martedì 19 maggio 2020

Micro-recensioni 166-170: noir ottimi e/o particolari

Strane combinazioni … due noir diretti da Julien Duvivier (e sono i suoi più quotati), due con Jean Gabin protagonista, due hanno praticamente la stessa sceneggiatura, solo quello giapponese non ha alcun punto in comune con gli altri.
Panique (Julien Duvivier, Fra, 1946) premio speciale della critica a Venezia
Uno dei tanti ottimi film francesi d’epoca, un noir che tende al thriller, con una interessante sceneggiatura e una esemplare interpretazione di Michel Simon. Il suo personaggio è un uomo misterioso che, seppur molto compito e serio, è malvisto da tutto il vicinato. Dalla semplice idea di allontanarlo dal quartiere, si passa a sospettarlo di un omicidio e il film si sviluppa in un continuo crescendo di agitazione e minacce. Più che apprezzabili anche regia e fotografia. Basato sul romanzo di Georges Simenon (il creatore del Commissario Maigret) il film ottenne il Premio della Critica a Venezia.
Da non perdere … esiste anche versione italiana dal titolo (una volta tanto ben tradotto) Panico.

Pépé le Moko (Julien Duvivier, Fra, 1937)
Si tratta dell’altro famoso noir di Julien Duvivier, che collaborò anche all’adattamento dell’omonimo romanzo di Henri La Barthe. L’ambientazione esotica, fra vicoli della cosmopolita e malfamata casbah di Algeri, contribuì alla fama del film al quale fecero seguito remake e parodie. Il ruolo di Pépé è ovviamente ricoperto da Jean Gabin, Line Noro è la gelosissima gitana, Mireille Balin (star dell’epoca) è l’affascinante ricca straniera, Fernand Charpin l’ambiguo Regis. Pur essendo probabilmente sconosciuti ai più, tutti interpretano più che bene i loro personaggi che ruotano attorno a Gabin il quale, mi sembra, non è all’altezza delle sue migliori prove di genere drammatico come per esempio i successivi La grande illusion (1937, Jean Renoir), Le quai des brumes (1938, Marcel Carné) e La bête humaine (1938, Jean Renoir).
Da non perdere.
Algiers (John Cromwell, USA, 1938)
Altro non è che un pedissequo remake americano del suddetto film francese di grande successo dell’anno prima. Pur non valendo certamente l’originale, come la maggior parte dei remake americani di film stranieri, per il fatto di avere un budget di gran lunga superiore e un cast con tante star ottenne ben 4 Nomination Oscar (Charles Boyer protagonista, Gene Lockhart non protagonista, fotografia e scenografia). A questo seguì 10 anni più tardi Casbah (con Yvonne De Carlo, Tony Martin, Peter Lorre) e infine la parodia italiana Totò le Moko (1949, diretto da Bragaglia) della quale pochi conoscono gli illustri precedenti.
Algiers vanta un notevole cast internazionale nel quale, oltre al francese Charles Boyer, appena trasferitosi negli USA e al suo secondo film oltreoceano, e al canadese Gene Lockhart (entrambi candidati Oscar), ci sono due bellezze dell'epoca quali l’austriaca Hedy Lamarr (all’epoca definita “la donna più bella del mondo”), l’americana Sigrid Gurie e, nei panni dell’imperturbabile ispettore Slimane, il maltese Joseph Calleia (interprete di tanti ottimi noir per lui: The Touch of EvilGildaThe Glass Key, ...). Interessante la caratterizzazione dei personaggi, dai componenti della banda di Pépé ai vari membri della polizia, ai turisti in cerca di avventura.
Rivisto con molto piacere, lo consiglio anche se non vale l’originale.

Intimidation (Koreyoshi Kurahara, Jap, 1960)
Buon noir nipponico, non ambientato nel mondo del crimine organizzato e praticamente senza la presenza di polizia. Si basa quasi esclusivamente su ricatti (vari), palesi o posti sottilmente, nell’ambito di una filiale di banca. Buona e originale la sceneggiatura, regia precisa con ottima scelta dei tempi. Pur essendo ben lontano dal noir “ricattatorio” giapponese per eccellenza, (High and Low, 1963, Kurosawa) ha i suoi meriti e si lascia guardare con interesse. Merita una visione.

Moontide (Archie Mayo, Fritz Lang, USA, 1949)
Co-diretto da due noti registi di noir (anche se Lang è uncredited), è un noir anomalo sia per soggetto che ambientazione. Fu il primo dei due film hollywoodiani di Jean Gabin, entrambi di scarso successo; l’altro (The Impostor, 1944) fu diretto da Duvivier, anche lui fuggito dalla Francia occupata dai nazisti. La trama è debole e conta con varie inutili esagerazioni, c’è tensione solo in pochi momenti e a volte è la parte romantica a prendere il sopravvento. Certamente non memorabile se non per la fotografia (candidatura Oscar) e l’interpretazione di Thomas Mitchell (già Oscar per l’interpretazione del dottore alcoolizzato in Ombre rosse, 1939, John Ford).

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