Non per presunzione, ma solo per
sottolineare le casualità, penso di essere fra i pochissimi europei che hanno
avuto l’occasione di guardare i due soli altri film della vincitrice del Leone
d’Oro (la regista, sceneggiatrice e produttrice cinese Chloé Zhao, foto a sinistra) ed
aver assistito (per puro caso, nella piazza di Coyoacán) ad alcune riprese di Nuevo
orden, il film del regista, sceneggiatore e produttore messicano Michel
Franco che ha ottenuto il Gran Premio della Giuria, oltre ad aver visto
anche 2 dei suoi precedenti 5 film (non troppo convincenti).
Ora sono ansioso di poter guardare Nomadland, che si presenta molto bene sia per argomento che per la presenza della sempre ottima Frances McDormand, (2 Oscar come protagonista e 3 Nomination, oltre ad una marea di tanti altri riconoscimenti).Ripropongo quindi le due brevi recensioni dei film di Chloé Zhao (stile, soggetti e sceneggiature molto interessanti) e quelle relative ai film di Franco nei quali mi sono imbattuto in Messico.
Ora sono ansioso di poter guardare Nomadland, che si presenta molto bene sia per argomento che per la presenza della sempre ottima Frances McDormand, (2 Oscar come protagonista e 3 Nomination, oltre ad una marea di tanti altri riconoscimenti).Ripropongo quindi le due brevi recensioni dei film di Chloé Zhao (stile, soggetti e sceneggiature molto interessanti) e quelle relative ai film di Franco nei quali mi sono imbattuto in Messico.
con Wambli BearRunner, Irene Bedard, Dakota Brown
IMDb IMDb 6,9 RT 91% Nomination a Cannes e al Sundance
Molti avranno ormai capito che i film a
sfondo etnico mi interessano particolarmente e nelle mie valutazioni sono molto
più ben disposto a "tollerare" carenze, imprecisioni e riprese non
eccelse tenendo conto delle oggettive difficoltà di produzione. Molti di essi
sono tuttavia ancor più apprezzabili per la semplicità delle inquadrature, per
il sonoro in presa diretta o comunque non troppo rielaborato, per il linguaggio
filmico essenziale.
Con tale spirito mi sono avvicinato a
questo film ambientato in una comunità di nativi americani (facente parte del
gruppo dei Sioux), e non sono rimasto deluso. La tribù degli Oglala
Lakota una volta abitava le immense praterie fra Dakota, Montana e
Saskatchewan (Canada), ma oggi si può trovare traccia della loro cultura solo
in alcune delle riserve dove vivono più o meno emarginati.
Il film, molto semplice nella sua
struttura, mostra con crudo realismo una comunità quasi allo sbando, con
pochissime attività commerciali, oltre il 70% di disoccupati, qualità di vita
sotto il livello di povertà e molti (troppi) spendono i loro pochi soldi in
alcool e fumo. Tanti sopravvivono solo grazie agli aiuti (incluse distribuzione
di cibo) del governo e di varie associazioni, e ho anche letto che nelle
Americhe solo Haiti ha un reddito pro-capite più basso. Molti dei gruppi
familiari sono allo sbando in quanto esiste di fatto la poligamia e considerato
che parte degli adulti hanno problemi con la legge ci sono tante madri single.
Il padre di Johnny (protagonista con la sorella Jashuan) nel film come nella
vita reale ha 7 cosiddette “mogli” e 25 figli ... e nel film muore all’inizio
lasciando i due soli con la madre, mentre un terzo fratello è in carcere. La
regista Chloé Zhao (cinese immigrata in USA) esordisce con questo film
raccontando dall’interno, con tanta camera a spalla, senza nessun set
ricostruito, ma riesce a mantenersi ben lontana dal documentarismo limitandosi
ad un semplice, buon cinéma vérité.
Songs my brother taught me è completamente girato nella Pine Ridge Reservation (South Dakota), nelle vere case dove abitano attualmente i Lakota e negli ampi spazi circostanti (le famose Badlands), con interpreti esclusivamente locali, tutti alla prima esperienza di fronte alla cinepresa.
Oltre alle belle riprese delle praterie e degli aridi calanchi delle Badlands, mostra anche qualche svago della popolazione, soprattutto rodei nei quali i partecipanti sono più numerosi degli spettatori ed è significativo il fatto che diventare un bull rider sia una delle aspirazioni più comuni dei ragazzi.
