giovedì 28 aprile 2022

Microrecensioni 116-120: il cinema di Johnnie To (HK)

Con oltre una cinquantina di film diretti e ancor più prodotti, Johnnie To è da decenni rispettato e apprezzato non solo nella natia Hong Kong ma anche in tutto l’Oriente, avendo oltretutto avuto successo in vari generi. Cominciò con la TV, nel 1980 passò al cinema con film wuxia e commedie, verso la fine del secolo fondò con Wai Ka-Fai la Milkyway Image con un nuovo stile di noir e crime, nei primi anni del 2000 tornò alle commedie per poi arrivare ad un successo mondiale partecipando a grandi Festival internazionali come Cannes, Venezia e Berlino. I suoi film che hanno avuto maggior diffusione in occidente sono comunque quelli del genere noir/crime e fra questi ci sono Breaking News, Election e Triad Election (visioni previste nella prossima cinquina). Completa la cinquina una commedia grottesca diretta e interpretata da Robert Carlyle (Begbie in Trainspotting). 

 

PTU
(Johnnie To, 2003, HK) 

Storia concentrata in poche ore notturne, alla ricerca della pistola di ordinanza persa da un ispettore di polizia. I membri della squadra speciale PTU (Police Tactical Unit) si danno un termine per cercare di recuperare l’arma e far passare l’incidente sotto silenzio, levando cosi dai guai il collega. Ben girato, con una ottima fotografia notturna delle strade, palazzi e vicoli semi-illuminati, con il gruppo di agenti che si muove lentamente in assoluto silenzio. Nel poco tempo della ricerca c’è comunque spazio per vari eventi, incontri inaspettati, twist, elementi di disturbo e sorprese (fino all’ultima scena). La pecca mi è sembrata quella dello scontro a fuoco conclusivo, molto ben costruito in stile shootout da western, ma in effetti mal realizzato.

The Mission (Johnnie To, 1999, HK)

Similmente a PTU, Johnnie To costruisce lentamente la storia, presentando i protagonisti e mostrando le loro relazioni e rivalità, per poi arrivare al sorprendente confronto finale. Anche se è molto apprezzato da Quentin Tarantino, sappiate che è ben lontano dalla violenza fine a sé stessa e certamente non ha niente di splatter. Gli spettatori, specialmente quelli occidentali, si rendono ben presto conto conto che, seppur con molte somiglianze, i poteri sono diversi così come, il rispetto per i capi e le punizioni inflitte a chi non rispetta le regole. I metodi dei cinque guardaspalle del boss e il loro confronto finale sono senz'altro ben messi in scena.

  

My Left Eye Sees Ghosts
 (Johnnie To, 2002, HK)

Si tratta di una delle commedie più note di To, con una trama che riesce ad essere originale e piena di sorprese, pur sfruttando il tema del fantasma/angelo custode, visto e rivisto in innumerevoli commedie classiche americane ed europee del secolo scorso. Simpatica l’ambientazione nella vita della ricchissima classe dirigenziale (di un’azienda diretta da solo donne, tutte parenti o quasi) nella quale piomba la giovanissima vedova, dichiaratamente interessata esclusivamente al denaro. Singolari anche le caratterizzazioni dei vari fantasmi che interagiscono con i viventi, nonché quelle degli esorcisti e esperti dell’aldilà. Descritto così può sembrare uno stupido guazzabuglio, ma in effetti è molto ben congegnato e, pur non essendo certo un capolavoro, si può tranquillamente definire una buona commedia romantica fantasy.

