martedì 30 aprile 2019

34° gruppo di 5 micro-recensioni 2019 (166-170)

Altri 2 film della retrospettiva Gaumont, una perla di documentario sperimentale, un deludente film australiano recentemente premiato a Venezia e un classico americano che, pur contando sulla regia di Elia Kazan, sceneggiatura di John Steinbeck e con Marlon Brando e Anthony Quinn protagonisti (scusate se è poco) si è rivelato appena sufficiente.

   

166  The Man with the Movie Camera  (Dziga Vertov, URSS, 1929) tit. or. "Chelovek s kino-apparatom“  tit. it. "L'uomo con la macchina da presa“ * con Mikhail Kaufman  * IMDb 8,4  RT 97%
Film muto, senza cartelli e senza sceneggiatura (come si avvisa nei titoli di testa), 68 minuti di immagini che scorrono rapidamente accompagnate da musica pertinente, spesso incalzante.
Vertov mostra di tutto, talvolta per settori (come nel caso di una serie di attività sportive), altre volta alterna azioni visivamente simili ripetitive come filatura e centraliniste. La vita convulsa della città viene proposta più volte con riprese della folla che si sposta disordinatamente, mentre i tram continuano ad incrociarsi rapidamente. Nella seconda parte comincia ad apparire sempre più frequentemente l'uomo con la camera, in posizioni sempre più insolite, talvolta non prive di rischio: su teleferiche, moto, auto, cestelli pendenti da una gru, nello stretto spazio fra i tram che corrono in direzioni opposte. Infine cominciano le doppie esposizioni, spesso con effetti di cambio dimensioni (p.e. operatore che appare come un gigante su un edificio), trucchi cinematografici con riprese inverse, schermo diviso in due orizzontalmente e verticalmente, anche con immagini simmetriche che ruotano in senso opposto. C'è veramente di tutto, da famiglie al mare ad un parto, da veloci azioni ripetitive in fabbrica a gare di motociclette, palestre con incredibili macchinari antesignani di quelli odierni, dal lavoro in miniera a un prestigiatore asiatico che si esibisce davanti a un gruppo di bambini, animazione del cavalletto e della cinepresa (senza operatore), fanghi, ippica, tuffi, un cavallo meccanico, dattilografe, ballerine, un uomo-semaforo, e tanto altro. Le scene, a volte di neanche un secondo, si succedono a ritmo vertiginoso, raramente rallentano, comunque sempre di pari passo con la musica.
Lo trovate, completo, in più versioni su YouTube ed anche su Vimeo.
Interessante, sorprendente, divertente ... da non perdere.

167  Les maudits  (René Clément, Fra, 1947) tit. it. "I maledetti“ * con Marcel Dalio, Henri Vidal, Florence Marly  * IMDb 7,2  RT 100% * “Prix du meilleur film d'aventures et policier” a Cannes.
Chi direbbe mai che un film ambientato quasi esclusivamente in un sottomarino possa essere movimentato e avvincente? Eppure questo classico francese dell'immediato dopoguerra riesce nell'impresa facendo imbarcare ad Oslo personaggi (per lo più civili) di carattere, estrazione e professione totalmente diverse. Procedendo verso il Sudamerica, salirà a bordo un altro passeggero, totalmente estraneo al gruppo che uno degli stessi passeggeri acutamente definisce un'arca di Noè. Fra i vari personaggi c’è anche un italiano, interpretato da Fosco Giachetti.
Pur trovandosi a filmare in spazi molto limitati René Clément (co-sceneggiatore) evita riprese statiche o ripetitive e l’azione si svolge in un continuo tourbillon di intrecci, approcci, inganni e minacce fra i numerosi protagonisti, quasi un film corale.
Terzo film del regista bordolese, che ebbe gran successo fin dall’esordio, i suoi primi 4 film furono tutti premiati a Cannes. Gli altri 3 sono Bataille du rail (1946,) Le père tranquille (1946) e Le mura di Malapaga (1949)  
Uno dei tanti ottimi film francesi dell’epoca, consigliato.

      

169  Un carnet de bal  (Julien Duvivier, Fra, 1937) tit. it. "Carnet di ballo“ * con Marie Bell, Françoise Rosay, Louis Jouvet, Fernandel  * IMDb 7,5  RT 75%p
Carnet di ballo, originale commedia, solo a tratti drammatica, basata sulla strana idea di una ricca e piacente vedova di andare a cercare tutti quelli che ballarono con lei alla sua festa di debutto, a 16 anni. Messasi alla ricerca di quelli i cui nomi erano annottati sul suo carnet di ballo, scoprirà che uno è morto anche se la madre crede sia ancora vivo, e poi c'è chi è diventato monaco, chi medico molto poco affidabile, chi fuorilegge, chi sindaco e chi parrucchiere .
Ben filmato e interpretato trae vantaggio da una ingegnosa sceneggiatura che alterna scene drammatiche e altre di grande ilarità. Si apprezzano non solo il bel bianco e nero (anche grazie alla versione restaurata) e le tante originali riprese che non rispettano la verticalità, ma anche le buone interpretazioni.
Film ben diverso dagli altri precedentemente proposti nella retrospettiva Gaumont ma, come gli altri, senza dubbio piacevole e ben realizzato.

