Grazie alla mia
amica Pabla, anche lei infetta seppur non ancora in fase avanzata quanto me che
sono malato terminale, ho appreso di questa mia ennesima infermità - la Sindrome dell’eterno viaggiatore - che
si va ad aggiungere alle altre sia fisiche che mentali delle quali ero già a
conoscenza.
El sindrome del eterno viajero è un piacevole e interessante cortometraggio realizzato nel 2013
da Lucía Sánchez e Ruben Senõr che ne illustra abbastanza chiaramente sintomi e
conseguenze e ci informa che a tutt’oggi non c’è cura conosciuta. La cosa non è
che mi dispiaccia più di tanto poiché, come è scritto alla fine del video, “E’
una malattia … che ti salva la vita”.
Pur essendo in spagnolo
con sottotitoli in inglese credo che fra l’uno e l’altro tutti potranno capire
abbastanza e anche perdendo parte del contenuto restano le immagini che scorrono
in modo molto fluido e piacevole. Vale la pena di guardarlo https://www.youtube.com/watch?v=7dKGcg_jBhw#t=760
Ecco qualche frase stralciata
dai testi:
- Devo tornare a perdere la nozione del tempo,
che ogni giorno della settimana sia lo stesso, non sapere che mese è. E’
incredibile, ma succede.
- Il bello dello stare lontano da ciò che
conosco è che ad ogni passo mi aspetta qualcosa di nuovo.
- Sono qui in questo posto alieno, adesso, e
probabilmente non ci tornerò più. Devo assaporare ogni momento e
ricordarlo per molti anni.
- La Sindrome è la sensazione di non essere a
proprio agio in nessun posto perché si vorrebbe essere da un’altra parte.
- Abitudini diverse che al principio mi
sorprendono, le stesse alle quali mi abituo in poco tempo e faccio mie.
- La mia casa è qui, dove sono adesso. Non ho
bisogno di vivere tanto tempo nello stesso posto per potermi integrarmi
- Sono in patria faccio di tutto per staccarmi
da tutto, sono a 10.000km di distanza e mi piace essere in contatto,
sapere che succede lì e raccontare cosa faccio qui. Parlo di più con i
miei amici stando a 10.000km di distanza che stando a due isolati
Sono in generale
abbastanza d’accordo sulla descrizione generale della Sindrome avendo oltre 40
anni di viaggi sulle spalle e mi rendo conto che i sani (nel senso di non
infetti) non ci capiscono, probabilmente non ci possono capire.
Non comprendono la
nostra facilità ad adattarci a ritmi, climi, culture, cibi diversi e a sentirci
a casa (= dove dormirò stanotte) in qualunque parte del mondo.
E anche se talvolta
torno negli stessi luoghi so che è impossibile ricostruire la stessa atmosfera
(persone, luce, suoni, odori, …), ma non cerco una irrealizzabile replica bensì
ulteriori esperienze. Non posso mettere a confronto le sensazioni vissute a
Città del Messico nel 1984 con quelle del 2011,
o paragonare la Parigi degli anni ’70 e quella del 2012. Tutte molto più
che soddisfacenti al di là delle loro diversità. Solo il nome della città resta
uguale (talvolta).
Fra le tante
affinità di pensiero con gli autori del video, mi hanno particolarmente
divertito i commenti in merito all'impellenza di evitare i connazionali … come
se fossero degli appestati, in particolar modo se sono turisti e non
viaggiatori. Non si va a migliaia di chilometri di distanza per parlare delle
stesse cose e nella propria lingua!
Sacrosanto dogma
per i viaggiatori, che non sono quelli che mangiano pizza o pasta alla
carbonara (che quasi dovunque all'estero fanno con la panna e non hanno idea di
cosa sia il pecorino) per poi lamentarsi della scarsa qualità. Ma questo vale
per i turisti americani che si fiondano nei McDonalds e Starbucks, per i
tedeschi che ordinano wurstel, gli inglesi con i loro sandwich, patate fritte
con qualunque cosa e, ovunque nel modo, a fine pasto un cappuccino (semplicemente
disgustoso) ignorando tutte le delizie del palato locali, fresche e ben
preparate che non troveranno mai da nessuna altra parte.
E anche per quanto
riguarda voler essere in un altro posto sono d’accordo, ma ci tengo a
sottolineare che non è perché si è scontenti, tutt'altro. Si gode dell’esperienza
che si sta vivendo proprio perché si sta bene già si pensa alla prossima.
Probabilmente
ritornerò sull'argomento con altri commenti, aforismi, qualche storia vissuta …
Un "turista" non può capire un "viaggiatore", è una questione di confini: mentali e fisici.
RispondiEliminaMentali perché se al posto del "chai" o del "mate" vuoi assolutamente una Coca, l'haggis ti inorridisce ma mangi trippa e dimentichi da dove viene l'uovo di tua zia Carmela, togli il cappello in chiesa ma ti rifiuti di togliere le scarpe in un tempio buddista... il problema è di un marcato confine mentale. O timidezza intellettuale.
Fisici perché avrai sicuramente visto in aeroporto, o alla stazione ferroviaria, valigioni da ben oltre 30kg accompagnare turisti per due settimane di mare in un villaggio vacanze all-inclusive, ecco, portarsi dietro una casa ti limita fisicamente i movimenti! non puoi assolutamente prendere un bus scolastico al volo (Zia Lucy ha da dirne al riguardo), non puoi fare una fuga di 15 minuti prima della partenza del treno per vedere quell'artigianodietrol'angolochefacosemeravigliose. Idem col villaggio vacanze: capisco quella sensazione di pseudosicurezza data da un omino della sorveglianza al cancello d'ingresso, come comprendo la comodità di trovarsi tutto pronto, servito e riverito ma dopo il II giorno di "piattume" io impazzirei, non riuscirei a sopportarlo. Com'è fuori? che film vedono i locali? com'è la città all'alba? lo sport che praticano? il mercato?!?! IL MERCATO! come si fa a non andare ad un mercato locale? cosa mangiano i locali? qual'è lo snack?
Andrebbero educati da piccoli...