Gruppo con due soli registi, entrambi elementi
di spicco delle rispettive New Wave di mezzo secolo fa, il tedesco Werner
Herzog e il giapponese Yasuzô Masumura. Certamente il primo è più
conosciuto in occidente e si è sempre mantenuto abbastanza al limite dei
prodotti commerciali, spaziando poi anche in pregevoli documentari. Il secondo,
molto meno conosciuto ma apprezzato, ha invece affrontato i generi più di
cassetta ma sempre con un taglio molto personale, differenziandosi nettamente
dal cinema classico giapponese degli anni ’40 e ’50 dei maestri Ozu, Kurosawa,
Mizoguchi, …
Kaspar Hauser (Werner Herzog, Ger, 1974)
Herz aus Glas (Werner Herzog, Ger, 1976)
La ballata di
Stroszek (Werner Herzog,
Ger, 1977)
Questi 3 film appartengono furono girati in sequenza e furono preceduti solo da Segni di vita (1968, Orso d’Argento a Berlino) e il famoso Aguirre, furore di Dio (1972) che portò veramente il regista all’attenzione internazionale e che segnò l’inizio della collaborazione con il suo amico/nemico Klaus Kinski, fino a quel momento relegato per lo più nel campo dei B-movie. A proposito di attori, due di questo trio vedono come protagonista lo straordinario Bruno S. (leggete la sua biografia per comprendere meglio il suo tipo di recitazione), praticamente i suoi soli due veri film. A mio modesto parere, questo (gli anni ’70) fu il periodo migliore e più prolifico di Herzog che continuò con Nosferatu e Woyzeck (entrambi del 1979 ed entrambi con un ottimo Kinski); già il successivo Fitzcarraldo fu troppo commerciale e molto meno “herzogiano”.
Kaspar Hauser narra di un ragazzo con gravi problemi di comunicazione
che apparve misteriosamente in un paesino della Baviera, con una “lettera di
presentazione” fra le mani. Sembra che ci sia più che un fondo di verità in
merito agli eventi - molti dubitano della buona fede del giovane – ma fu un
ottimo spunto per il regista per affrontare il tema della (apparente) diversità.
I dialoghi fra Kaspar e chi cerca di “ammaestrarlo”, indottrinarlo o verificare
le sue capacità logiche sono più che arguti, spesso esilaranti.
Herz aus Glas è senz’altro il più fantasioso e onirico dei film di Herzog,
basti citare il fatto che la maggior parte degli attori recitavano sotto ipnosi
dopo aver memorizzato le proprie battute. Si nota chiaramente l’attenzione del
regista per le riprese naturalistiche, in particolare la prima parte e le
sequenze finali sono spettacolari, e anticipano il suo stile documentaristico.
Viaggiatore attento e instancabile, qui raccoglie riprese di location
straordinarie che includono isolotti (quasi semplici scogli) irlandesi, foreste
svizzere e tedesche, numerosi parchi USA, dall’Alaska a Yellowstone, dal
Wyoming alle cascate del Niagara.
In Stroszek prende più
volte spunto dalla vita reale di Bruno S. pur non volendo assolutamente
metterne in scena una biografia. Il trio protagonista – un eccentrico anziano,
una prostituta e un alcolizzato appena uscito di prigione – lascia la Baviera
in cerca di miglior fortuna negli Stati Uniti. Dal film segue due temi d’interesse
principali: quello sociale (universale) e quello che sottolinea la differenza
fra cultura europea e quella USA. Eccezionale il finale in un piccolo centro
turistico dei nativi americani.
In sostanza, sono tutti film da guardare, con particolare attenzione all’essenza delle storie e alle aspirazioni dei singolari personaggi che le popolano, tutti con sogni spesso al di fuori della loro portata nella società attuale.
Black Test Car (Yasuzô Masumura, Jap, 1962)
Ancora Masumura, stavolta in un
complesso noir a base spionaggio industriale senza regole né morale, tema
simile a quello trattato nel suo precedente Giants and Toys (1958).
I colpi di scena sono tanti e frenetici, fra indiziati, chiarimenti, spie
insospettabili e doppiogiochisti mentre due industrie automobilistiche copiano
modelli sportivi e cercano di fare concorrenza illegale. Fino all’ultimo
istante ci saranno capovolgimenti di fronte, con un finale drammatico ma non
manca la morale. Bel bianco e nero, montaggio rapido, narrazione scorrevole …
classico di Masumura.
The Love Suicides at Sonezaki (Yasuzô Masumura, Jap, 1978)
Deludente, meno incisivo del solito,
forse anche perché adattamento di lavoro teatrale. In questa terzultima regia
di Masumura, a colori, non ho ritrovato il ritmo svelto, i dialoghi
brevi e i twist degli altri suoi film che ho visto. Anche per la fotografia preferisco
il b/n precedente, con interessanti luci e angoli di ripresa alle scene quasi
statiche, solo parzialmente giustificate dai logorroici protagonisti. Certamente
The Love Suicides at Sonezaki non ha niente a che vedere con la Nouvelle
Vague giapponese e tantomeno francese.
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