Throw Down (Johnnie To, 2004, HK)

Questo film, proposto su MUBI, mi ha fatto scoprire Johnnie To del quale, sinceramente, non avevo mai sentito parlare (questo è il bello del cinema, non si finisce mai di scoprire …). Si tratta di un dichiarato omaggio ad Akira Kurosawa ed in particolare al suo film di esordio Sanshiro Sugata (1943) che aveva temi simili e, a differenza di tanti altri film del regista giapponese pieni di combattimenti con varie arti marziali, qui si pratica solo judo. Inoltre il simpatico e socievole figlio ritardato di un boss si presenta sempre agli altri dicendo “Io sarò Sanshiro Sugata e tu Higaki”, i due protagonisti del film di Kurosawa. Un po’ noir, un po’ commedia, scorre con molti combattimenti, ma tutti di brevissima durata. Nel complesso si evidenzia il grande rispetto per quell’arte e il costante rispetto delle regole. Buono, ma non fra i migliori, con un passo lento ci fa conoscere un certo ambiente notturno, popolato da piccoli malviventi agli ordini di improbabili boss, avventori occasionali, bevitori e giocatori d’azzardo. Stranamente, le strade nelle quali si svolge parte dell’azione, sono quasi sempre semideserte e silenziose, illuminate ma non troppo, e, complice un originale commento musicale, forniscono una suggestiva atmosfera di Hong Kong. La premiere mondiale coincise con la proiezione fuori concorso a Venezia nel 2004.

Barney Thomson (Robert Carlyle, 2015, UK)

Prima e unica regia di Robert Carlyle che, certamente, sarà ricordato più come attore essendo stato protagonista di film che hanno fatto storia come Trainspotting (1996) e The Full Monty (1997). Si fa notare Emma Thompson (molto invecchiata grazie al trucco) nei panni della stravagante madre del protagonista interpretato dallo stesso regista. I personaggi sono ben caratterizzati in modo molto ironico, ma la storia è proposta in troppo esagerata, anche se in essa sono ben inseriti alcuni originali twist. Nel complesso risulta appena sufficiente, può andare bene per una visione a tempo perso …

martedì 26 aprile 2022

Progetto Tolomeo: forse se ne intravede la conclusione …


Nei primi giorni di aprile, finalmente, mi giunse voce dell’approvazione del TOLOMEO 2021, rete di itinerari pedonali, aggiornamento del progetto originale del 1990/91, già rivisto sostanzialmente nel 2002/03. Non avendo ancora letto il contenuto della delibera, ero quindi ansioso di sapere quali fossero state le decisioni in merito ai quesiti inseriti nello stesso, già sollecitate più volte nei mesi scorsi. 
Dopo una decina di giorni la D.G. 42 fu pubblicata sull’Albo Pretorio ma, con molta delusione, mi resi conto che dei problemi di transitabilità non c’era menzione alcuna. Pertanto, il 16 aprile u.s. mi preoccupai di chiarire per l’ennesima volta quanto fossero indispensabili indicazioni precise in merito alle soluzioni delle problematiche rappresentate.

Dopo aver citato le numerose note di sollecito protocollate e rimaste lettera morta, ribadii i motivi pratici e oggettivi che ancora impediscono la segnatura completa degli itinerari e richiamai le strade interessate da dissesti e/o ostruzioni che (al momento) sono le seguenti, evidenziate nella mappa in alto:

  • itin. 37 - via S. Aniello vecchio
  • itin. 38 - via Fontana di Nerano
  • itin. 45 – via Calella
  • itinn. 47 e 57 - comunale Termini – S. Maria della Neve
  • itin. 57 - vic. Pozzillo
  • itin. 77a – via Mitigliano

Infine, diedi la mia disponibilità “per un incontro e/o sopralluoghi necessari” nel caso alcuni dei destinatari della nota non conoscessero lo stato attuale di detti luoghi e per tal motivo non fossero in grado prendere le debite decisioni.

Ho ritenuto opportuno pubblicare queste precisazioni per rendere edotti i tanti gestori di strutture ricettive, guide, operatori turistici e semplici escursionisti che nel corso degli ultimi mesi mi hanno frequentemente chiesto dei progressi in merito alla realizzazione del TOLOMEO 2021 anche per la parte lubrense (gli itinerari extraurbani sorrentini furono completati oltre un anno fa). 

