A parte il riferimento cinefilo a Five Easy Pieces (aka 5 pezzi facili, 1970, di Bob Rafelson, con Jack Nicholson e Karen Black, 4 Nomination Oscar), film da recuperare per chi non l’avesse visto, si tratta veramente di un gruppo fuori del comune, penso siano pochissimi quelli che ne hanno visto anche solo uno. Ci sono due film argentini, uno molto singolare al limite dello sperimentale (pluripremiato, 4h, con budget di 33.000$) e un adattamento di apprezzato dramma politico teatrale del 1940; gli altri 3 sono spagnoli, con un melodramma musicale prodotto da Buñuel nel 1935 e due documentari, il primo del 1980 ritirato dalla circolazione per (scandalosa) sentenza del Tribunal Supremo e l’altro del 2013 che lo analizza.
Historias extraordinarias (Mariano Llinás, Arg, 2008)
Film
sperimentale, praticamente sconosciuto al di fuori dell’Argentina anche se è
stato presentato a vari festival, compreso quello di Torino; ma quale
distributore si azzarderebbe a proporre un film di 4 ore, privo di alcun nome
di richiamo? Prodotto a dir poco fuori di ogni canone, con tre storie veramente
parallele (non hanno punti in comune), ognuna con un diverso protagonista senza
nome (H, Z e X). Senz’altro singolare, con tanta voce fuori campo che però è
sempre connessa con le immagini; si ha l’impressione di ascoltare un audiolibro
con immagini. Non so se questa fosse l’intenzione originale del regista (e
interprete, Mariano Llinás è X) o è stata una brillante soluzione dopo
che una società di produzione per il suo progetto iniziale aveva preventivato “70
attori, 60 location, 10 settimane di riprese e 100 viaggi nella provincia di
Buenos Aires”, e sottolineava anche problemi irrisolvibili quali “presenza di
leoni, viaggi in Africa, scene belliche, esplosioni, sequenza nautiche, un’inondazione
e incendi”! Tutto risolto dal genio del regista-sceneggiatore con cast ridottissimo
ed intercambiabile e mediamente soli 4 tecnici. Sono così bastati 33.000$,
anche grazie a alcuni alloggi e pasti offerti e a quelli che hanno prestato la
loro opera gratuitamente.
Venendo al film, si narrano tre storie, più che straordinarie, misteriose, che si sviluppano on the road (e in parte su un fiume) alla ricerca di qualcosa che i protagonisti non conoscono, ma che non riescono a levarsi di mente.
Rocío (Fernando Ruiz
Vergara, Spa, 1980)
El caso
Rocío (José Luis Tirado, Spa, 2013)
Li tratto insieme
essendo in strettissima relazione. Il primo fu un’indagine abbastanza
approfondita sul pellegrinaggio e festa del Rocío, che porta alla luce
ciò che c’è dietro in termini di potere, denaro e politica, non si tratta solo
di religione (forse in concreto il punto di vista meno importante). Attraverso
molte brevi interviste ad abitanti, hermanos mayores delle cofradías
(priori delle confraternite), antropologi e storici, presenta un quadro non
sempre lusinghiero e ciò lo portò in tribunale. Vergara rientrò in
Spagna dopo vari anni spesi in Portogallo, lasciando il suo paese franchista
per partecipare alla rivoluzione dei garofani (1974) con la quale ebbe inizio
il vero dopo-Salazar. All’uscita del documentario, in piena transizione, si
formarono subito movimenti di tipo assolutamente opposto che ricalcavano le
idee dei vecchi falangisti e repubblicani della guerra civile. In una delle
interviste un anziano (testimone oculare) racconta di un massacro a sangue
freddo di 100 persone ad Almonte (dove si trova il Santuario de la Virgen
del Rocío), facendo nome e cognome del mandante. Pur essendo quest’ultimo
già deceduto all’epoca del documentario, i discendenti chiamarono a giudizio
regista, sceneggiatrice e chi aveva denunciato il fatto. La questione si
risolse con il verdetto del Tribunal Supremo che intimò di tagliare le scene
incriminate, ma il regista rifiutò e la pellicola fu proibita in Spagna. Sconsolato,
il regista onubense (nativo di Huelva, capoluogo della provincia, a
pochi km da Almonte) tornò in Portogallo, dove morì nel 2011, e non produsse
più alcun documentario.
