venerdì 22 febbraio 2019

14° gruppo di 5 micro-recensioni 2019 (66-70)

Per questo gruppo non ho avuto dubbi nell’ordinare il film per preferenza, anche se avrei potuto concedere un pari merito ai primi due. Fra le tante strane coincidenze che non mi stanco di notare, c’è quella di situazioni ricorrenti di bambini più o meno abbandonati , 3 su 4 nelle visioni 65-68, tutti film più che buoni:
65 Tsotsi (lattante trovato in auto e temporaneamente “adottato” )
66 Cafarnao (bambino fuggito di casa che si prende cura di un poppante)
68 Record of a Tenement Gentleman (bambino abbandonato dal padre)
Ecco le 5 nuove recensioni:
        

68  Record of a Tenement Gentleman (Yasujirô Ozu, Jap, 1947) 
tit. or. “Nagaya shinshiroku”; tit. it. (tv) “Note di un inquilino galantuomo”  
con Chôko Iida, Hôhi Aoki, Eitarô Ozawa * IMDb  7,9  RT 100%
Film poco conosciuto di Ozu, il suo primo del dopoguerra dopo 5 anni di sosta forzata, l’ultimo era stato Chichi ariki (C’era un padre, 1942), con Chishû Ryû (1906-1993, 243 film in carriera) come protagonista. Anche in questo film, seppur in un ruolo secondario, compare questo eccellente attore che sarebbe poi stato protagonista di tanti altri film di Ozu degli anni ’50, fra i quali il famosissimo Tokio Monogatari, che si trova nella parte alta di quasi tutte le classifiche dei migliori film di tutti i tempi.
Seppur classificato come dramma, Record of a Tenement Gentleman è invece una commedia drammatica leggera con finale commovente, con una splendida descrizione per immagini dei due personaggi principali: una vedova un po’ scorbutica e un ragazzino abbandonato (forse) dal padre. L’arrivo del bambino nella piccola comunità crea scompiglio in quanto tutti lo vogliono aiutare, ma nessuno è disposto a prendersene cura personalmente. Le scene della donna che tenta di “liberarsi” del ragazzo che la segue a pochi passi di distanza come un randagio che ha scelto il suo padrone sono eccezionali grazie anche all’atteggiamento placido ma deciso del bambino paffuto che non parla quasi mai, con uno strano cappellino in testa e con le mani in tasca. Anche la scena della “riunione di condominio” che termina con una improvvisata esibizione canora al ritmo di chopstick è memorabile.
Ovviamente, non mancano i panni stesi (in questo caso significativi) e tanti tatami shots, le riprese dal basso in interni, un vero marchio di fabbrica di Ozu.
Un eccellente piccolo film (nel senso che è prodotto con molto poco e dura appena 71 minuti) che non a caso è stato restaurato e inserito dalla Criterion Collection.

66  Capharnaüm (Nadine Labaki, Libano, 2018) tit. it. “Cafarnao”  
con Zain Al Rafeea, Yordanos Shiferaw, Boluwatife Treasure Bankole  
Nomination Oscar miglior film in lingua non inglese  *  3 Premi (fra i quali quello della giuria) e Nomination Palma d’Oro a Cannes per Nadine Labaki * IMDb  7,3  RT 81%
Quarta regia di Nadine Labaki, che si fece conoscere una dozzina di anni fa con il suo film d’esordio Cararamel (2007), conta una decina di interpretazioni come attrice (in questo è l’avvocato). Film dichiaratamente social-politico nel quale ai temi femministi già trattati dalla regista (personalmente impegnata in politica) si aggiungono quelli dell’infanzia abbandonata e maltrattata, il traffico di esseri umani, spose bambine e migranti.
Non ci vuole molto a immaginare la drammaticità della trama e che ovviamente non può approfondire molto data la varietà e la complessità dei temi trattati, ma riesce comunque a mettere in relazione fra loro molti di essi.
Ottima l'interpretazione del protagonista Zain Al Rafeea e anche di Boluwatife Treasure Bankole (anche se, avendo pressappoco un anno, molto merito deve essere ascritto a chi ne aveva cura). Quest'ultima (una bambina anche se nel film interpreta Yonas, un bambino) è nata in Libano, ma poi espulsa e mandata in Kenya con la madre; Yordanos Shiferaw, che nel film interpreta sua madre, è eritrea e fu effettivamente arrestata nel bel mezzo delle riprese e ci vollero 2 settimane prima di ottenerne il rilascio; Zain è un rifugiato siriano. 
La sceneggiatura è senz'altro apprezzabile per il modo in cui riesce a combinare tanti argomenti scottanti e, pur proponendo storie e situazioni "esemplificative",  a non eccedere né in buonismo né in violenza ... direi è abbastanza bilanciato. La conclusione vagamente ottimista stona un po', ma sperare in un mondo migliore non costa niente e quindi vale la pena farlo.
Ho trovato talvolta eccessivo l’uso della steadicam associato a un montaggio troppo rapido, che dà sì una buona idea di agitazione e caos, ma non concede abbastanza tempo agli spettatori di apprezzare le reazioni dei tanti personaggi coinvolti. Le riprese a spalla sono comunque le più utilizzate nel film, intervallate da pochi sguardi sulla città mediante belle e significative riprese, alcune delle quali da drone (che ricordano molto quelle di Slumdog Millionaire).
Film senz'altro consigliato, ma i più sensibili si preparino ad uscire dalla sala o con fazzoletti inzuppati di lacrime e/o indignati e con un diavolo per capello.
In ogni caso, l'ho trovato senza dubbio migliore dell'altro suo concorrente finora visto: Shoplifters di Hirokazu Koreeda (gli fu preferito per la Palma d'Oro a Cannes e tratta argomento molto simile, la sopravvivenza degli invisibili).
Considerazione: nel caso in cui Roma dovesse vincere l'Oscar come miglior film, non mi meraviglierei se, dati i temi trattati e la comunque più che buona qualità del film, oltretutto diretto da una donna (una delle poche candidate di quest'anno), a Cafarnao fosse assegnato quello come miglior film non in lingua inglese ... pur essendo un evidente controsenso. 

