entrando in quel ristorante (evidentemente italo-russo visto che il primo piatto della lista era "ravioli vodka") avrei provato la migliore pizza del mondo.  
Aspettando le mie amiche Nicole e Jenn per andare a provare (finalmente) il classico piatto italo-americano spaghetti with meatballs in uno storico ristorante di Brooklyn (è lì dal 1900) mi sono messo a chiacchierare con Giovanni e con Mario, gestore della macelleria Mario & son, il cui padre era originario di Fontanarosa (AV). Lui è nato a Brooklyn, parla poco italiano e mi ha confermato che ormai la vecchia comunità italiana si è quasi del tutto disgregata. Tornando alla pasta, come spesso accade, il sugo era sulla pasta che di conseguenza era scondita, ma almeno sono riuscito a mangiarla più che al dente avendone avanzato specifica e chiara richiesta al cameriere. Buoni gli spaghetti, ma niente di memorabile, molto migliori le penne rigate con broccoli e tanto aglio e peperoncino, seppur spacciate per rigatoni.

Per strada si sentono parlare le lingue più disparate e non solo nelle affollatissime aree turistiche ma anche fuori del centro. Se da un lato si può facilmente trovare di tutto, e non solo nel campo della ristorazione nel quale si moltiplicano i piccoli locali che propongono cucina etnica, mi è sembrato che cogliere lo spirito e l’essenza della Grande Mela stia diventando sempre più difficile.
Turisti e nuovi immigrati sembrano essere la maggioranza, almeno nei luoghi pubblici, in particolare durante la settimana. In ogni caso New York resta una destinazione obbligatoria per i viaggiatori (almeno una volta nella vita), eppure la maggior parte dei visitatori riusciranno a conoscere solo la sua parte turistica. 
Rispetto al caos,  al traffico e alla frenesia di Manhattan la stessa Washington (dove ho passato i 5 giorni precedenti) ha un aspetto molto più “americano” nel senso del comune immaginario collettivo, con un ambiente molto più piacevole e rilassato nonostante la presenza, per ovvi motivi, di tanti agenti di sicurezza.
In conclusione entrambe le grandi città della costa est meritano una visita e chi è interessato alla cultura e musei deve prevedere parecchi giorni di soggiorno. 
Pronto al rientro, da domani ricomincerò a camminare su sentieri, a caccia di altri tipi di foto e di novità.

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