venerdì 10 aprile 2020

Micro-recensioni 111-115: 5 film iraniani

Torno temporaneamente alle cinquine in quanto sia questa che le prossime saranno monografiche di cinematografie poco distribuite in occidente. Comincio con l’Iran, seguirà la Turchia.
Le sceneggiature dei primi due di questi cinque film, entrambi di Abbas Kiarostami, sono indissolubilmente legate alla cinematografia e al centro del primo c’è la figura del regista del terzo, che ivi compare, seppur brevemente, come sé stesso. Ma andiamo per ordine.

Close-Up (Abbas Kiarostami, Iran, 1990)
Abbas Kiarostami è l'autore (regia e sceneggiatura) di questo film strano per quanto geniale, fra documentario e cinema verità, basato su eventi reali e con molti dei veri protagonisti degli eventi narrati. Hossain Sabzian è un giovane più o meno senza ne arte né parte, appassionato di cinema, che viene spesso scambiato per il regista Mohsen Makhmalbaf, che l'anno precedente era diventato famoso in tutto il paese con il suo film Il ciclista. Su un autobus, risponde affermativamente ad una signora che gli chiede se fosse proprio il regista. Presentato alla famiglia, finge di voler utilizzare la casa come location di un suo prossimo film. Ma gli altri familiari, marito e due figli adulti, cominciano ad avere qualche sospetto, coinvolgono un giornalista e il millantatore viene arrestato e mandato a processo. Non è mia abitudine focalizzarmi sulla trama, ma in questo caso è necessario per evidenziare la particolarità del film e comunque ho trattato solo la prima metà della storia.
Delle riprese in tribunale, i primi piani (close-up) dell’imputato e dei querelanti sono quelli veri, solo il giudice (in controcampo) è interpretato da un attore. Questa parte è quindi documentaristica e molto interessante psicologicamente in quanto il finto regista spiega sinceramente le sue sensazioni sentendosi qualcuno ed essendo rispettato e creduto. E si pone la domanda: nel corso delle sue visite alla famiglia, discutendo del futuro film, era regista o attore.? Film scarno, essenziale ma portato avanti molto bene con tanti non professionisti che, avendo il vantaggio di interpretare sé stessi, sono assolutamente credibili. C’è anche lo spazio per il dettaglio cult della bomboletta che rotola.

Through the Olive Trees (Abbas Kiarostami, Iran, 1994)
Il secondo film, anche questo diretto da Kiarostami, si sviluppa secondo due vicende quasi parallele su un set cinematografico. Nel corso delle riprese di un film realistico, con attori scelti fra gli abitanti di in un paesino quasi completamente distrutto da un recente terremoto, i due giovani protagonisti sono sposati ma nella realtà hanno un rapporto molto difficile. Lui la corteggia insistentemente ma con poco successo, lei lo ignora, anche spinta da sua nonna che è nettamente contraria. Ben realizzato, interessanti i rapporti non solo fra i giovani ma anche con il resto della troupe e con gli abitanti. Notevole l’interminabile campo lungo conclusivo. Ennesimo buon film realizzato con quasi niente. IMDb 7,8 * RT 80%, Nomination Palma d’Oro a Cannes.
The Silence (Mohsen Makhmalbaf, Iran, 1998)
Ho poi guardato Il silenzio anche spinto da curiosità per aver apprezzato il precedente Gabbhe (1996) dello stesso regista (quello con il sosia in Close-up). Questo mi ha deluso per avere una sceneggiatura senza né capo né coda e poco plausibile, ma devo riconoscere che la fotografia, i colori e la composizione delle inquadrature sono ottime. Continuo a preferire Gabbhe.

Killing Mad Dogs (Bahram Beizai, Iran, 2001)
Un crime drammatico che non ti aspetti, che vede come protagonista una donna che da sola affronta delinquenti di vario genere per cercare di salvare il marito dalla bancarotta. Succede di tutto e di più in una sequela di inganni, minacce, violenza, pedinamenti e qualche colpo di pistola, fino ai colpi di scena finali. Ritmo serrato, con sorprese e tensione, visto che parte delle trappole tese e degli inganni vengono anticipati allo spettatore ma non sono a conoscenza della ignara protagonista. 

Fireworks Wednesday (Asghar Farhadi, Iran, 2006)
Infine Farhadi, probabilmente il regista più noto e acclamato in occidente, che con About Elly (2009), Una separazione (2011) e Il cliente (2016) ha vinto tanti premi fra i quali vari a Cannes e Berlino, nonché un Oscar e una Nomination per la sceneggiatura.
Chi sperava che prima di questi avesse scritto e diretto film non con le sue solite, ripetitive situazioni di accese controversie coniugali, ma con temi diversi, sappia che non è così. Terza delle sue sole 8 regie, Fireworks Wednesday è un litigio quasi continuo, di una solita coppia della media  borghesia, nella quale si trova coinvolta una ragazza chiamata tramite agenzia per le pulizie, tanto onesta e volenterosa quanto sprovveduta intrigante e bugiarda. Come negli altri film, viene sempre evidenziata l'eterna insoddisfazione di chi vive in modo agiato, opposta alla semplicità dei meno abbienti, più sereni nonostante i loro maggiori problemi, e il contrasto fra chi vive in modo più "occidentale" e quelli che rispettano di più religione e tradizioni. Nessuno dei protagonisti attira su di sé simpatie, né i coniugi che agiscono quasi sempre in preda alla rabbia, fra sospetti, accuse, ripicche e bugie, né la giovane ragazza che, pur avendo più di un’occasione per defilarsi elegantemente, resta al centro della scena peggiorando spesso la situazione. 
Come per gli altri succitati film, si può affermare che si tratta di un buon pezzo teatrale con ottime interpretazioni, ma a questo punto sembra che, visto un Farhadi, li hai visti tutti. 

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