lunedì 11 novembre 2019

68° gruppo di 5 micro-recensioni 2019 (336-340)

In questo gruppo è incluso il tanto atteso The Irishman (l'ultimo film di Scorsese che quasi tutti saranno costretti a guardare in streaming) accompagnato da altre tre prime visioni” prodotti da paesi molto diversi: Rep. Ceca / Nuova Zelanda, India e Brasile. Il quinto è un film giapponese storico, ma non troppo d’epoca (del 1991). 

   


340  The Irishman (Martin Scorsese, USA, 2019) * con Robert DeNiro, Joe Pesci, Al Pacino  * IMDb  8,6  RT99%
E per pura (e fortunata) combinazione, sono riuscito a godermi in sala, con schermo grande e ottimo audio quest'ultima fatica di Scorsese che riempirebbe qualunque sala, in qualunque parte del mondo e non per un solo giorno. Trovo assolutamente insensata la prova di forza di Netflix che obbliga milioni di spettatori ad accontentarsi dello streaming, specialmente considerando che la percentuale di quelli che possono contare su una connessione veloce e schermo HD abbastanza grande è ancora bassa. Chi può dovrebbe comunque guardarlo in versione originale per apprezzare il caratteristico accento e slang di quell’ambiente e le varie frasi pronunciate in cattivo dialetto italiano (assolutamente reale).
Nel complesso mi sono piaciute molto le prime ore, con buona sceneggiatura in stile classico fra mafiosi italoamericani, con alcuni divagazioni da dark comedy, ma verso la fine il film è scaduto di qualità e di ritmo. La ricostruzione di ambienti, le scenografie, la scelta di abiti, arredamenti, auto ecc, si fa apprezzare per meticolosità e ricchezza di particolari, anche la colonna sonora è piacevole e ben strutturata.
Veniamo agli attori principali: DeNiro bravo ma con espressioni viste e riviste, Al Pacino un po' sopra le righe, quello che si distingue su tutti è secondo me Joe Pesci, quasi certo candidato Oscar come non protagonista. Mi ha meravigliato la scelta di includere nomi noti in parti ridottissime come quella di Anna Paquin (che proferisce solo 6 parole) e ancor più a Harvey Keitel, un vero peccato.
Come tutti sapranno si è quasi rinunciato al trucco per ringiovanire gli attori principali (la parte sostanziale del film spazia su vari decenni) utilizzando invece il modernissimo de-aging VFX (editing digitale per ridurre l’età degli attori). Pur costando una fortuna e fornendo risultati decenti, i volti ringiovaniti appaiono “gommosi” e, ricordando l’aspetto dei vari attori quando erano effettivamente più giovani, poco soddisfacenti.
La regia di Scorsese non si discute, a partire dalla prima contorta carrellata / soggettiva in avanti e tante altre ottime sequenze e riprese, ma devo dire che ho trovato quelle al rallentatore assolutamente fuori contesto e, permettetemi, inutili. Spesso appare autoreferenziale non solo per personaggi, ambiente ed epoca, ma più volte anche nelle inquadrature come quella “storica” del primo piano della ruota e parte anteriore dell’auto che avanza lentamente nella notte (Taxi Driver).
Film da non perdere, ma veramente non comprendo la necessità - o scelta che sia - di farlo durare 3 ore e mezza. Ho guardato tanti film di pari durata e anche più lunghi senza batter ciglio, ma questo non riesce a mantenere veramente desta l'attenzione fino alla fine. In sala si percepivano vari segni di insofferenza e gli applausi finali non sono sembrati troppo convinti, certamente non scroscianti.   


339  A Vida Invisível (Karim Aïnouz, Bra, 2019) tit. It. “La vita invisibile di Eurídice Gusmão” * con Carol Duarte, Julia Stockler, Fernanda Montenegro * IMDb  7,8  RT92%  * Premio Un Certain Regard a Cannes 2019
Film più che soddisfacente, con una buona sceneggiatura (per la verità a tratti un po' confusa) e, soprattutto, una fotografia veramente ottima, quasi tutta con luce naturale, senza alcuna luce sparata da angolazioni impossibili. I colori sono per lo più pastello, con toni saturi, quasi assenti ombre ben definite. Le prove delle due protagoniste sono senza dubbio di buon livello e anche i personaggi di contorno sono molto ben interpretati, soprattutto Zelia (Maria Manoella) e Filomena (Bárbara Santos), con la sola eccezione di Gregório Duvivier, ma si deve onestamente dire che il suo personaggio (Antenor) è abbastanza insulso. Seppur limitata in una breve ma intensa apparizione nelle vesti di Eurídice anziana, Fernanda Montenegro (Nomination come protagonista di Central do Brasil, 1998, di Walter Salles) si fa notare con una interpretazione di tutto rispetto.
La storia si sviluppa nell'arco di quasi un decennio (anni '50) per poi saltare nel finale quasi ai nostri giorni. Narra di due sorelle Eurídice (Claudia Duarte) e Guida (Julia Stockler) che cercano disperatamente di mettersi in contatto con l’altra dopo essere state indotte dai genitori a pensare di essere distanti pur vivendo nella stessa città. Viene presentata una Rio de Janeiro con società profondamente maschilista, nella quale le donne devono lottare per avere i loro spazi e perseguire le proprie aspirazioni.
Pur non avendo visto altri film presentati nella sezione Un Certain Regard dell'ultimo Festival di Cannes (ma in settimana avrò occasione di guardare Dylda / Beanpole), penso che il riconoscimento ottenuto sia stato meritato.