Essendo ottimista di natura - ora che, dopo 10 mesi, è stato superato lo scoglio dell’approvazione formale del TOLOMEO 2021 - spero si proceda celermente con l'incontro con politici e tecnici (impegno anticipatomi verbalmente) per prendere le indispensabili decisioni e mettere la parola fine a questa lunga storia, iniziata nel lontano dicembre 2020, quasi un anno e mezzo fa!

domenica 24 aprile 2022

Microrecensioni 111-115: mix di film semisconosciuti, solo 3 più che buoni

Sembra strano che i tre che hanno il 100% di recensioni positive, non sono quelli che mi siano piaciuti. Secondo me l’argentino è sotto ogni aspetto di gran lunga inferiore al coreano che ha solo 83% … meglio non parlare del quinto, guardato solo per curiosità cinefila.

The Net (Geumul) (Kim Ki-Duk, 2016, Kor) tit. it. Il prigioniero coreano

Interessante dramma incentrato su una situazione kafkiana eppure assolutamente credibile e basato su una logica a dir poco perversa. Storicamente i sospetti o accuse infondate e i modi per “appurare la verità” hanno solo portato a violenze fisiche e psicologiche e finanche a torture … ma tali metodi non garantiscono certo la veridicità dei risultati, così come le confessioni forzate. Sullo sfondo degli arcinoti e ancora attuali attriti fra le due Coree si seguono le vicende di uno sfortunato pescatore che con la sua barchetta, a seguito di un problema al motore, viene trascinato dalla corrente oltreconfine. Passando dal nord al sud viene immediatamente sospettato di diserzione dai primi e di spionaggio mascherato con finta diserzione dagli altri. Pur tentando di convincere i servizi del sud della sua buona fede e della volontà di ritornare con la sua famiglia, il pescatore si rende conto che nel caso ci riuscisse dovrà subire simili interrogatori dall’altro lato del confine … comunque vada le prospettive non sono allettanti. Ben realizzato ed interpretato, affrontato più dal punto di vista psicologico che della inevitabile violenza, mostrata senza esagerazioni, merita la visione.

  

  • A Bread Factory: Part One (Patrick Wang, 2018, USA)
  • A Bread Factory: Part Two (Patrick Wang, 2018, USA)

Corposo film diviso in due parti di circa 2 ore ciascuna, di struttura doppiamente teatrale nel senso che oltre alla rappresentazione complessiva con tante inquadrature fisse, all’interno della trama sono inglobate prove e messa in scena della tragedia greca Ecuba, di Euripide, e in questo ricorda il recente vincitore di Oscar Drive My Car (di Hamaguchi) nel quale si preparava Zio Vania di Cechov. Ottimo cast e interessante sceneggiatura che segue parallelamente due argomenti: la gestione del centro culturale (prevalente in Part One) e la produzione teatrale (prevalente in Part Two). Per il primo tema si assiste allo scontro fra la cultura classica (con fondamentali artistici) e l’astratto teatro moderno con proposte spesso prive di contenuti ma con pretese artistiche e con grande interesse al lato economico. Molto interessanti i rapporti sociali e familiari non solo nell’ottica delle votazioni per l’affidamento della gestione del centro culturale, ma anche nella gestione del giornale locale e nella composizione del cast amatoriale per la tragedia greca. Strutturato quasi come una sitcom, con scene a sé stanti di argomenti spesso di diverso interesse: teatro, vita familiare, redazione del giornale, relazioni personali.

 

El perro que no calla
(Ana Katz, 2021, Arg)

Veramente deludente, privo di continuità, consiste in poco più di un’ora di brevi scene nelle quali il protagonista appare sempre in situazioni nuove, in ambienti diversi, in compagnie diverse. Un personaggio remissivo, senza aspirazioni, eppure di buona volontà, che si accontenta di tirare avanti onestamente cambiando mestiere e sostandosi da un lato all’altro dell’Argentina.

