giovedì 21 maggio 2020

Micro-recensioni 171-175: dal Senegal al Giappone, con due perle europee di mezzo

La caza (Carlos Saura, Spa, 1966) Orso d'argento a Berlino per la regia
Un ottimo film visto solo una volta, una quarantina di anni fa. Pur sapendo come va a finire, mantiene tutta la sua carica drammatica; con questa nuova visione e con una molto migliore conoscenza della storia politica e sociale spagnola rispetto ad allora, risultano molto più evidenti i tanti riferimenti all’era franchista e alla guerra civile. L’abbondanza di simboli, allusioni e similitudini ne fanno quasi un film allegorico.
A chi conosce Saura solo per i suoi famosi film e documentari a tema musicale, ricordo che la sua miglior produzione in quanto a cinema a soggetto è quella precedente quando, nonostante la censura franchista, riusciva a produrre interessanti film polemici e relativamente audaci mascherando le critiche al regime nel simbolismo. Agli stessi ricordo anche che Saura fu pupillo e poi amico di Buñuel che aveva grande stima dell’allievo. Per esempio, quando sospese Simón del desierto propose a Saura di continuarlo e poi nel contratto per La via lattea incluse una clausola nella quale si stabiliva che nel caso fosse impossibilitato a continuare le riprese queste sarebbero state affidate a Saura. Ad un occhio attento non sfugge l’influenza del maestro sull’allievo.
Senz’altro consiglio la visione di almeno questi 3 suoi film degli anni ’70: Ana y los lobos (1973), Cria cuervos (1976, Gran Premio Giuria a Cannes) e Mamá cumple 100 años (1979, Nomination Oscar).

Il diritto del più forte (Rainer Werner Fassbinder, Ger, 1975)
Fra i registi di spicco del Nuovo Cinema Tedesco fu superato per fama e stravaganza sono da Werner Herzog. Dichiaratamente omosessuale, si sposò due volte e nei suoi film comparvero più volte le sue mogli e suoi amanti; esperto in ogni settore del cinema si occupava spesso di molti aspetti oltre la regia ed ha al suo attivo una 40ina di film, in questo è protagonista. Molti suoi lavori affrontano temi forti, a volta scabrosi, come omofobia, razzismo, differenze sociali e dal punto di vista della morale comune sono spesso reputati osceni. Questo Fox and His Friends (titolo alternativo internazionale) si svolge quasi esclusivamente in ambiente omosessuale fra amori mercenari, conquiste, gelosie e tradimenti, tuttavia il tema centrale sono le differenze di classe, di cultura e di potere economico (come sottolineato nel titolo originale). Senz’altro sopra la media, vivamente consigliato a chi non è troppo puritano e bigotto.
Wife! Be Like a Rose! (Mikio Naruse, Jap, 1935)
Classico film di Naruse (1905-69), ottimo regista che ebbe la sfortuna di essere contemporaneo del gran maestro Yasujirô Ozu (1903-63) e di trattare temi comuni, con stile relativamente simile, risultando quindi sempre offuscato dalla sua fama.
Storia ben narrata e da lui stesso adattata a partire da un lavoro teatrale. Una giovane ed indipendente donna di Tokyo che vive con sua madre va a trovare il padre (che le ha abbandonate già da molti anni ed ha una nuova famiglia in campagna) per avere il suo tradizionale consenso alle nozze. Ciò che ognuno immaginava degli altri si rivelerà sbagliato e molti dovranno ricredersi e agire di conseguenza.
Si nota, in positivo, l’origine teatrale della sceneggiatura e dei dialoghi. Se gradite il genere, è un film da non perdere.

La noire de ... (Ousmane Sembene, Sen, 1966)
Dopo aver guardato un paio di mesi fa l’ultimo dei soli 9 film del senegalese Ousmane Sembene (Moolaadé, 2004), ho trovato il suo primo lungometraggio, di quasi 40 anni precedente. Notevole, specialmente in considerazione che si tratti di un esordio, mostra evidenti caratteristiche proprie della Nouvelle Vague francese, tanto in voga in quegli anni. A differenza dell’altro (e della maggior parte dei suoi film) questo si svolge quasi interamente a Parigi dove una giovane senegalese raggiunge la famiglia francese presso la quale già lavorava in Senegal come babysitter, ma ben presto le aspettative della ragazza andranno deluse.
Ben girato e ben fotografato in bianco e nero, evidenzia una regia molto attenta con buone inquadrature, montaggio snello e qualche dettaglio pregevole come la maschera di legno. Interessante visione.

Touki-Bouki (Djibril Diop Mambéty, Sen, 1973)
Di tutt’altro genere quest’altro senegalese, in bilico fra surrealismo e avant-garde, certamente meno incisivo del film di Ousmane Sembene. A volte risulta confuso per mancanza di continuità spazio-temporale e per gli inserti onirici. Apprezzabili tentativo, ma per surrealismo e avanguardia di rilievo ci vuole molto di più.

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