giovedì 20 febbraio 2020

Micro-recensioni 41-50 del 2020: Ophüls e Shimizu su tutti

Quinta decina del 2020, con tanti buoni film, ma anche alcuni deludenti, guarda caso quelli con più nomi famosi.
      

Le roman de Werther (Max Ophüls, Fra, 1938)
The Reckless Moment (Max Ophüls, USA, 1949)
Caught (Max Ophüls, USA, 1949)
Comincio con altri 3 film di Max Ophüls il quale pur cambiando paesi e generi si dimostra sempre un ottimo regista, attentissimo ai movimenti di macchina. Ho letto che James Mason (anche lui “immigrato” di successo essendo già famoso in UK) che fu co-protagonista dei due americani di questo gruppo (primo e terzo film a Hollywood) raccontava che quando negavano a Ophüls spazio o luci per realizzare le riprese con il suo amato ed indispensabile dolly, si intristiva fin quasi alla depressione. Ciò conferma in pieno quanto avevo notato, vale a dire l'estrema attenzione e abilità nel gestire la camera da cui derivano i suoi ottimi piano-sequenza.
Un elemento comune dei suoi film è la struttura simile a quella dei melodrammi, anche se i due americani sono di stampo quasi noir, sono gli amori che portano alle tragedie finali. Il primo dei tre di questo gruppo (basato sul noto lavoro di Goethe) ovviamente non è da meno.
   


Mr. Thank You (Hiroshi Shimizu, Jap, 1936)
The Masseurs and a Woman (Hiroshi Shimizu, Jap, 1938)
Cercando film giapponesi d’epoca mi sono imbattuto in alcuni Hiroshi Shimizu, in precedenza a me sconosciuto. Un ottimo regista giapponese spesso considerato  “minore” ma considerate che quelli ai quali era comparato sono Ozu, Kurosawa, Kobayashi, Mizoguchi e che quest’ultimo lo considerava comunque un genio per la sua regia “spontanea” e l’utilizzo - tipico del realismo - di attori non professionisti.
Questa di Hiroshi Shimizu è stata una vera scoperta, trovato suoi due film, non per niente restaurati e riproposti dalla Eclipse. Si tratta di commedie fra il serio e il faceto, che descrivono alcuni aspetti e ambienti della vita nel Giappone rurale degli anni '30. Entrambi sono on the road, il primo completamente in quanto si svolge tutto su un bus sul quale viaggiano personaggi molto diversi che commentano avvenimenti e vite degli altri e si confrontano su temi sociali e morali. Il secondo inizia con il viaggio (a piedi) di due massaggiatori ciechi e sono loro a descrivere situazioni e persone pur essendo non vedenti. Nella seconda parte le loro storie si intrecciano con una serie di furti e una potenziale love story. Certo non capolavori, ma piacevoli e interessanti per lo spaccato sociale che propongono. 
      

The Naked Street (Maxwell Shane, USA, 1955)
Les yeux sans visage (Georges Franju, Fra, 1960)
The Boys from Brazil (Franklin J. Schaffner, UK/USA, 1978)
Di questi altri tre i primi due sono similmente apprezzabili, ma per motivi molto diversi. Il primo conta soprattutto sull’ottima interpretazione di Anthony Quinn, affiancato da una giovane Anne Bancroft ad inizio carriera. Si tratta ovviamente di un noir, ma dalla struttura alquanto insolita. Non fra i migliori del genere, ma senz’altro abbastanza interessante da meritare una visione.
Il film di Franju è invece noto ed apprezzato (quasi un cult) fra gli amanti dei noir-horror, in questo caso si tratta di un chirurgo plastico che realizza audaci trapianti. E nel campo della medicina “creativa” ricade anche il film di Schaffner che parte bene come film di intrigo politico, ma nella seconda parte scade e cade nel ridicolo. Singolare anche la coincidenza della fondamentale pressenza canina.

Che gioia vivere (René Clément, Ita/Fra, 1961)
The Merchant of Venice (Michael Radford, USA, 2004)
Poche parole per gli ultimi due. La commedia diretta da Clément con Alain Delon protagonista è abbastanza insensata e pochi sono i momenti con un poco di originalità, l’adattamento del lavoro di Shakespeare è pomposo ma poco concreto, Al Pacino non convince e la scenografia ancora meno.

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