martedì 22 dicembre 2020

micro-recensioni 426-430: Portogallo, Argentina, Iran, Messico e Francia

Ritorno alle cinquine multietniche, 5 film ben differenti del secolo scorso, prodotti fra il 1942 e il 1998: uno mediorientale (iraniano), due latini (messicano e argentino) e due europei (francese e portoghese).

 

O patio das cantigas (Francisco Ribeiro, Por, 1942)

Uno dei più conosciuti film portoghesi dell’epoca, una commedia quasi musicale che si sviluppa completamente attorno ad una piazzetta sulla quale si affacciano numerose abitazioni. Fra chi ci vive ci sono personaggi molto singolari che hanno diversi tipi di rapporti, da giovani che “insidiano” le ragazze a uomini che fanno la corte a donne più mature, il che innesca qualche gelosia, ma ci sono anche rivalità fra commercianti e rivalità in merito alla musica che viene suonata dai balconi del patio. Ovviamente ci sono due fazioni ben distinte: pro e contro il fado; ma in contrasto c’è la musica brasiliana che all’epoca godeva di grande popolarità visto che proprio in quegli anni ci fu una forte emigrazione dal Portogallo verso il Brasile, con successivi ritorni spesso da ricchi. Nel 2015 fu prodotto un remake che ottenne pessima accoglienza, principalmente perché è impossibile replicare la vita e le situazioni di 70 anni prima e i personaggi sono adesso fuori della realtà.

El vampiro negro (Román Viñoly Barreto, Arg, 1953)

Un “quasi-remake” di M il mostro di Dusseldorf (1931, Fritz Lang), con interessanti varianti che si alternano a scene replicate quasi pedissequamente. I meriti risiedono per lo più nella fotografia che riesce a ricreare un’atmosfera da noir, con scene e inquadrature che richiamano opere di apprezzatissimi registi, da C. Th. Dreyer a Orson Welles. Pur senza essere un capolavoro è certamente più che buono … cercherò altri film di Viñoly Barreto in rete, ci potrebbe essere qualche altro titolo interessante.

  

The Jar - Khomreh (Ebrahim Forouzesh, Iran, 1992)

In stile Kiarostami, vale a dire piccola storia in una piccola comunità rurale, realismo puro. L’orcio del titolo è quello che si trova nel cortile della scuola, all’aperto, ai piedi di un albero. Viene riempito portando acqua dal vicino ruscello e serve per dissetare i piccoli alunni che non sempre il volenteroso maestro riesce a controllare. Un giorno l’orcio presenta una crepa e comincia a perdere acqua. Da questo punto in poi ci saranno litigi, prese di posizione, volenterose collaborazioni e piccoli incidenti che, in un modo o nell’altro, coinvolgeranno gran parte degli abitanti di quell’agglomerato di case sperduto in area desertica. Ben narrato, seppur velocemente mostra un interessante spaccato della povera realtà sociale e il carattere testardo e ostinato (che si ritrova spesso in questi film mediorientali e quindi qualcosa di vero ci deve essere) che spesso sfocia in lunghe confrontazioni verbali fra insulti, minacce e gara a chi grida di più.

Yo quiero ser artista (aka El cartero del barrio) (Tito Davison, Mex, 1958)

Classica commedia degli anni ’50 avente per protagonista Adalberto Martinez, un “imitatore” dei ben più famosi Cantinflas e Tin Tan e in quanto tale segue la sperimentata trama dell’onesto lavoratore (in questo caso un portalettere = cartero) intraprendente al punto di immischiarsi in qualunque assunto e mettendosi quindi spesso nei guai. Quindi rappresentazione di un vicinato pieno di personaggi particolari dai bambini agli anziani, dai più operosi agli sfaticati incalliti. Nel corso del film il cartero (che sogna una carriera nel mondo dello spettacolo) arriva agli Estudios Churubusco (la Hollywood messicana) dove ha modo di incontrare alcune stelle dell’epoca che interpretano sé stessi: Tin Tan, Pedro Armendáriz, Lilia Prado, Kitty de Hoyos. Ovvio lieto fine preceduto da una bella festa improvvisata per l’artista che arriva inaspettatamente nel caseggiato di periferia, fra il giubilo e l’ammirazione di tutti … o quasi. Pur non essendo all’altezza dei film degli altri famosi comici contemporanei, si lascia guardare piacevolmente e, più che i dialoghi, i soprannomi e le offese sono spesso geniali, pur non essendo politically correct (una vera piaga per le commedie).

Mes Petites Amoureuses (Jean Eustache, Fra, 1974)

Pur godendo di buona critica, l’ho trovato troppo datato e troppo “francese” … e Jean Eustache non è certo Éric Rohmer e neanche un vero adepto della Nouvelle Vague. Descrive bene un certo ambiente dei piccoli paesini del sud della Francia, fra giovani indolenti e ragazzi e ragazze ai primi amori. Interessante per i cinefili cultori del cinema d'oltralpe degli anni '60 e '70. Questo è uno dei soli due lungometraggi del regista, dedicatosi più che altro ai corti.

#cinema #cinegiovis

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