mercoledì 9 dicembre 2020

micro-recensioni 411-415: kolossal muto italiano e 4 georgiani

Cinquina quasi monotematica con film georgiani del periodo in cui il  paese faceva ancora parte dell’URSS ai quali ho aggiunto Cabiria, pietra miliare del cinema italiano, ancorché sconosciuto alla gran parte del pubblico (non ha niente a che vedere con le Notti di Cabiria, 1957, di Federico Fellini, Oscar miglior film straniero).

 

Cabiria (Giovanni Pastrone, Ita, 1914)

Fu il primo vero kolossal italiano e fece storia nel mondo intero, ispirando i successivi lavori di Cecil B. DeMille e D. W. Griffith; a detta di Scorsese, Pastrone fu il vero creatore del kolossal epico.  In effetti, l’anno prima Enrico Guazzoni aveva diretto Quo vadis?, anch’esso ovviamente storico e primo in Italia a servirsi di centinaia di comparse, ma niente a che vedere con Cabiria. Il soggetto e sceneggiatura sono basati su testi di Tito Livio e sul romanzo di Salgari Cartagine in fiamme e vi collaborò lo stesso Pastrone, mentre Gabriele D’Annunzio (al quale spesso tutti i meriti) fu solo l’autore dei numerosi aulici cartelli nonché dei personaggi e dei loro nomi. Fu proprio lui il creatore di Maciste, qui interpretato da Bartolomeo Pagano, uno scaricatore del porto di Genova, che così diventò una star del cinema interpretando lo stesso personaggio in un’altra quindicina di film; nella prima metà degli anni ’60 il buon forzuto tornò in gran voga come protagonista di oltre 20 film, interpretati però da attori diversi.

Anche se il concetto di carrellata già esisteva, Pastrone ideò e brevettò il macchinario e lo utilizzò in numerose scene di Cabiria. Al contrario dei film dell’epoca fece anche ampio uso di montaggio e tutti i vari metodi di ripresa allora disponibili. Volle una colonna sonora composta specificamente per il film che sottolineasse le scene più drammatiche. Grande fu anche il successo internazionale, il film restò in cartellone per sei mesi a Parigi e per quasi un anno a New York. Con tutti i limiti di un film di oltre un secolo fa, Cabiria è comunque affascinante contando su scenografie spesso grandiose, una gran varietà di costumi ed una recitazione senza troppi esagerati sbracciamenti, tipici dei muti, né eccessivi primi piani. Le scene d’azione sono molto ben realizzate, dai sacrifici al Moloch, all’eruzione dell’Etna, all’assalto alle mura.  

Nel 2006 è stata realizzata una versione restaurata con aggiunta di scene per molti anni non disponibili, raggiungendo una durata di circa 3 ore. Fu presentata l'anno successivo al Festival di Berlino. Certamente un must per cinefili, ma apprezzabile anche da tanti altri amanti delle arti visive. Consigliato!

Blue Mountains (Eldar Shengelaya, Geo, 1983)

Seppur un po’ ripetitiva, la satira socio-politica che domina in questo film dalla prima all’ultima scena risulta più che divertente e arguta, proponendo un gran numero di personaggi che “lavorano” in una delle tante strutture dell’apparato statale sovietico. Nessuno si prende responsabilità, demandandole ad altri, ci sono sempre firme che mancano sui documenti, molti sono i perditempo, i perennemente assenti e quelli che giocano a scacchi, ma tutti aspirano ad aumenti e bonus. Le copie del manoscritto del protagonista passano di mano in mano, si perdono, riappaiono ma nessuno le legge e nonostante ciò tutti esprimono opinioni e commentano. Le dichiarazioni nel corso della riunione finale evidenziano questa linea, mentre l’intera struttura (metaforicamente e praticamente) mostra le sue crepe e sta per crollare. Una commedia dell’assurdo, basata sull’impotenza del cittadino di fronte alla cieca burocrazia, in puro stile kafkiano. Da non perdere.

  

Trilogia di Tengiz Abuladze (in ordine di mio gradimento)

The Wishing Tree (Tengiz Abuladze, Geo, 1976)

Nell’ambito della trilogia, questo è il mio preferito per essere confuso e creativo al punto giusto, anche se nell’ultima parte passa da essere divertente commedia stracolma di personaggi peculiari, degni dei film di Kusturica o di Fellini, ad un tono prettamente drammatico. Numerose storie si intrecciano nella trama, alcune più indipendenti, altre meglio connesse al contesto sociale del piccolo paesino di campagna; i tanti brevi eventi/episodi (ho letto che sono 23) sono incatenati in sequenza per avere almeno un protagonista in comune, e molti sono i personaggi appaiono in più occasioni. Nel 1979 vinse il David di Donatello come miglior film straniero, presentato con titolo L’albero dei desideri. Consigliato.

Repentance (Tengiz Abuladze, Geo, 1984)

Si inizia con la morte del protagonista, un personaggio politico caricaturale frutto di una combinazione delle caratteristiche di Hitler, Mussolini, Stalin e il suo fido Beria (per oltre 20 anni a capo della polizia segreta e politico). A causa delle poco velate allusioni agli ultimi due (entrambe georgiani) il film fu bloccato per 3 anni e solo nel 1987, grazie alla glasnost di Gorbaciov, fu messo in circolazione in Unione Sovietica e anche all’estero. Divenne candidato all’Oscar per il suo paese (ma non fu incluso nel gruppo finale) e vinse il Golden Globe miglior film straniero e 3 Premi a Cannes, fra i quali il Gran Premio della Giuria assegnato all’unanimità. Ovviamente gran parte del film è composto da flashback, ma c’è anche una parte al limite del surreale con il cadavere che, dopo essere stato sepolto, riappare più volte. Quindi una dark comedy a tema politico, con vari spunti fantastici.

The Plea (Tengiz Abuladze, Geo, 1967)

Decisamente un film “troppo” artistico, con dialoghi sostituiti da versi, spesso ripetuti più volte, del poeta georgiano Vaja-Pshavela, vissuto nell’ultimo periodo dell’Impero Russo. Pur trattando temi interessanti che spaziano dalla faida all’ostracismo e dall’intoccabilità dell’ospite alla vendetta, la poca azione e la voce non sincronizzata rendono la visione impegnativa. Notevole senz’altro la fotografia (b/n) e la regia. Certamente di genere ben diverso dagli altri due e non destinato al grande pubblico.

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