martedì 13 luglio 2021

Micro-recensioni 156-160: prima cinquina di classici coreani

Come anticipato nel post di un paio di settimane fa classici sudcoreani degli anni '60, in questa cinquina e la prossima parlerò dei 10 film coreani proiettati al Festival di San Sebastian e pubblicati su YouTube dal Korean Film Archive nella sua playlist Korean Classic Film.

 

Black Hair
/ Geom-eun meori (Man-hui Lee, 1964, Kor)

Yakuza-noir coreano nel quale, stranamente, non appaiono pistole ma solo coltelli e bottiglie rotte, per lo più utilizzate per sfregiare chi non rispetta le ferree regole imposte dal boss, costretto anche lui a subirne le conseguenze. Storia torbida e intricata che ha origine da uno stupro e che si sviluppa quasi esclusivamente all'interno della banda senza mostrarne le effettive attività criminali. Film tenebroso sia per i contenuti che per svolgersi quasi interamente di notte, conta su una eccellente fotografia, con il sottofondo di commento e colonna sonora molto interessanti, già influenzate dal retaggio americano, così come l'abbigliamento e l'ambiente dei bar e locali notturni frequentati da prostitute vestite all'occidentale. Anche se con alcuni limiti di sceneggiatura e dialoghi risulta essere visione piacevole e interessante che ci introduce alla conoscenza del mondo della malavita coreana con i suoi riti, gerarchie e leggi non scritte.

Aimless Bullet / Obaltan (Hyun-mok Yoo, 1961, Kor)

Film del neorealismo coreano che, per dipingere in modo troppo crudo e pessimista un certo tipo di società sudcoreana negli anni del dopoguerra, fu censurato e solo dopo 3 anni e mezzo fu recuperato da un consulente americano del Korean National Film Production Center e quindi presentato al Festival internazionale di San Francisco dove venne molto apprezzato per la tecnica al di là dei contenuti: "a remarkable film, … brilliantly detailed camera work is matched by probing sympathy and rich characterizations" (Variety). Si narra della famiglia di un onesto contabile che si deve prendere cura della madre rimasta scioccata dalla guerra, un fratello invalido di guerra, una sorella che si rassegna a prostituirsi con i soldati americani e due ragazzini; a ciò si devono aggiungere suicidi, rapine e … un fastidiosissimo mal di denti.

  

The Housemaid / Hanyeo (Kim Ki-young, 1960, Kor)

L’unico di questa serie che avevo già visto. Si tratta di un dramma che si è meritato un remake nel 2010 (Kor, IMDb 6,4 e RT 70% contro il 7,3 e 100% dell’originale), diretto da Sang-soo Im. Girato in modo egregio in bianco e nero e quasi tutto in interni, purtroppo si basa su una sceneggiatura (dello stesso Ki-young Kim) molto poco convincente ed un finale ridicolo. In particolare le riprese nella casa a due piani (che ha il suo elemento centrale nelle scale inquadrate da angolazioni sempre diverse) con alternanza di primi piani e riprese attraverso finestre e spiragli di porte, rendono molto bene un’atmosfera da dramma-thriller. Peccato però che i comportamenti dei protagonisti sono insulsi e poco credibili e le interpretazioni a dir poco scadenti, a cominciare dal primo attore veramente pessimo. Andando a cercare i motivi che giustificassero le buone critiche, ho visto che molti commenti concordano in linea massima con la mia opinione e ho anche scoperto due trivia interessanti: il ridicolo e completamente fuori tono finale fu aggiunto in postproduzione in quanto la vera conclusione fu reputata troppo scioccante e all’esordiente attrice che interpretò la squilibrata cameriera non furono più proposti altri ruoli (in effetti comparve in altri due film minori) si dice a causa del ruolo ricoperto in The Housemaid, ma penso anche perché non valeva un granché. Il film (restaurato grazie alla World Cinema Foundation di Martin Scorsese) si trova su YouTube a 720p e vale la pena guardalo per regia, fotografia e riprese, ma sappiate che molto probabilmente sarete delusi da sceneggiatura e interpretazioni.

The Flower in Hell / Ji-okhwa (Sang-ok Shin, 1958, Kor)

Assimilabile nel neorealismo, fu uno dei primi film a mostrare la situazione del dopoguerra (civile, 1950-53, con l’intervento delle truppe americane) fra povertà, mancanza di lavoro, mercato nero e prostituzione. Ulteriore elemento di scalpore fu che la notissima attrice protagonista (Choi Eun-hee, 1926-2018, che di solito interpretava figure positive di donne oneste e dedite alla famiglia) appariva nel ruolo di una prostituta con pochi scrupoli. Anche se non inerente al film, vale la pena menzionare che nel 1978, mentre si trovava a Hong Kong, fu rapita dal regime della Corea del nord e poco dopo anche suo marito, regista di questo film, subì la stessa sorte e insieme furono costretti a recitare lì. Riuscirono a scappare nel 1986 durante una tournee a Vienna rifugiandosi presso l’Ambasciata USA e quindi si trasferirono a Hollywood dove lavorarono per una dozzina di anni; solo nel 1999 tornarono in Corea del sud.

Farewell Duman River / Dumangang-a jal itgeora (Kwon-taek Im, 1962, Kor)

Nell’articolo di presentazione veniva definito western manchù, ma in effetti si tratta di film bellico relativo alle azioni dei partigiani e degli studenti contro l’esercito di occupazione giapponese lungo il fiume Duman, oggi confine fra Corea del nord e la Manciuria cinese. Direi poco interessante, mal realizzato e, come se non bastasse, la copia restaurata non è di gran qualità e mancano molti fotogrammi. Da evitare.

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