venerdì 7 febbraio 2020

Micro-recensioni 21-30 del 2020: i quattro in spagnolo sono i migliori

Vagando fra mediateche e internet, mi sono imbattuto in vari altri film particolari e a me sconosciuti, quasi tutti degli anni ’50 e ’60, di produzione molto varia.
   

Pedro Páramo (di Carlos Velo, Mex, 1967) è l’adattamento dell’omonimo romanzo di Juan Rulfo, rinomato per il suo stile innovativo che influenzò quello di Gabriel García Márquez per Cent'anni di solitudine, specialmente in quanto alla gestione di tempi e descrizione di personaggi. Proprio per la particolarità del soggetto, che include tanto andirivieni temporale e una continua alternanza fra fantasia e realtà, non è sempre di immediata comprensione e bisogna prestare grande attenzione per distinguere i vivi dai morti e situarli all’epoca giusta. Si ha la chiara sensazione che sarebbe necessario leggere il testo per apprezzarlo appieno; è quasi impossibile difficile rendere una trama così articolata e complicata in un film di neanche due ore.
Gli fa buona compagnia il film argentino La ventana (di Carlos Sorín, Arg, 2008), ben scritto, ben diretto e ben interpretato, eppure prodotto con molto poco; regista è quello stesso Carlos Sorin che si fece conoscere a Venezia al suo esordio con La película del rey (1986) premiato come miglior opera prima. Sarò ripetitivo, ma torno a sottolineare che per buoni film non servono grandi attori (ammesso che siano effettivamente capaci), né scenografie grandiose e tantomeno effetti speciali e spropositati budget. In questo caso bastano pochi attori, una grande casa in Patagonia e i relativi paesaggi per ottenere un 92% su RottenTomatoes.
   

Ho continuato con lo spagnolo guardando i primi film di Marco Ferreri (El pisito, 1959 e El cochecito, 1960, Premio FIPRESCI a Venezia) ai quali ho aggiunto Dillinger è morto (Ita/Fra, 1969) da qualcuno etichettato come sperimentale con Michel Piccoli protagonista. Nei primi due già si nota l’innato humor nero del regista, certamente influenzato dal lavorare gomito a gomito con altri autori come Berlanga e Azcona, che con grande abilità riuscirono ad eludere in gran parte la censura franchista e produssero degli ottimi film di critica sociale mascherati da commedia che rimangono nella storia del cinema iberico come Placido (Nomination Oscar e Palma d’Oro a Cannes) e Bienvenido Mr. Marshall (2 Premi e Nomination Grand Prix a Cannes). I primi due, già visti più di una volta, continuano a divertire anche perché si scoprono sempre nuovi piccoli dettagli, il terzo non riesce ad appassionare.
Tornando in Sudamerica, ho recuperato anche un altro famoso film d'epoca vale a dire Orfeu negro (di Marcel Camus, Bra/Fra/Ita, 1959, Oscar come miglior film straniero per la Francia). Un po’ deludente rispetto alle aspettative, soprattutto per la debole sceneggiatura e per contare troppo sulla parte folklorica. Secondo me sopravvalutato.
 

Gli altri 4 film del gruppo sono:
Week end (di Jean-Luc Godard, Fra, 1967)
Judy (di Rupert Goold, UK, 2019)
Et Dieu ... créa la femme (di Roger Vadim, Fra, 1956)
One Touch of Venus (di William A. Seiter, USA, 1948)

Nessuno du questi mi ha colpito particolarmente. Il film di Godard, che a leggere i rating sembrava interessante, si è rivelato esagerato, sempre sopra le righe, sangue e cadaveri in quantità, con declamazioni di manifesti di chiara tendenza di sinistra, ripetitivo e in fin dei conti noioso.  
Judy conta con due candidature per gli ormai imminenti Oscar (Renée Zellweger attrice protagonista e trucco) ma è lento e poco convincente. La performance dell’attrice già vincitrice di un Oscar non protagonista (Cold Mountain, 2003) non mi sembra meritevole di una statuetta, fa troppe esagerate smorfie e non penso che rimarrà nella storia del cinema.
Quasi a dimostrare quanto detto in precedenza in merito a film buoni prodotti con poco questi ultimi due furono certamente prodotti pensando al botteghino contando con star di richiamo mondiale del calibro di Ava Gardner e Brigitte Bardot che di lor ci mettono la sola presenza. La commedia americana è davvero poca cosa, l’altro è senz’altro migliore, ma il soggetto avrebbe meritato una sceneggiatura migliore.

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