Flesh for Frankenstein (Paul Morrissey, 1973, USA/Ita)

Leggendo della mostra attualmente in scena a Napoli su Andy Wharol, mi sono ricordato dei suoi trascorsi cinematografici sia come regista (per lo più di lavori sperimentali), sia come produttore. Uno dei suoi accoliti più fedeli e produttivi della sua The Factory fu Paul Morrissey, che divenne famoso (con il suo attore feticcio Joe Dallesandro) per la sua trilogia Flesh (1968), Trash (1970) e Heat (1972) - che vidi all’epoca e ho reputato assolutamente inutile guardarli di nuovo – ma per curiosità ho voluto guardare questo suo film successivo. Se nei suddetti tre si poteva intravedere una logica e uno stile minimalista, provocatorio e di rottura (tutti film censurati e banditi), questo è semplicemente un pessimo horror, mal pensato e peggio prodotto. Cast pietoso, sceneggiatura e dialoghi assurdi e con effetti di scadentissimo livello ne fanno un film pessimo eppure (come ed insieme agli altri) chissà perché diventai cult (in verità per pochi), con titolo alternativo Andy Warhol's Frankenstein, proposto in Italia come Il mostro è in tavola... barone Frankenstein.

lunedì 18 aprile 2022

Microrecensioni 106-110: altri buoni recuperi della Epoca de Oro Mexicana

Nomi ricorrenti in questa cinquina sono i Soler e gli Alcoriza. La nota dinastia Soler discende da una coppia di attori spagnoli (lei valenciana, lui gallego) emigrata in Messico a fine ‘800 e poi negli USA. Non contando i due figli morti in tenera età, gli altri otto (4 sorelle e 4 fratelli) gravitarono in ambiente cinematografico. I quattro maggiori (Fernando, Andrés, Irene e Domingo) formavano il Cuarteto Infantil Soler, che cantava e recitava brevi drammi e sketch comici; negli USA apparirono in vari film muti, ma in Messico ebbero vero successo come protagonisti film diretti dai migliori registi dell'epoca quali Buñuel, Indio Fernández, Gavaldón, Bustillo Oro, Boytler, e vari di loro furono anche apprezzati registi (in questo gruppo ci sono Julián e Fernando).

Lo spagnolo naturalizzato messicano Luis Alcoriza iniziò come attore (solo 16 film, negli anni ’40), ma poi si distinse soprattutto come sceneggiatore (88) e come regista (23). Sui set messicani incontrò l’attrice e sceneggiatrice austriaca Janet Riesenfeld la quale, dopo il matrimonio, prese il cognome del marito e insieme firmarono decine di sceneggiature. Luis fu l’autore preferito di Luis Buñuel, per il quale scrisse circa la metà dei film del periodo messicano, fra i quali alcuni fra i più apprezzati come Los olvidados (1950), El bruto (1953), El (1953).

 
La visita que no tocó el timbre (Julián Soler, 1954, Mex)

Primo (forse) di una lunga serie di film con variazione sul tema: poppante lasciato da mani ignote davanti alla porta di una casa abitata solo da uno o più uomini. Di questo, tratto da una farsa del 1949 di Joaquín Calvo Sotelo, fu prodotto un remake spagnolo nel 1965; seppur non esplicitamente citato, fu poi spunto per il francese Tre scapoli e una culla (1985) e la sua successiva versione americana Tre scapoli e un bebè (1987) e sequel. Inoltre, anche se si tratta del vero padre single, molto simile sono il messicano No se aceptan devoluciones (2013, campione di incassi) ed il suo remake francese Famiglia all'improvviso (2016). Evidentemente un tema che piace, visto che offre innumerevoli spunti per commedie familiari, fra il grottesco e il ridicolo, spesso con risvolti strappalacrime. In questo caso i destinatari del bebè sono due fratelli timidi e pasticcioni, ovviamente scapoli, impiegati di banca. Per quanto i protagonisti siano proposti in modo esagerato, tutto il resto, dai comprimari alla trama con twist non sempre scontati, funziona più che bene. Gli sceneggiatori sono Janet e Alcoriza.