Consigliato ... in Italia è già uscito in sala, non so se è ancora in giro.

      

338  The Last Color (Vikas Khanna, India, 2019) * con Aqsa Siddique, Neena Gupta, Rajeswar Khanna, Aslam Shekh * IMDb  7,3
Prodotto, scritto e diretto da un cuoco / scrittore (e ora regista) dalle visioni evidentemente molto moderne e progredite per alcune aree dell'India ... e questo è il suo problema. Chiarisco, in un film di appena un'ora e mezza, la metà del classico standard di oltre 3 ore, ha voluto stipare tanti dei problemi atavici che permangono in alcune comunità indiane quali: isolamento delle vedove e tutte le limitazioni a cui sono soggette, ragazzini senza famiglia che vivono di espedienti, per strada, transessuali, atteggiamento maschilista generalizzato, violenza generale e familiare e, come se non bastasse, poliziotti violenti e corrotti. In questa situazione che appare estrema se si considera la contemporaneità di quanto detto, Khanna inserisce la storia del legame fra una giovanissima funambola e venditrice di fiori con una anziana vedova molto rassegnata. Affronteranno tante vicissitudini dalle quali, nella maggior parte dei casi, usciranno quasi miracolosamente. Nonostante le buone intenzioni, il film non prende una strada chiara, restando sospeso fra denuncia sociale, dramma, un po' di commedia e favoletta buonista a lieto fine.
All’inizio e alla fine del film viene ricordato che solo nel 2012 la Corte Suprema ha soppresso l’obbligo per le vedove di vestire solo di bianco (fino ad allora non potevano usare alcun colore) e quindi di partecipare alla Holi, la famosa festa dei colori … ovviamente qualcuno non è ancora d’accordo.
A prescindere dalla sceneggiatura poco omogenea, il film ha i suoi meriti: la buona interpretazione della piccola Aqsa Siddique (Choti), giusta colonna sonora, i set naturali forniti dalle rive del Gange e dagli edifici d'epoca di Varanasi, un'ottima fotografia.  
Interessante commedia drammatica etnica.

337  JoJo Rabbit (Taika Waititi, Cze/NZ, 2019) * con Scarlett Johansson, Sam Rockwell, Roman Griffin Davis, Thomasin McKenzie, Taika Waititi * IMDb  7,9  RT78% 
Satira arrischiata e allo stesso tempo arguta su nazismo, indottrinamento dei più giovani e razzismo ambientata in Germania nei giorni della caduta del Terzo Reich, ma in un certo senso assimilabile d altre realtà contemporanee. Dopo aver apprezzato il ben più demenziale (ma divertente Vita da vampiri (esordio dello stesso regista/sceneggiatore/protagonista Taika Waititi) mi aspettavo di più, ma ciò è quanto spesso accade ai giovani autori che dopo essersi fatti notare per il loro primo lavoro prodotto con pochi soldi e mezzi, quando passano a maggiori budget e contano su attori di fama risultano essere meno innovativi e interessanti. Qui, oltre all’angelo custode-Hitler (interpretato da Waititi) appaiono in ruoli quasi secondari e ben più noti Scarlett Johansson e Sam Rockwell (Oscar l’anno scorso per Three Billboards Outside Ebbing, Missouri e Nomination quest’anno per Vice).
Il film procede a sprazzi, in modo per niente uniforme; trovate originali si alternano a fasi di stanca, i rapporti del protagonista con l’ectoplasma di Adolf (che risulta quasi simpatico per essere assolutamente distante dalla realtà comunemente conosciuta) e i ripetuti incontri con il suo amico del cuore tracagnotto e occhialuto sono spesso esilaranti. Al contrario, i personaggi interpretati da Johansson e Rockwell risultano essere banali e mediocri e si ha la netta sensazione che i produttori li abbiano scritturati solo per avere due nomi famosi sui poster.
A tempo perso si può guardare, ma senza aspettarsi molto, specialmente continuità.

336  Edo Castle Rebellion (Toshio Masuda, Jap, 1991) * con Hiroki Matsukata, Yukiyo Toake, Shinobu Sakagami * IMDb  6,9
Un’eminenza grigia che trama per mantenere il proprio (enorme) potere di consigliere anziano gestendo molto spregiudicatamente la successione al trono nel 1680, considerato che lo shogun non ha eredi diretti, è al centro di questo dramma storico. Come mi ha spiegato il direttore del Movie Museum (conoscitore di storia giapponese oltre che esperto cinefilo) tutti gli eventi narrati nel film si riferiscono a fatti e personaggi reali (verificato), non si tratta quindi di un qualunque “film di samurai”. Trame, tradimenti e agguati si susseguono rapidamente, e ciò causa qualche problema agli spettatori non nippomani essendo talvolta difficile stare dietro ai discorsi in cui si citano tanti personaggi e relativi ruoli.
Il film è pertanto più che altro basato su trame di palazzo anche se le lame vengono sfoderate più di una volta e compare anche una pistola!
Non leggero, ma ben realizzato e apprezzabile per regia, fotografia (a colori) e scenografie.

Le oltre 1.400 precedenti micro-recensioni dei film visti a partire dal 2016 sono sul mio sito www.giovis.com; le nuove continueranno ad essere pubblicate su questo blog. 

Nessun commento:

Posta un commento