giovedì 29 ottobre 2020

Micro-recensioni 361-365: gruppo vario, sostanzialmente buono

Gruppo molto vario in quanto a generi (noir, drammatico, thriller, storia vera, commedia grottesca), ma con prevalenza anglofona. Ognuno ha i suoi pro e i suoi contro, non ci sono film memorabili, ma tutti certamente più che sufficienti.

 

The strange love of Martha Ivers (Lewis Milestone, USA, 1946)

Noto e apprezzato noir nel quale Kirk Douglas è già co-protagonista pur essendo al suo esordio assoluto sul grande schermo, dopo aver debuttato 5 anni prima in palcoscenico a Broadway. Si trova in ottima compagnia visto che i personaggi principali sono interpretati dai “veterani” Barbara StanwyckVan Heflin. Noir in stile abbastanza classico ma non il solito “guardie e ladri”, la trama è divisa in due tempi ben distinti, un prologo con i due adolescenti che saranno poi protagonisti della parte più consistente, quando si incontreranno di nuovo, quasi 20 anni dopo. Nomination Oscar per la sceneggiatura.

Iklimer (Nuri Bilge Ceylan, Tur, 2006)

Nonostante la lentezza estenuante, con dialoghi ridotti al minimo e lunghe inquadrature dei protagonisti immersi nei loro pensieri, il film è ben realizzato e conferma l’attenzione nella composizione delle inquadrature, nella fotografia in sé e per sé e nell’abilità di trovare punti di ripresa originali, giocando molto specialmente sulle profondità di campo. Coppia di professionisti borghesi (professore universitario lui, produttrice televisiva lei) in crisi, ma non solo per differenza di età. Il regista è anche protagonista e la più giovane compagna è interpretata da sua moglie Ebru. Succede molto poco nell’arco di vari mesi, scene allungate a dismisura. Premio FIPRESCI e Nomination Palma d’Oro a Cannes dove Nuri Bilge Ceylan ha riscosso sempre grande successo; con 7 film ha ottenuto 8 Premi e 6 Nomination.

  

In the Name of the Father (Jim Sheridan, Irl/UK, 1993)

Storia drammatica e avvilente, ma le ottime interpretazioni non bastano a farne un gran film in quanto ha i limiti di tanti film del genere, vale a dire storia vera (quindi conosciuta e di conseguenza senza grandi sorprese) alla quale si aggiunge una regia mediocre. È risaputo e riconosciuto che portando sul grande schermo situazioni di ingiustizie e clamorose prevaricazioni vari film - di sicuro cinematograficamente abbastanza piatti - sono arrivati fino agli Oscar. Quindi allo spettatore resta ammirazione per le prove di Daniel Day-Lewis e Pete Postlethwaite (la pur brava Emma Thompson ha parte molto marginale) e un senso di repulsione per i comportamenti di polizia e giudici in questo eclatante caso giudiziario dell’epoca, ma niente di più. Nonostante le 7 Nomination, non ottenne alcun Oscar.

El hombre sin rostro (Juan Bustillo Oro, Mex, 1950)     

Thriller psicologico (nel vero senso della parola) alla ricerca di un misterioso assassino seriale di donne, “l’uomo senza volto” del titolo. Chi gli dà la caccia è un ispettore palesemente turbato e ossessionato dal ricordo della sua defunta madre, che spesso si confronta con il suo amico collega medico legale che gli dà consigli sulla strada da seguire sia per risolvere i suoi problemi, sia per smascherare il killer. Fino alle ultime scene lo spettatore viene spinto a rimanere in dubbio su quale dei due sia il vero assassino … o è un terzo? Sempre affidabile Arturo de Córdova, buona la regia di Juan Bustillo Oro che, oltretutto, nelle scene dei sogni propone inaspettate scenografie che richiamano quelle dell’espressionismo tedesco degli anni ‘20.

Beat the Devil (John Huston, USA, 1953)

Ho ri-guardato per l’ennesima volta questa mediocre dark comedy, quasi fallimentare anche nel vero senso della parola in quanto portò sull’orlo della bancarotta Humprey Bogart, non solo protagonista ma anche produttore. Non bastano i tanti nomi famosi non solo fra gli attori (Jennifer Jones, Gina Lollobrigida, Peter Lorre, …) ma anche nel resto del cast (fotografia di Robert Capa e sceneggiatura di Truman Capote) a salvare questo film diretto da un regista di tutto rispetto: John Huston. A chi si chiede perché continui a guardare Beat the Devil rispondo: per essere stato in gran parte girato in Costiera Amalfitana (che mi azzardo a dire conosco come le mie tasche), con base a Ravello. Molti luoghi, piazze, strade e palazzi sono facilmente riconoscibili, seppur ovviamente oggi vari sono ben cambiati. Alcuni personaggi sono ben pensati e varie situazioni sono abbastanza originali, ma nel complesso la trama non sta né in cielo né in terra.

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