Los jovenes (Luis Alcoriza, 1961, Mex)

Fu l’esordio alla regia di Luis Alcoriza che si lanciò subito in temi più o meno scottanti. Questo ha vari punti in comune con Los olvidados (1950) del quale scrisse la sceneggiatura per Luis Buñuel; i protagonisti sono infatti un gruppo di giovani ma, al contrario di quelli poverissimi della periferia, in questo caso si tratta soprattutto di studenti universitari e appartenenti a famiglie della media e alta borghesia. Le aspirazioni di giovani e dei loro genitori non sempre coincidono, in quanto i primi vorrebbero vivere “all’americana” (grandi macchine, rock, alcool, vita quasi sregolata), mentre i secondi cercano di tenerli sotto controllo. Ovviamente ci sono differenze anche nell’eterogeneo gruppo di giovani fra i quali anche dei balordi che comunque non risultano indifferenti alle ragazze “per bene”. Fece molto discutere all’epoca per questi temi reali e di rottura, con tanti contrasti sociali e familiari, con uno stile a tratti da Nouvelle Vague; sparatorie, tradimenti e ogni tipo di violenza dei noir e dei film della rivoluzione erano la norma, ma mettere a nudo i problemi reali dei giovani borghesi della capitale, in un periodo di grandi cambiamenti mondiali, fu una novità. Qualcosa di simile lo si ritrova nel cult Los caifanes (1967, Juan Ibáñez) nel quale si seguono le vicende di una ricca giovane coppia di fidanzati che, lasciata una festa, passeranno un’inaspettata notte con un piccolo banda di balordi che li farà riflettere sulle enormi differenze sociali e culturali messicane. Nomination Orso d'Oro a Berlino.

  
El barbero prodigioso (Fernando Soler, 1942, Mex)

Piacevole commedia poco conosciuta, ma con trama buona e tutt’altro che scontata, ma piena di buoni sentimenti. Fernando Soler è regista e protagonista (il barbiere), suo fratello Domingo ricopre il ruolo dell’alcalde. Un tranquillo barbiere di un piccolo paese, vessato da moglie e suocera e preso in giro (oggi si direbbe bullizzato) da tutti diventa un caso dopo che un cieco riacquista improvvisamente la vista mentre gli sta lavando i capelli. I rapporti fra il barbiere e i tanti che gli stanno attorno cambieranno quindi radicalmente tranne che con il suo vero amico Tomás. Appariranno grandi oculisti, un’avventuriera americana e tanti che vorrebbero essere miracolati e la vita del barbiere avrà sviluppi assolutamente inattesi.

El medallón del crimen (Juan Bustillo Oro, 1955, Mex)

Discreto noir, che conta su ottimi tempi in merito a quasi incroci, oggetti bene in vista ma non visti, incontri casuali con la polizia che non si accorge di cosa succede, scambi di gioielli che saranno la chiave delle indagini. Sul versante negativo c’è invece la pochezza di Manolo Fábregas nei panni del protagonista; se la sua insipienza poteva andar bene nel summenzionato La visita que no tocó el timbre nel quale interpretava uno dei fratelli, qui non regge. Neanche la voce fuori campo (quasi i suoi pensieri) che gli suggerisce cosa fare per occultare potenziali prove mi è sembrata superflua e fuori luogo … peccato.

Historia de un abrigo de mink (Emilio Gómez Muriel, 1955, Mex)

Mediocre commedia quasi ad episodi (4) che segue la storia di un cappotto di visone che passa, per vari motivi, di mano in mano, ma torna sempre dallo stesso pellicciaio.

giovedì 14 aprile 2022

Microrecensioni 101-105: Epoca de Oro messicana, anni ‘50

Cinquina monografica, messa insieme recuperando film di seconda fascia della Epoca de Oro che non avevo ancora visto. Come più volte scritto, negli anni ’40 e ’50 la cinematografia messicana visse i suoi anni migliori grazie ad un nutrito gruppo di cineasti locali ai quali si affiancarono alcuni giunti dall’Europa, a cominciare dai russi Eisenstein e Arcady Boytler, per non parlare dello spagnolo Luis Buñuel che già nel 1949 ottenne la nazionalità messicana. A parte la piacevolezza e l’originalità della maggior parte delle trame sia per i film della rivoluzione che di quelli musicali di cabareteras e rumberas, come dei melodrammi ambientati nella capitale (con case ricchissime con scaloni, colonne e ricchi arredi) o in aree rurali in enormi ranchos, dai noir ai crime classici, in tutti risalta sempre con la marcata connotazione nazionalista della quale i messicani sono sempre andati molto fieri. Inoltre, si apprezza la loro peculiare e gradevole cadenza (in particolare per le classi più povere e gli indigeni) e anche il loro vocabolario che spesso si discosta, e non poco, dal castigliano peninsulare (della Spagna). Trovo che la visione di questi film sia un ottimo modo per imparare o rinfrescare il proprio spagnolo visto che sono parlati per lo più molto chiaramente, fermo restando le differenze fra spagnolo peninsulare, latino (dagli USA agli stati settentrionali del sudamerica) e rioplatense (Argentina e Uruguay). Nel complesso non memorabili, ma per lo più piacevoli e interessanti

