venerdì 10 dicembre 2021

Micro-recensioni 356-360: Indian Parallel Cinema e drammi europei

L'India è qui rappresentata da 3 film di Shyam Benegal, uno dei più rappresentativi registi del Parallel Cinema, che ha spaziato in vari generi mettendo quasi sempre al centro della narrazione storie inusuali per lo standard delle produzioni nel suo paese e soprattutto storie di donne, con ruoli spesso affidati alle sue attrici preferite, come la arcinota Smita Patil, femminista attivista nella quale ho già parlato in occasione di Mirch Masala e Shabana Azmi che con lui esordì (già come protagonista) in Ankur (1974). Benegal lanciò anche molti nuovi attori cinematografici attingendo alle scuole teatrali e quindi potette contare quasi sempre su ottimi cast; vari di loro (come per esempio Naseeruddin Shah e Amrish Puri) negli anni successivi diventarono poi vere e proprie star partecipando sia a produzioni internazionali (p.e. Ghandi) che a film in stile Bollywood. Gli altri due film sono una un dramma rumeno, al quale sono arrivato per avere come protagonista Luminita Gheorghiu, già apprezzata in Il caso Kerenes, e un film danese vincitore di Oscar.

 

Bhumika - The Role
(Shyam Benegal, 1977, Ind)

La protagonista che dà nome al film è una giovane donna impulsiva, quasi irrazionale, spesso autolesionista, ma anche remissiva, in cerca di indipendenza, ruolo che calza a pennello a Smila Patil femminista anche nella vita reale e icona del Parallel Cinema indiano. La storia è in parte ispirata a quella di una famosa star teatrale e cinematografica degli anni ’40, Hansa Wadkar, che condusse una vita relativamente sregolata, certamente non convenzionale per la sua epoca. Inserito nella programmazione del recente Festival di Bologna Il cinema ritrovato 2021.

Mandi - Market Place (Shyam Benegal, 1983, Ind)

Singolare commedia drammatica quasi tutta al femminile visto che le protagoniste sono le donne che vivono in un grande caseggiato-bordello, in parte mascherato come casa dove si esibiscono ballerine e cantanti classiche indiane. Gli uomini sono invece coprotagonisti e fra loro si contano avventori, il poliziotto corrotto, un fotografo in continuo caccia di foto osé e non solo, il tuttofare del bordello perennemente ubriaco, ricchi imprenditori e politicanti. Unica donna esterna alla casa è una moralizzatrice che fa di tutto per cacciare le prostitute dal paese e chiudere il locale. Non mancano storie e fughe d’amore e preparativi per un matrimonio in questo film ben bilanciato per quasi tutta la durata circa 2 ore e mezza che però si perde un poco nel finale. Si lascia comunque guardare molto piacevolmente per la buona sceneggiatura e un cast di ottimo livello. Una volta fatto l'orecchio allo stile di canto tipico indiano, con voci femminili molto acute, anche le numerose canzoni spesso accompagnate da balli risultano ben inserite nel contesto generale.

  
The Seventh Horse of the Sun (Shyam Benegal, 1992, Ind)

Tratto dall’omonimo romanzo di Dharmavir Bharati, vinse il premio come miglior film dell’anno e su IMDb vanta un significativo 8.0. Si seguono in successione le storie intrecciate di tre giovani donne che ebbero in comune una parte di vita, raccontate da un coetaneo che ebbe a che fare con loro e che le descrive a tre amici, uno dei quali è poi il vero narratore dell’intero intreccio. Molto interessante la costruzione non lineare ed il ritrovare di volta in volta gli stessi personaggi nelle stesse situazioni approcciate però da percorsi e punti di vista diversi. Ancora una volta sono le donne le protagoniste dei film di Benegal, in ruoli molto diversi e rappresentanti classi sociali altrettanto diverse. Anche questo merita la visione.  

The Death of Mr. Lazarescu (Cristi Puiu, 2005, Rom)

In alcuni punti, se non trattasse di situazioni estremamente drammatiche di malasanità, potrebbe quasi sembrare una commedia … eppure, a quanto si legge spesso, sono cose che capitano in molti sistemi sanitari pubblici. Protagonista del film è un anziano bevitore, già operato di ulcera, che chiede l'intervento di un'ambulanza accusando vari preoccupanti disturbi. Dopo aver ottenuto (con non poche difficoltà) di essere prelevato da un furgone adattato ad ambulanza con sola infermiera a bordo oltre all’autista, inizia una peregrinazione notturna fra pronto soccorso, ospedali senza disponibilità di letti o specialisti, diagnosi contrastanti. Le buone volontà di taluni si scontrano con la saccenteria di medici arroganti e il menefreghismo di altri, in una serie di situazioni quasi kafkiane nelle quali anche la burocrazia ha la sua parte. Ottimo dramma, forse più lungo del necessario, ben interpretato, tristemente realistico (anche se certamente rappresenta una minoranza di casi). Premio Un Certain Regard a Cannes.

In un mondo migliore (Susanne Bier, 2010, Den)

Ben realizzato e ben interpretato (anche dai due ragazzini) sembra però dimostrare la falsità dell'idea della perfetta vita sociale dei paesi scandinavi. Ancora una volta la storia gira attorno a violenze, problemi di relazione (qui manca l’alcolismo). Anche se si tratta di un caso forse estremo, si espone chiaramente il contrasto fra un benpensante medico volontario in Africa fra guerriglieri e rifugiati che si trova a fronteggiare in patria una violenza simile se non peggiore in quanto inaspettata e immotivata in un paese che si presuppone civile. A partire da avvenimenti routinari di bullismo scolastico si sviluppa una spirale di violenza e di esagerata e pericolosa rappresaglia che viene anticipata nel titolo originale danese Hævnen, C’è da sottolineare che la traduzione letteralmente sarebbe rivincita o vendetta, quindi un significato ben diverso, quasi completamente opposto, da quello del titolo internazionale. Non mi ha particolarmente entusiasmato, l’Oscar come miglior film straniero è forse giustificato dal non avere avuto valida concorrenza.

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