The Rider (Chloé Zhao, USA,
2018)
con Brady Jandreau, Mooney, Tim
Jandreau
IMDb 7,4 RT 97% * C.I.C.A.E. Award (film d’Art et
d’Essai) a Cannes e altri 23 premi internazionali
Film a metà strada fra fiction e documentario (vari protagonisti
interpretano sé stessi) ambientato nel ristretto e particolare mondo dei rodei
non professionali e addomesticatori/addestratori di cavalli
selvaggi. Brady Jandreau interpreta Brady Blackburn, una promettente
star dei rodei che a causa di un incidente di gara ha subito una grave ferita
alla testa, con conseguenze molto limitanti per la sua attività (cosa capitata
anche a lui).
The Rider approfondisce molto il lato umano
mostrando i profondi legami del protagonista con la sorella autistica e con un
giovane che in conseguenza di una caduta da cavallo è rimasto gravemente menomato
per i danni cerebrali subiti, nonché i più difficili rapporti con il padre e
l’infinito amore per i cavalli. Secondo film della regista Chloé Zhao,
nata in Cina e poi stabilitasi in USA dopo vari anni di studi a Londra. Anche
il suo film d’esordio (Songs My Brothers Taught Me, 2015) era ambientato
nel nord degli Stati Uniti, esattamente nella Pine Ridge Indian Reservation
in South Dakota, e trattava dei rapporti fra fratello e sorella Lakota
(nativi americani). Entrambi hanno ricevuto notevole successo di critica.
Senz’altro da guardare, ma avrete già capito che a
qualcuno potrà sembrare un po’ deprimente.
Después de Lucía (Michel Franco, Mex, 2012)
con Tessa Ia, Hernán Mendoza, Gonzalo
Vega Jr.
IMDb 7,1 RT 86% Premio Un Certain
Regard a Cannes
Questo film abbastanza ben realizzato è
uno di quelli che secondo me ricevono buone critiche più l’argomento trattato
che per i suoi reali meriti. Partendo dalla perdita della moglie/madre,
seguiamo padre e figlia che si trasferiscono da Puerto Vallarta a Città del Messico,
lui (chef) va a dirigere la cucina in un buon ristorante del centro, lei va in
una scuola superiore frequentata da rampolli della medio-alta borghesia. Dopo
un inizio promettente la vita della ragazza si trasforma in un inferno ... e
non di dirò di più. Mi sembra che l’attualissimo problema del bullismo
scolastico sia stato trattato abbastanza seriamente. Tuttavia, o perché sono
troppi gli anni passati da quando ho lasciato la scuola o perché non conosco abbastanza
i modi di vita delle nuove generazioni, gli atteggiamenti di tutti (dalla
ragazza alle compagne e compagni, dai professori al preside) mi sembrano nel
complesso poco credibili ... è possibile che fra tutti i suddetti non ci sia un
anello debole che rompa il muro di silenzio e omertà?
Non lo boccio, ma ho molte riserve in
merito alla sceneggiatura della quale Michel Franco è responsabile
unico. Potrebbe essere interessante guardare qualche altro suo lavoro.
Las hijas de abril (Michel Franco, Mex, 2017)
con Emma Suárez, Ana Valeria Becerril, Enrique Arrizon
IMDb 6,5 RT 60%
Alcuni registi (probabilmente i
produttori) hanno corsie preferenziali in determinati festival ... penso che Michel
Franco sia uno di questi essendo autore, regista e produttore dei suoi
film. Ha scritto, diretto e prodotto i suoi 5 film e quattro di essi sono stati
proposti a Cannes, ottenendo 3 premi e altre 4 nomination.
Mi dà l’idea che il giovane messicano
deve aver avuto una gioventù traumatizzante seppur in qualche modo piacevole e
agiata. I suoi due film che ho visto si sviluppano in ambienti borghesi, in
famiglie disgregate senza problemi economici, fra alcol e sesso anche fra
minorenni e relative maternità, abbandoni e talvolta violenza. Anche gli altri
film tendono al deprimente e ho appena letto questo commento (che condivido)
"Franco dovrebbe cambiare registro, sta scendendo sempre più in basso".
In questo film mette insieme una madre
(separata) con due figlie (non dello stesso padre) più o meno abbandonate a sé
stesse nella villa di famiglia al mare. Aggiungendo padri assolutamente
disinteressati della sorte dei figli, una gravidanza, la quasi totale mancanza
di senso comune (e in vari casi anche di un minimo di morale) per quasi tutti i
protagonisti, egoismo, cinismo e una certa dose di stupidità e non ci si poteva
aspettare altro che un risultato scadente.
Tuttavia - misteri delle Giurie dei
Festival - ha ottenuto il premio speciale Un Certain Regard a Cannes,
dove era stato già premiato nel 2012 per Después de Lucía e nel
2015 per Chronic. In Italia è stato proiettato al Festival di
Giffoni ma non ho notizie in merito alla distribuzione.
Onestamente, non ve lo consiglio, anche
se non è proprio da buttar via.
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