Il successivo El caso Rocío spiega, e in alcuni casi critica, le vicissitudini del documentario prodotto 33 anni prima, riproponendo alcune immagini dello stesso commentate da antropologi, cineasti (molti suoi amici portoghesi che avevano collaborato alle riprese e poi al montaggio, l’avvocato che lo difese in giudizio e la sceneggiatrice, ma ci sono anche spezzoni di un’intervista allo stesso Vergara realizzata qualche anno prima. Si assiste a scene incredibili di uomini in trance di fanatismo religioso che si accalcano e lottano per essere fra i primi portatori della statua della Virgen; impressionano anche le immagini di bambini terrorizzati e singhiozzanti, alcuni dei quali ancora lattanti, passati di mano in mano sulle teste della calca per farli giungere a toccare la statua. Nella festa laica si superano tabù come quello dell'abbigliamento delle donne che vestono in modo più provocante (quasi scandalizzando la troupe portoghese) e del coinvolgimento degli omosessuali ai quali è consentito partecipare alle danze. Tuttavia, centinaia di migliaia di persone si uniscono alla festa (complessivamente circa un milione) solo per la parte più folklorica, attratti dai canti e balli tradizionali, con i partecipanti (specialmente le donne) nei classici sgargianti vestiti andalusi, e dalle sfilate di cavalli bardati e carri addobbati. Tutto ciò dura una settimana mentre solo poche ore sono dedicate alla parte religiosa, anche se dalle connotazioni piuttosto pagane.
Se il primo si può anche guardare da solo, per il secondo è quasi indispensabile aver guardato l’originale. I due documentari si trovano su YouTube, quello del 2013 in HD 1080p.
Un guapo del 900 (Leopoldo Torre Nilsson, Arg, 1960)
Ci sono arrivato
poiché diretto dallo stesso regista di La caìda (1959), inserito
nel gruppo precedente. Oltre al 7,1 su IMDb, mi ha intrigato il titolo (in
Argentina guapo equivale al nostro guappo, e non bello
come in spagnolo) e anche un lungo articolo che descrive nei dettagli la
situazione politica a Buenos Aires nel 1940, quando ci fu la prima dell’omonimo
lavoro teatrale. Si mette in risalto la commistione fra politica e malavita.
Anche all’epoca i politici di turno non solo tolleravano questo tipo di tirapiedi
ma li usavano pure a scopo intimidatorio e talvolta venivano da questi visti
come oggetto di devozione. Nel film il protagonista agisce spontaneamente per
lavare l’onore del “padrone” e anche quando è arrestato tace per non
comprometterlo. Da un lato e dall’altro si va avanti per questioni di onore,
effettive e sentite o solo di facciata. Interessante soggetto, ben sviluppato.
La hija
de Juan Simon (José Luis Sáenz de Heredia, Spa, 1935)
Uno dei film attribuibili a Buñuel, ma nei quali lui appare solo come produttore per la Filmofono della quale era comproprietario. Il protagonista è il cantante Angelillo che poi sarà anche la star nel successivo ¡Centinela, alerta! (1937) con Buñuel notoriamente riconosciuto come co-regista, mentre Sáenz de Heredia (regista di questo film) compare come attore. Praticamente un gruppo che sfornò film commerciali (spesso musicali) fino agli anni della Guerra Civile. Quanto detto giustifica l’andamento rapido del melodramma che copre almeno un lustro e include varie performance di Angelillo, oltre a uno sfrenato flamenco di Carmen Amaya, la più famosa bailaora de flamenco di tutti i tempi. In effetti compare solo in quella scena (svolta fondamentale nella trama), e quindi il suo nome in bella evidenza sulle locandine fu inserito solo quale specchietto per allodole. Questa fu la sua prima apparizione sul grande schermo e voglio aggiungere questo clip tratto dall’ultimo film nel quale apparve (Los Tarantos, 1963, Nomination Oscar), morì pochi mesi più tardi; osservate cosa riusciva ancora a fare a 50 anni, l’impressionante velocità di braccia, gambe e piedi furono sempre sua caratteristica. Si esibì a Parigi, Londra e New York e perfino alla Casa Bianca.
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