 
La ausente (Julio Bracho, 1952, Mex)

Arturo de Córdova, uno dei più apprezzati attori dell’epoca, estremamente versatile, qui interpreta un vedovo che nasconde qualcosa in merito alla moglie e alla sua morte in un incidente stradale. Rimasto solo con la figlia di 5 anni, per la quale stravede) dovrà affrontare tre donne che ambiscono a prendere il comando della enorme residenza e della famiglia. Come se non bastassero sorella e cognata, apertamente in contrasto ancor prima dell’evento, si aggiunge infatti la giovane istitutrice della bambina della quale il vedovo si innamora. Tanti i segreti che vengono svelati a poco a poco, fino al colpo di scena finale.

La escondida (Roberto Gavaldón, 1956, Mex)

Classico della rivoluzione, uno dei pochi girati a colori, con due star di assoluto valore nei panni dei protagonisti: María Félix e Pedro Armendáriz. Sono gli anni della fine del porfiriato e l’ascesa di Madero, segnati da repentini cambi di bandiera come quelli che caratterizzarono anche gli anni successivi. A partire da una storia d’amore fra i due in una grande hacienda dedicata alla coltivazione del maguey (agave per la produzione di tequila, mezcal e pulque) la storia si sviluppa fra rivoluzionari e federali, con vari cambi di casacca. Melodramma a sfondo storico con esaltazione dei contrasti fra la misera vita dei magueyeros (i peones) e quella ricchissima di latifondisti, politici e ufficiali di rango.

  
Cuatro contra el mundo (Alejandro Galindo, 1950, Mex)

Buon noir dalla struttura classica, del genere rapinatori mal assortiti che mettono a segno un ricco colpo quasi senza lasciare indizi, tranne qualche vittima. I quattro pensano di restare nascosti insieme per qualche tempo, aspettando che le acque si calmino, contando anche sul fatto che la polizia ha grandi difficoltà a risalire alla loro identità. I caratteri molto diversi e la presenza di una donna metteranno ben presto in contrasto il gruppo.

Los dineros del diablo (Alejandro Galindo, 1953, Mex)

Altro noir di medio livello, come la maggior parte dei lavori di Galindo, molto prolifico nei più svariati generi, ma raramente memorabili. Originale la sceneggiatura che mette insieme alcolismo, famiglia, tradimento, furti, ricettazione e l’inevitabile storia d’amore. Senza infamia e senza lode.

Aquí está Heraclio Bernal (Roberto Gavaldón, 1958, Mex)

Certamente è uno dei meno apprezzati film di Gavaldón, già regista di ottimi lavori come La diosa arrodillada (1947), Rosauro Castro (1950), En la palma de tu mano (1951) e La noche avanza (1952). L’ambiente è quello di un piccolo villaggio nel quale risiedono i minatori dipendenti di imprenditori stranieri che li sfruttano e li imbrogliano con il beneplacito e la partecipazione del potere locale. A metà strada fra western drammatico e film con temi sociali e sindacali.

giovedì 7 aprile 2022

Microrec. 96-100: un Rohmer, 3 buoni messicani della Epoca de Oro e un pessimo giapponese

Ennesimo piacevole film del gran narratore Rohmer, accompagnato da tre film poco conosciuti (comunque di livello più che buono) del miglior periodo della cinematografia messicana, ricca di ottimi registi e interpreti, ed anche le trame non sono da meno essendo spesso molto originali e non brutte copie degli stili americani traslati in Messico. La commedia giapponese, pur godendo di buona critica, mi ha invece molto deluso.

