sabato 23 maggio 2020

Micro-recensioni 176-180: stavolta 5 film del XXI secolo

Pur consapevole di non aver certo scelto il meglio dei decenni scorsi, mi sono ritrovato a rimpiangere le mie visioni di film sconosciuti del secolo scorso, talvolta mediocri ma quasi sempre ben realizzati ed interpretati. Fra questi 5 si distingue un film russo che sembra non sia mai stato distribuito in occidente.

Pop (The Priest) (Vladimir Khotinenko, Rus,  2009)
Basato su un personaggio reale, il pope (sacerdote ortodosso) Aleksandr Ionin che negli anni della guerra si trovò nella difficile condizione di cercare di limitare i danni per la sua comunità in Lettonia. Questa, occupata dai comunisti russi nel 1940 alla pari delle altre repubbliche baltiche, l’anno successivo fu invasa dai nazisti tedeschi rimanendo poi per vari anni terra di frontiera senza più una propria identità. Alcuni decisero di collaborare con i tedeschi altri divennero partigiani, non tanto pro-russi, ma contro entrambi gli aggressori. Gli ortodossi erano malvisti e talvolta perseguitati dai leninisti e quindi i tedeschi restituirono loro i luoghi di culto requisiti e trasformati dai russi, ma non è che i rapporti fossero proprio idilliaci.
Storicamente e socialmente interessante, tratta di situazioni storiche poco conosciute, con una buona sceneggiatura e notevole fotografia; regia e scenografia non sono da meno.
Merita una visione … lo trovate in rete con sottotitoli in inglese. 

Things We Lost in the Fire (Susanne Bier, USA, 2007)
Sostanzialmente ben sopra la sufficienza pur soffrendo di alcuni cali nella sceneggiatura e di una storia troppo “utilitaristica”. Buone le caratterizzazioni dei numerosi personaggi secondari, meno buono l’uso dei flashback. Ancora una volta è da apprezzare Benicio del Toro, stavolta in un ruolo per lui insolito, si difende bene Halle Berry, affidabile come sempre il caratterista John Carroll Lynch. Un po’ strappalacrime in più punti, si fa comunque guardare grazie anche alla buona regia della Bier.

La trinchera infinita (Aitor Arregi, Jon Garaño, Jose Mari Goenaga, Spa, 2019)
Ennesimo film relativo alla guerra civile spagnola e agli anni del franchismo, che in questo caso tratta di un di coloro che sopravvissero nascosti fino all’indulto emanato in occasione del trentennale (1969) della fine della guerra; storie bene o male viste e riviste. Pur contando su due buoni attori protagonisti come Antonio de la Torre e Belén Cuesta, il film non riesce a coinvolgere, anche perché è spezzettato in avvenimenti che si svolgono nell’arco di una trentina di anni. Momenti e scene cinematograficamente buoni si alternano a situazioni ripetitive e poco credibili. 

En la ciudad sin límites (Antonio Hernández, Spa/Arg, 2002)
Ottimo soggetto, sceneggiatura mediocre, pessima messa in scena. Salvando l’immarcescibile Fernando Fernán Gómez, il resto del cast offre prove scadenti a cominciare dai nomi più noti (almeno nel mondo ispanico) quali Leonardo Sbaraglia e Geraldine Chaplin (figlia di Charlie – Charlot). Dramma familiare fra tradimenti e finanza, con (ancora una volta) l’ombra della guerra civile spagnola. 

Intacto (Juan Carlos Fresnadillo, Spa, 2001)
Mi sono imbattuto di nuovo in Leonardo Sbaraglia, che mi sembra sempre più mediocre, meraviglia la presenza di un gran attore come Max von Sydow (ma si sa che a fine carriera anche molti mostri sacri si concedono a progetti scadenti o insulsi. Intacto si basa su un’ipotesi poco plausibile ma, ammesso e non concesso la si voglia accettare, restano incomprensibili le azioni delle persone coinvolte nel macabro gioco. Non lo consiglio, praticamente ridicolo. 

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