martedì 6 ottobre 2020

Micro-recensioni 336-340: primo Herzog, una doppia Bette Davis e 3 Roy Andersson

Un gran bel film di Werner Herzog, suo primo lungometraggio, ed un noir/crime non proprio classico, ma più che buono, dominano indiscutibilmente questa cinquina avendo come contendenti tre film del tanto acclamato (secondo me sopravvalutato) e discusso regista svedese Roy Andersson.

Non vi perdete il breve video estratto dal film di Herzog!

 

Segni di vita (Werner Herzog, Ger, 1968)

Ottimo film di Herzog, girato in b/n sull’isola greca di Kos, con l’aggiunta di qualche ripresa a Creta, che vede protagonisti uno sparuto gruppo di soldati tedeschi a guardia di un deposito di munizioni custodito in un vecchio forte veneziano. Il personaggio principale (Stroszek … un caso?) viene tenuto lì in convalescenza dopo essere stato ferito alla testa ma con il procedere della storia si vedrà che “non tutto è andato per il verso giusto”. In questo suo primo lungometraggio, il regista tedesco già mostra vari dei suoi temi e stili preferiti: personaggi particolari, sfide impossibili, presenza significativa di animali, il commento sonoro, attenzione alle location in stile tendente al documentaristico. A tal proposito vi propongo un clip (seconda parte) in cui i soldati di ronda si trovano davanti ad una valle letteralmente piena di mulini a vento … location e musica incredibili, riferimento anche a Don Chisciotte?

Premio come Miglior opera prima e Nomination Orso d'Oro a Berlino, il film è tutto girato magistralmente con una bella fotografia b/n, con pochi attori (non tanto conosciuti) e tante comparse locali, sulla base di una sceneggiatura scritta dallo stesso Herzog, vagamente ispirata al racconto L'invalido folle del forte Ratonneau, scritto nel 1818 di scritto da Ludwig Achim von Arnimennesima dimostrazione del fatto che per produrre buoni film non ci vogliono budget esorbitanti e star, bastano idee, cultura, creatività e il saper dirigere riprese e postproduzione.

Dead Ringer (Paul Hendreid, USA, 1964)

Ottimo film che vede l’antipatica (almeno per la maggior parte dei suoi ruoli) eppur brava Bette Davis nei panni di due gemelle. Appena lette le due righe introduttive, la mente è andata a La otra, film messicano del 1946 di identico soggetto, nel quale la (doppia) protagonista era Dolores del Rio. Quello che non si trova fra i trivia del film hollywoodiano si trova fra quelli del messicano, vale a dire che derivano da una stessa storia creata da Rian James nel 1944. Inoltre, ho appreso che la Warner, che pur aveva acquisito i diritti, rinunciò a produrlo all’epoca in quanto proprio nel 1946 uscì un A Stolen Life (con Bette Davis nel ruolo di due gemelle) e trama troppo simile anche se nella sostanza differente. Ora mi sento quindi "costretto" a guardare di nuovo La otra (visto anni fa, ma lo farò con piacere, IMDb 7,4) per apprezzare la differenza di trattamento nella sua sostanza e la diversa ambientazione fra anni ‘40 in Messico e ’60 in USA. Inoltre penso di recuperare anche A Stolen Life visto che oltretutto vanta un più che onorevole 7,3 su IMDb, alla pari di questo Dead Ringer

Non volendo svelare niente della avvincente trama, mi limiterò a dire che le sostituzioni di persona sono sempre più difficili del previsto.

  

A Swedish Love Story (Roy Andersson, Sve, 1970)

Primo lungometraggio dei soli 6 che Andersson ha diretto nella sua lunga carriera, il successivo Giliap (un flop) uscì 5 anni dopo e poi seguì una pausa di 25 anni fino all'inizio della Trilogia. Questi primi due sono i soli ad avere un minimo di trama, i successivi sono commedie dell’assurdo con tendenze al surrealismo. In breve, si tratta di un innamoramento adolescenziale, con un po’ di bullismo (per rivalità), un po’ di sesso e un po’ di ingerenze da parte degli adulti. Verso la fine, però, già si fa notare la predisposizione all’assurdo del regista che nella scena della festa anticipa stile ed alcuni dei temi che saranno le colonne portanti dei suoi successivi lavori. Pluripremiato a Berlino, guardabile.  

Canzoni del secondo piano (Roy Andersson, Sve, 2000)

Primo pezzo della Trilogia, terzo, quarto e quinto film di Andersson girati a 7 anni di distanza l’uno dall’altro. Atmosfere surreali derivanti da scene assurde, mancanza di colori minimamente vivi (tutti fra le varie tonalità di grigio e di beige), macchina rigorosamente immobile senza neanche una zoomata (ricordo solo una carrellata all’indietro), serie di brevi sketch spesso slegati fra loro, altre volte con personaggi già proposti. Poche volte si sorride, specialmente noi mediterranei che non riusciamo a comprendere quanto sia soffocante e intollerabile la vita routinaria nei paesi nordici, ipoteticamente perfetti ma con noti grandi problemi di alcolismo, depressione e alti tassi di suicidi.

Certamente il regista/sceneggiatore si rende conto di ciò e il suo dark humor tende appunto a ridicolizzare la società scandinava e le fisime dei protagonisti sia in ambito lavorativo che familiare. Premio della Giuria e Nomination Palma d’Oro a Cannes.

You, the Living (Roy Andersson, Sve, 2007)

Secondo elemento della Trilogia dell’esistenza, in stile molto simile agli altri due, quindi più o meno vale quanto appena scritto in merito al precedente. Inutile commentare e/o analizzare i vari sketch, situazioni e personaggi. Premio Un Certain Regard a Cannes.

Il terzo elemento della Trilogia (Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza, 2014), fu Leone d’Oro e con il successivo Sulla infinitezza (2019) ottenne Leone d’Argento per la regia e Nomination Leone d’Oro a Venezia. Per completezza, riporto quanto scrissi in merito al piccione, come si legge, quasi niente cambia:

"Alcune idee sono quasi geniali, ma nel complesso sembra una collezione (mal riuscita) di scadenti sketch, ben lontani dalla media dei Monty Python (ai quali viene spesso paragonato - ndr). Si può apprezzare l'idea di avere alcuni o tutti i personaggi in campo quasi immobili in un quadro fisso e ad accentuare la staticità come ha fatto Andersson appiattendo le scene rendendole quasi monocromatiche, con colori che variano dal beige, all'ocra e al marrone. A ciò si aggiunge la recitazione con tono monotono e spesso un po' lamentoso... e la poco piacevole sonorità della lingua svedese aggrava la situazione. C'è chi ha voluto leggere significati strani (talvolta opposti, quindi qualcuno certamente sbaglia) in alcune scene che, comunque, lasciano un po' perplessi. Per esempio quelle con soldati d’altri tempi (anche con un cavallo) nel bar, quella della scimmia e quella con gli schiavi in quanto (almeno apparentemente) si allontanano più delle altre dal debole e difficilmente individuabile filo logico o conduttore, comunque al limite del surreale. Direi un film non-film, un esercizio cinematografico con qualche pregio e qualche citazione che lo distinguono dalla massa, ma a mio parere non lo elevano a prodotto notevole se non per la sua singolarità." (novembre 2017)

#cinema #cinegiovis

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