lunedì 20 aprile 2020

Micro-recensioni 126-130: cinema thailandese e ritorno in Iran

Sono rimasto nel sudest asiatico per altri tre film del più famoso regista thailandese di questo secolo, forse di sempre, dal nome difficile perfino da leggere (Apichatpong Weerasethakul), Palma d’Oro nel 2010 e Gran Prix della Giuria nel 2006 a Cannes, e poi sono tornato in Iran per completare la triolgia di Koker del regista Abbas Kiarostami.
Sostanzialmente deludente il tanto acclamato regista thailandese, che già divise critica e pubblico dopo la Palma d’Oro vinta per Uncle Boonmee, molto migliori si sono rivelati i film iraniani girati con pochissimo, fra realismo e documentarismo, praticamente cinéma vérité.
Where is the Friend’s Home? (Abbas Kiarostami, Iran, 1987)
Life, and Nothing More (Abbas Kiarostami, Iran, 1992)

Dopo aver guardato Through the Olive Trees la settimana scorsa, scoprii che era l’ultimo elemento di una trilogia, detta di Koker che è il villaggio nel nord dell’Iran nei quali si svolgono i fatti. Lo stesso regista deve spesso ripetere che non era sua intenzione produrre tale trilogia in quanto, pur essendo tutti legati l’uno all’altro, i secondi due film sono indissolubilmente connessi con il terremoto del 1990, evento certamente non prevedibile nel 1987 quando fu girato il primo dei tre, Where is the Friend’s Home?
In breve ecco le semplici storie e i loro punti in comune. Si comincia con una specie di road movie … ma a piedi. Il piccolo Ahmed (8 anni) aiuta un suo compagno di classe a rialzarsi dopo una caduta e distrattamente mette il suo quaderno nella propria cartella. Se ne accorge solo a casa e, memore delle minacce del professore di espellere chi non avesse fatto i compiti sul quaderno, vaga fra il suo villaggio (Koker) e il vicino Toshen cercando la casa del suo amico per restituirgli il quaderno, incontrando personaggi di vario tipo e interagendo soprattutto con anziani ognuno dei quali ha una sua filosofia di vita.

Al contrario, il secondo è un vero e proprio road movie visto che narra del complicato viaggio del regista (impersonato da un attore) e suo figlio da Teheran a Koker, fra strade polverose di montagna e (veri) paesini in macerie dopo il terremoto. Fra finzione e documentario, Kiarostami descrive personaggi anonimi ma molto reali, che cercano di recuperare le loro poche cose e di sopravvivere in qualche modo. Stupisce la seraficità, la tranquillità e la rassegnazione (ma non disperazione) dei sopravvissuti al terremoto, una lezione di filosofia di vita. Il motivo del viaggio è quello di andare a cercare i bambini che erano stati gli interpreti di Where is the Friend’s Home?. Verso la metà del film c’è poi una scena che avevo già visto ripetuta pressoché identica nel successivo Through the Olive Trees, interpretata dallo stesso attore, davanti alla stessa casa. Tuttavia, nel secondo caso interpreta un attore che sta girando un film, mentre qui interpreta sé stesso, moglie e uomo seduto davanti alla casa invece cambiano.
I tre film hanno in comune dei perfetti e significativi campi lunghi con inquadrature fisse, della durata di vari minuti, che ben descrivono il “viaggio” dei protagonisti … nel primo il ragazzino che corre sul sentiero zigzagante da un paese a l’altro (vedi poster), nel secondo la Renault 5 che avanza, si ferma, torna indietro lungo i tornanti di una ripida strada sterrata, nel terzo la scena finale del pretendente che segue la ragazza e corre fra i campi al di là degli ulivi.
Mi sento di condividere assolutamente il consiglio letto in un commento relativo a Through the Olive Trees, di guardare gli altri due della trilogia per comprendere appieno la storia e i suoi personaggi.
Tropical Malady (Apichatpong Weerasethakul, Thai, 2004)
Sindromes and a Century (Apichatpong Weerasethakul, Thai, 2006)
Uncle Boonmee (Apichatpong Weerasethakul, Thai, 2010)

Come anticipato, lo stile e i contenuti di Apichatpong Weerasethakul non mi hanno per niente convinto e quindi mi associo senza dubbio ai tanti che lo hanno criticato, anche aspramente, dopo aver vinto la Palma d’Oro. I tre film che ho guardato, oltre a ottenere premi a Cannes e ad altri Festival, furono anche inseriti fra i migliori 10 dell’anno dalla prestigiosa rivista Cahiers du Cinéma.
Temi in comune e ricorrenti sono spiriti, reincarnazione, buddismo e militari. Già nel primo si nomina Uncle Boonmee che ricorda le sue vite precedenti, fino a 200 anni prima, proprio come il personaggio che dà il titolo al suo film più famoso. Tropical Malady ha una struttura a dir poco anomala in quanto unisce due storie ben distinte (una infatuazione gay e un soldato disperso nella foresta) che però hanno la stessa coppia di interpreti principali, ma non nei panni degli stessi personaggi. Il regista contesta il titolo internazionale in quanto la traduzione letterale sarebbe "Strange Animal".
Il secondo è ispirato alla vita dei genitori del regista, con molte scene ripetute ma in luoghi differenti e con alcuni personaggi diversi … ma non è certo il Buñuel di L’angelo sterminatore. Anche questo scorre lentamente, senza nulla di veramente interessante anche se i dialoghi non sono proprio malvagi.
Il terzo, Palma d’Oro nel 2010, miglio film dell’anno, quarto dell’intero decennio secondo Cahiers du Cinéma tratta non solo del tema della reincarnazione (richiamato nel titolo) ma anche degli spiriti dei parenti morti (nella fattispecie moglie e figlio del protagonista). Il regista dimostra una buona abilità nel filmare nella foresta e in ambiente naturale, ma non convince come sceneggiatore non tanto per i dialoghi ma la nel complesso.

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