     


67  Woman of the Lake (Yoshishige Yoshida, Jap, 1966) tit. it. “Onna no mizûmi” * con Mariko Okada, Shigeru Tsuyuguchi, Tamotsu Hayakawa * IMDb  7,4  RT 90%p
Ottima la prima ora, poi Yoshida si perde per qualche decina di minuti nelle lunghe scene su una spiaggia con dei relitti mentre si gira un film e infine si riprende per la conclusione.
I soliti apprezzatissimi sezionamenti dell’inquadratura, bianco e nero spesso molto contrasto, sempre brava Mariko Okada. Ottima la fotografia grazie anche alle sapienti scelte dei punti di ripresa, mai casuali o banali.
La bellezza delle immagini, tuttavia, non compensa totalmente la debolezza della trama che si sviluppa fra tradimenti, amanti e ricatti, con tutti i protagonisti che si comportano in maniere che appaiono un po’ insensate.
Yoshishige Yoshida (aka Kiju Yoshida) è senz’altro uno dei più rappresentativi registi della nouvelle vague giapponese, purtroppo poco conosciuti per mancanza di adeguata distribuzione. Fatto un rapido controllo, ho visto che pochissimi suoi film sono giunti in Europa, se non in Francia e uno o due altri paesi a turno. Finora ho guardato 7 suoi film e nessuno di essi mi ha deluso e certamente un paio mi hanno entusiasmato.
Visione consigliata, ma sappiate che il regista ha fatto di meglio.


70  Persepolis  (Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud, Fra, 2007) * animazione * IMDb  8,1  RT 96% * Nomination Oscar; 2 Premi e 2 Nomination a Cannes
Dopo molte titubanze, mi sono deciso a guardare Persepolis. L’ho trovato interessante dal punto di vista grafico per esprimersi con poche decise linee e disegni molto contrastati, quasi privi di grigi, anche se poco vario e spesso minimalista. Al contrario, la protagonista (la stessa regista trattandosi di storia autobiografica) mi è apparsa insopportabile, pur avendo più volte ragione non ispira nessuna simpatia per i suoi atteggiamenti arroganti, di sfida, esageratamente ribelli e chiaramente controproducenti se non addirittura pericolosi per lei e per gli altri.
Perfetto esempio di eterna insoddisfatta, esatto contrario della da lei adorata nonna che riesce ad adattarsi alle situazioni contingenti senza troppe rinunce e vive certamente in modo più sereno. Chissà se veramente nella vita reale è ancora così o, dopo il successo, si è data una calmata.
I doppiaggi nelle varie lingue sono stati affidati ad attrici e attori di primo livello come per esempio vari Catherine Deneuve, Gena Rowlands, Chiara Mastroianni, Sean Penn, ...
Secondo me sopravvalutato, sono convinto che i giudizi siano stati molto condizionati dall’argomento trattato.

69  Always Outnumbered  (Michael Apted, USA, 1998) tit. it. “Vite difficili” * con Laurence Fishburne, Daniel Williams, Bill Cobbs * IMDb  7,3  RT 81%
Film “inutile”, con tante buone intenzioni morali, ma inconcludente. Mette insieme storie diverse, che tuttavia non riesce né ad amalgamare, né ad analizzare a dovere, né a concludere effettivamente. Le scene che (nelle intenzioni) dovrebbero avere più presa sul pubblico sono troppo artefatte, poco credibili.
Pur contando su un discreto cast, Michael Apted non riesce ad andare al di là della contrapposizione fra quelli “in fondo buoni” e i violenti a tutti i costi. Ne potete fare senz’altro a meno.

IMPORTANTE: vi ricordo che dal 2 aprile il mio GOOGLE+ sarà chiuso e che, di conseguenza, le raccolte degli anni 2016-2018 non saranno più accessibili. Tutte le 1.300 micro-recensioni sono ora organizzate in 26 pagine del mio sito www.giovis.com e facilmente rintracciabili grazie all’indice generaleIn detta pagina potrete effettuare ricerche per titolo, regista, interpreti principali, anno e paese di produzione e, utilizzando i link e i numeri d’ordine, giungere rapidamente a quella che vi interessa.

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