domenica 31 ottobre 2021

Micro-recensioni 311-315: gruppo indie a prevalenza asiatica

I tre film indiani sono ricordati soprattutto per i loro contenuti, non usuali nella cinematografia del loro paese, e anche per il modo in cui furono realizzati. Si inizia con una storia di introspezione di un integerrimo dirigente delle ferrovie, si passa al tema del maschilismo che si dovrà confrontare con una parziale ribellione dell’altro sesso e si finisce mettendo in luce il lato oscuro di Bollywood con i film illegali di exploitation softcore di serie C. Completano la cinquina un buon esordio coreano (quasi tutto al femminile) e un singolare film americano di tagliente critica sociale.

 

Lucky Chan-sil
(Cho-hee Kim, 2019, Kor)

Esordio alla regia e anche alla sceneggiatura della 44enne coreana Cho-hee Kim, dopo una decina di anni di attività come produttrice. C’è (probabilmente) tanto di autobiografico visto che la maggior parte dei personaggi principali lavorano o hanno lavorato nell’ambiente cinematografico. La protagonista Chan-sil (interpretata dall’esordiente Mal-Geum Kang, numerosi riconoscimenti per lei) è una produttrice 40enne che si trova improvvisamente senza lavoro, sua sorella è attrice, l’insegnante di francese di quest’ultima è un regista di corti e c’è anche il fantasma di un attore, già idolo di Chan-sil. L’ultimo personaggio importante del film (che non ha niente a che vedere con il cinema) è l’anziana padrona di casa, semianalfabeta e un po’ scorbutica, ma saggia. La passione per il cinema internazionale di qualità della regista (certamente una vera cinefila) traspare anche in vari dialoghi con citazioni di film del maestro giapponese Ozu (1953, Viaggio a Tokio), del tedesco Wenders (1987, Il cielo sopra Berlino) e del serbo Kusturica (1988, Il tempo dei gitani) … ma, per bocca della protagonista, si chiede come possano piacere i film di Christopher Nolan in confronto ai suddetti! Non meraviglia quindi che questo film tratti di tormenti personali, relazione con gli altri, solitudine, ricerca di stimoli per un futuro personale migliore. Senz’altro da consigliare, ma solo a chi piace Ozu.

Metropolitan (Whit Stillman, 1990, USA)

Commedia satirica molto apertamente critica di un certo ambiente newyorkese. I protagonisti sono un gruppo di studenti benestanti che si ritrovano nel periodo delle feste natalizie, passando da una casa all’altra, sbevazzando, (s)parlando di conoscenze comuni, facendo giochi sociali (quello della verità avrà immediate conseguenze), tentando raramente di elevare il livello degli argomenti. Il film inizia con l’incontro casuale della comitiva con tale Tom, certamente non del loro ambiente ma colto e dalle idee non banali, che si lascia convincere a partecipare alle loro serate/nottate. Chiaramente un indie (secondo IMDb budget di 230.000$), con attori quasi tutti senza grande esperienza (ma non malvagi) e che non hanno continuato la carriera seriamente, regista/sceneggiatore all’esordio (anche lui solo 5 film in quasi 30 anni) che tuttavia ottenne la Nomination Oscar per la sceneggiatura. Girato quasi tutto in interni (i vari salotti e qualche locale) si basa quindi sui dialoghi che mettono a confronto le varie personalità e idee, queste ultime spesso usate come provocazione e non per convinzione. Il quadro è abbastanza deprimente se si pensa che molti di quei giovani sarebbero diventati parte della classe dirigente, in posti di comando.

  

Mirch Masala
(Ketan Mehta, 1986, Ind)

Ambientato in un piccolo villaggio rurale nel quale l’unica occupazione sembra essere la produzione di peperoncino (colpiscono le riprese con rosse distese di spezie messe a seccare). Siamo nel periodo coloniale inglese e, come atteso, un giorno giunge un arrogante e prepotente esattore dei tributi, accompagnato da un manipolo di soldati. Subito si incapriccia di una donna che, dopo averlo platealmente respinto, si rifugia nel molino di spezie. Il militare pretende di averla e minaccia ritorsioni su tutto il paese in caso di rifiuto. Visto che il marito della donna ha appena abbandonato il villaggio la sua difesa resta a carico di pochi benpensanti mentre il resto vorrebbero che si consegnasse. Questo tema interessante viene ben esposto sullo schermo con dialoghi e piani ravvicinati ma, purtroppo, nelle scene in campo aperto il film cade nel sensazionalismo di basso livello fra slow motion, temi dilatati, punti di vista non congruenti, inseguimenti incredibili, chiaramente tutto per il gran pubblico. 

L’unica scena all’aperto interessante, molto ben girata e montata, la potete vedere in questo video nel quale, in occasione di una festa, si riuniscono un cantante e tante donne che ballano in circolo, mentre arrivano il capovillaggio e poi l’esattore, mentre due giovani organizzano la loro fuga d’amore. Anche senza dialoghi, tutto è ben chiaro! Interessante e originale, classico esempio del cinema indipendente indiano degli anni ’80, il cosiddetto Parallel Cinema, transizione fra i classici e i moderni Bollywood.

Bhuvan Shome (Mrinal Sen, 1969, Ind)

Un funzionario delle ferrovie di mezz’età va a caccia in un’area rurale e si confronta con una giovane donna (moglie di un ferroviere) che con la sua franchezza e ingenuità gli farà riconsiderare molte delle sue idee e gli aprirà la mente ad un diverso approccio con la vita. Ironica favoletta morale con personaggi un po’ caricaturali ma piacevolmente proposti.

Miss Lovely (Ashim Ahluwalia, 2012, Ind)

Come anticipato in apertura, ecco un altro film in ambiente cinematografico, ma in questo caso quello più deteriore, dove di arte se ne vede ben poca e il tutto è gestito da criminali con pochi scrupoli, fra sfruttamento delle ragazze, prodotti censurabili, distribuzione illegale e via discorrendo. Tuttavia, la trama si sviluppa seguendo le storie di 2 fratelli produttori/distributori che si intrecciano quella di un’attricetta bugiarda. Nomination a Cannes nella sezione Un Certain Regard. Ci sono dei buoni momenti, ma certamente non è un granché.

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