martedì 29 giugno 2021

Micro-recensioni 136-140: altri 5 Hitchcock, 4 da guardare, 1 evitabile

Anche questo gruppo (anni 1949-54) comprende un flop, ma due sono più che buoni, anche se poco noti al grande pubblico italiano, e gli ultimi due sono ottimi e relativamente famosi. Dividendoli per genere, due vedono innocenti accusati di omicidio volontario da menti perverse e anche se si conosce dall’inizio il vero colpevole non sarà facile arrivare a smascherarlo, un film in costume certamente trascurabile. Si deve anche notare che, anche se Hitchcock lavorava ormai da anni per Hollywood, era ancora molto legato alla madre patria e quindi non c’è da meravigliarsi se solo uno della cinquina è ambientato in USA, mentre gli altri 4 nel Commonwealth (2 in UK, uno in Canada e uno in Australia) il che comporta anche l’utilizzo di molti attori inglesi. Comincio, ovviamente, con gli ottimi.

 
Dial M for Murder (1954) (Il delitto perfetto)

Una chiave, come quella co-protagonista in Notorius, in questo film è protagonista assoluta, dall'inizio alla fine, muovendosi fra tasche (non sempre quelle giuste), borse, borsellini e sotto gli zerbini. Un delitto ben pianificato, seppur dopo aver valutato e curato tanti particolari, va a monte per un dettaglio assolutamente imprevedibile. In questo caso, l’ingegnoso autore del piano riesce a modificarlo in corso d’opera con grande abilità e creatività, ma l’imponderabile è sempre in agguato. Questa la sostanza di un vero thriller, basato su particolari e tempistica. Ottimi i tempi e i dialoghi che si svolgono a turno fra i tre uomini: il marito dell’accusata, il suo amico e l’ispettore. Fu il primo dei tre film che Grace Kelly interpretò diretta da Hitchcock, immediatamente seguito da Rear Window lo stesso anno (1954) e da To Catch a Thief (1955). Assolutamente da non perdere.

Strangers on a Train (1951) (L'altro uomo o Delitto per delitto)

La situazione proposta potrebbe apparire un po’ surreale, ma ha una sua logica ed è certamente affascinante e singolare comportando, di conseguenza, l’indispensabile presenza di un protagonista un può fuori di testa. I suoi singolari comportamenti, che includono l’abbigliamento, sono molto ben descritti da Hitchcock fin dalle prime scene attraverso tanti dettagli. C’è quindi anche spazio per inserire situazioni e personaggi fra l’ironico e il comico, come le ricchissime anziane ingioiellate che flirtano con il protagonista, il bambino sulla giostra e l’operaio che tenta di fermarla. Fra i tanti colpi piccoli ostacoli e colpi di scena distribuiti ad arte nel corso dell’intero film, ce n’è però uno secondo me troppo forzato e tirato per le lunghe, oltre che poco credibile; ciò non pregiudica assolutamente la qualità del film nel suo complesso, ciò grazie anche a quanti collaborarono alla sua realizzazione.  Infatti, il soggetto è tratto da un romanzo di Patricia Highsmith (successivamente diventata una apprezzatissima autrice di polizieschi) e alla sceneggiatura collaborò Raymond Chandler (il creatore del personaggio di Philip Marlowe); direttore della fotografia fu Robert Burks che, a partire da questa sua prima collaborazione, praticamente ebbe l’esclusiva con Hitchcock con 12 film su 13 (fino a Marnie, 1964, saltando solo Psycho, 1960), ottenendo l’Oscar per To Catch a Thief (1954) e Nomination per questo Strangers on a Train (1951) e Rear Window (1954).

   
I confess (1953) (Io confesso)

Questo è fra i film meno conosciuti del periodo americano di Hitchcock, e non ne comprendo il motivo ... l’ho trovato ottimo e certamente migliore di altri ben più famosi. Sembra un misto di vari generi, tuttavia perfettamente miscelati: court movie, dramma romantico, thriller, noir e anche altro. Buon cast anche se pare che Hitchcock non gradì molto le scelte della produzione, avendo diverse richiesto altri interpreti. La trama si dipana in modo abbastanza lineare, ma il pregio sta nel non lasciar prevedere se, come, quando e da chi sarà smascherato l’assassino, non per bravura di chi investiga (l’ispettore cocciuto e prevenuto interpretato da Karl Malden), ma per la rottura del muro di silenzio che - per motivi molto diversi - si è creato intorno all’omicidio con il quale si apre il film. Montgomery Clift interpreta il sacerdote ingiustamente accusato, ma Hitchcock non calca assolutamente la mano sull’argomento religioso (in particolare sul segreto della confessione) puntando esclusivamente sul dilemma: parlerà o non parlerà? In più momenti ricorda lo stile di Orson Welles … se non lo avete visto, vi suggerisco di recuperarlo ... ne vale la pena!

Stage Fright (1950) (Paura in palcoscenico)

Trama abbastanza intricata, piena di sorprese, protagonisti e colpii di scena per permettere a Hitchcock di esibirsi nel creare tante situazioni di suspense, senza neanche risparmiarsi sulle scene e personaggi più che umoristici (l’uomo del pub, la donna alla fiera, ...). Il padre della protagonista (Jane Wyman), interpretato dall’ineffabile Alastair Simm, appena venuto a conoscenza dei problemi e preoccupazioni della figlia, pronuncia una frase emblematica (purtroppo vera sempre ed in assoluto) che spiega come è arrivata a quel punto (e altro deve ancora accadere): “la stupidità è contagiosa!”.
Pur non essendo un’opera maestra, è un film molto ben congegnato, diretto e interpretato, dallo sviluppo molto rapido, senza pause di sorta. Più si procede e più intrecciati divengono i rapporti fra i protagonisti, vari dei quali si spacciano per quelli che non sono, per le tante bugie che ovviamente tentano di coprire con ulteriori menzogne. Perfetta Marlene Dietrich (con la Wyman le sole presenze non inglesi del cast) nel ruolo della perfida e cinica femme fatale, ma anche tutto il resto del cast è scelto opportunamente e offre egregie interpretazioni. Senz’altro lo si può classificare come un piacevole thriller “leggero”, fra il divertente e l’avvincente, e quindi meritevole di una visione.

Under Capricorn (1949) (Il peccato di Lady Considine o Sotto il Capricorno)

Una specie di melodramma ambientato in Australia nell’800, non molto riuscito. Terza e ultima apparizione di Ingrid Bergman nei film di Hitchcock, affiancata dal ben più solido Joseph Cotten, secondo me generalmente sottovalutato nonostante le ottime interpretazioni in Shadow of a Doubt (unico altro film con Hitchcock), The Third Man (1949, Carol Reed) e Citizen Kane (1941, Orson Welles). Visione non strettamente necessaria.

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