 
Pauline à la plage (Éric Rohmer, 1983, Fra)

Si tratta del terzo film della serie Comédies et proverbes (1981-87) ed il proverbio al quale fa riferimento è “Chi parla troppo danneggia se stesso”, attribuito a Chrétien de Troyes, autore medioevale che per primo trattò diffusamente di Lancillotto, Parsifal e del Sacro Graal. La storia si sviluppa nel corso di pochi giorni passati in una località balneare della Normandia dalla 15enne Pauline, affidata alla cugina Marion di parecchi anni più grande. Solo sei personaggi, dei quali uno secondario, intrecciano le loro storie fra innamoramenti, avventure, tradimenti, corteggiamenti e bugie. Con narrazione scorrevole e piacevole, come suo solito, Rohmer ben descrive i protagonisti e nella sua sceneggiatura riesce anche ad inserire tante considerazioni sull’amore, visto da vari punti di vista, da persone di varia età. Tre premi a Berlino e Nomination all’Orso d’Oro. 

El asesino X (Juan Bustillo Oro, 1955, Mex)

I film che trattavano di rivoluzione della rivoluzione lo resero uno dei più famosi registi messicani, ma Juan Bustillo Oro in questo caso si cimenta in un lavoro inusuale per lui, reso ancor più particolare da Carlos López Moctezuma in uno dei suoi rarissimi ruoli di uomo di legge, di sani principi morali e non il solito perfido spietato infame. Tratto da un romanzo, narra la storia di X a partire dall’omicidio (apparentemente per vendetta) di un uomo che viveva sotto falso nome. Dopo questo ottimo inizio noir, e dopo una brevissima parte investigativa, il film diventa un court room movie con l’accusato che continua a ribadire che non sa niente e non ricorda niente (neanche il proprio nome) e il direttore della prigione (anche penalista) che lo difende pur trattandosi di un caso disperato visto che X è reo confesso che si è consegnato spontaneamente alla polizia. Interessanti gli interrogatori che alternano momenti kafkiani a momenti da commedia, mettendo in ridicolo il pubblico ministero.

  
Pecadora (José Díaz Morales, 1947, Mex)

Ninón Sevilla in questo film ricopre un ruolo secondario (comunque di ballerina cabaretera), mentre la vera protagonista è Emilia Guiú. Pertanto non rientra nel classico genere rumbera ma è una storia romantica che si sviluppa al margine della vita dei locali notturni e tende al noir in più occasioni. Infatti non mancano ricatti e pistolettate e, più che pecadora, la protagonista è perseguitata da incontri inopportuni e sfortunati e le sue disgrazie ricadono anche su chi le sta vicino. Quindi sono poche le esibizioni nei cabaret, ma non mancano i classici boleros e un po’ di musica caraibica.

Camino del infierno (Miguel Morayta, 1961, Mex)

Melodramma tragico che inizia come un classico noir ma ben presto si trasforma in una storia d’amore prima contrastata e poi di gran passione per passare infine a una tragica conclusione piena di buoni sentimenti e gran finale di nuovo noir/crime. Protagonisti Pedro Armendáriz (da poco uscito di galera seppur innocente) e Leticia Palma, nei panni di donna fatale che mira solo ad avere amanti ricchi disposti a spendere fortune per i suoi capricci. In effetti sono due poco di buono che si trovano insieme per caso dopo un colpo andato più che male e, pur essendo evidentemente incompatibili, iniziano una storia che sarà un calvario un po’ per colpa loro, ma saranno anche perseguitati dalla mala sorte.

Survival Family (Shinobu Yaguchi, 2016, Jap)

L’idea sembrava buona (blackout totale della durata di vari mesi) ma è sviluppata in modo pessimo e oltretutto non era assolutamente necessario trascinare la storia per quasi due ore fra incongruenze, situazioni impossibili, twist scontati e spesso ridicoli. Desolante ritratto di una famiglia giapponese moderna (ma esteso alla classe media borghese) completamente standardizzata in quanto a stile di vita e alimentazione, con totale perdita di vista delle realtà naturali e tradizionali. Da evitare.

lunedì 4 aprile 2022

Concorso fotografico Pineta San Costanzo e Grotte dei Crapari

Concorso fotografico aperto agli escursionisti di qualsiasi livello

Tema: Pineta di San Costanzo e Grotte dei Crapari

Categorie

Le foto vanno postate entro il termine massimo delle 24 di martedì 19 aprile 2022 sul proprio account Instagram includendo il riferimento all'account @pinetasancostanzo con hashtag #pinetasancostanzo + quello della categoria:

  1. #pscescursioni - per escursionisti a passeggio
  2. #pscalberi - per alberi vivi e/o morti (vedi esempi sotto)
  3. #pscpanorami - per panorami dai belvedere e dalla terrazza
  4. #pscgrotte - per le Grotte dei Crapari 

Ai fini del Concorso non si possono postare più di 3 foto per categoria per le quali si potrà votare fino alle 24 di martedì 26 aprile. Si sottolinea che tutti possono postare foto con hashtag #pinetasancostanzo, ma solo aggiungendo un hashtag di categoria di pertinenza si sarà considerati iscritti al concorso (gratuitamente).

 
Classifica

Sarà stilata combinando i voti della giuria (50%) con i Like ottenuti su @pinetasancostanzo (50%), tenendo conto dei tre migliori risultati in categorie diverse, quindi non è indispensabile andare alle Grotte dei Crapari (escursione più impegnativa, non adatta a tutti ***). Seppur non obbligatorio, si suggerisce di inserire nelle foto il proprio nome o nickname o logo o filigrana; in mancanza, il titolare dell’account di pubblicazione sarà considerato autore della foto. Pubblicando le foto da account non proprio, anche a chi non è utente Instagram potrà partecipare con il proprio nome sempre che esso appaia sull’immagine. Le foto rimangono di proprietà esclusiva degli autori lasciando agli organizzatori il solo diritto di pubblicarle in rete (su www.giovis.com e/o FB Camminate), senza scopo di lucro.

Premi

Trattandosi di concorso organizzato per puro fine promozionale e rivolto più agli escursionisti che ai fotografi professionisti (attività comunque compatibili) i premi saranno più che altro simbolici e di conseguenza non mirati a gratificare la tasca, bensì lo spirito e/o lo stomaco. I dettagli saranno comunicati a breve.

*** Grotte dei Crapari – le grotte (una mezza dozzina - vedi foto sotto) si aprono lungo una parete rocciosa disposta su un ripido pendio, a poco meno di 100m dal limite sud-est della Pineta (vedi mappa). Per accedervi non esiste alcun sentiero o percorso riconosciuto, quindi si procede a vista fra cespugli e arbusti su terreno sconnesso e pietroso. Tuttavia, vari anni fa ignoti escursionisti volenterosi apposero una serie di segni di vernice rossi individuando un percorso (comunque accidentato) che unisce la vicinale a valle alla pineta. In corrispondenza dell’uscita E5, sul grosso albero pochi metri più a monte, c’è un primo segno rosso e le grotte sono a vista, di fronte. Di lì gli escursionisti potranno usare tali segni come riferimento, ma dovranno usare buon senso e prudenza procedendo lungo il percorso che giudicheranno più sicuro e adatto alle proprie capacità in quanto la vegetazione cambia molto durante l’anno e le pietre si muovono.

 

NB – chi non volesse “avventurarsi” da solo in Pineta (anche se percorrerne i sentieri è estremamente semplice) e chi vorrà approfittare della presenza certa di escursionisti sui sentieri per avere soggetti adatti per la categoria 1 (escursionisti a passeggio #pscescursioni), sappia che la Pro Loco Due Golfi propone una passeggiata gratuita in Pineta domenica 10 aprile, con partenza alle ore 17, come specificato nella locandina sopra a destra.