170  Viva Zapata! (Elia Kazan, USA, 1952) * con Marlon Brando, Jean Peters, Anthony Quinn * IMDb 7,5  RT 65% * Oscar a Anthony Quinn non protagonista e 4 Nomination (Marlon Brando protagonista, sceneggiatura, scenografia e commento musicale), Marlon Brando miglior attore a Cannes e Nomination Grand Prix per Elia Kazan
Film pretenzioso, per la cui realizzazione furono messi insieme ottimi e stimati professionisti, ma il vero scopo era chiaramente il botteghino.
Data la mia nota passione per il Messico (non solo cultura, musica e cibo, ma anche storia) mi era subito sembrata infelice la scelta di Marlon Brando come protagonista, Zapata era ben più mingherlino e più basso e vestiva in modo diverso, e il trucco non è dei migliori. Storicamente si va ancora peggio, oltre a saltare anni interi senza renderlo evidente, si trattano marginalmente eventi fondamentali, a cominciare dalla decena tragica, che portò all’assassinio di Madero, ma anche tutto il resto è estremamente confuso. Non è possibile pensare di concentrare quasi un decennio di storia pieno di avvenimenti, battaglie, esecuzioni e tradimenti in meno di 2 ore, dando oltretutto troppo spazio alla parte romantica (indispensabile per il prodotto Hollywoodiano).
Al di là di quanto mi era già apparso evidente, nel corso della charla successiva alla proiezione (proposta in occasione del centenario dell'assassinio di Emiliano Zapata) i relatori hanno messo anche in evidenza che, nonostante i grandi nomi e gli Oscar, il film non ebbe il successo sperato né in USA né in Messico. Ovviamente, in patria le tante evidenti imprecisioni vennero subito disapprovate e le scelte di presentare il loro eroe come analfabeta (cosa certamente non vera) e vestito con il classico calzón de manta (quello bianco indossato dai campesinos in tutti i film americani), altrettanto falsa, furono aspramente criticate. Inoltre il film era stato girato interamente negli Stati Uniti tranne i pochi interni nel palazzo presidenziale messicano (Castillo de Chapultepec) e fra gli attori l’unico nativo era Anthony Quinn.
Nell’immaginario collettivo messicano, Zapata oltre ad essere un eroe della rivoluzione messicana quando fu a capo dell’esercito Libertador del Sur, è un simbolo, quasi un santo, che non tenne niente per sé e combatteva più che altro da guerrillero (a differenza del suo omologo  Pancho Villa guidava la Division del Norte, quasi un esercito regolare). Per questo motivo, dopo l’insuccesso iniziale, il film ritornò in auge verso la fine degli anni ’60, promosso dai vari movimenti giovanili più o meno di sinistra e contro il potere non solo negli Stati Uniti e in Messico, ma anche in Francia. Non da ultimo, si può sottolineare che perfino il più recente moto “rivoluzionario” messicano è stato quello del subcomandante Marcos, a capo dell’ Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
Insomma, risulta evidente che Kazan e Steinbeck si erano proposti una missione impossibile, quella di rappresentare un idolo, un simbolo, un personaggio troppo amato da buona parte dei messicani per essere proposto in modo credibile da stranieri.
Certamente sufficiente, ma niente di più.

168  Sweet Country (Warwick Thornton, Aus, 2017) * con Bryan Brown, Luka Magdeline Cole, Shanika Cole, Sam Neill * IMDb 6,9  RT 96% * Premio Speciale della Giuria e Nomination Leone d’Oro a Venezia
Non malvagio, ma deludente; il Premio Speciale della Giuria a Venezia e il 96% di RT, lasciavano sperare in qualcosa di meglio. L’australiano Warwick Thornton ha un background da direttore della fotografia ed ha ricoperto tale ruolo anche per tutti i suoi film. Questa specie di western ambientato in aree semi-desertiche forniva quindi un’ottima opportunità per sfruttare al meglio luci e paesaggi naturali, luoghi che  regista ben conosce per essere originario di Alice Springs, praticamente al centro dell’Australia, o oltre 1000km da qualunque costa e da qualunque grande città. Purtroppo, al di là della scenografia e di qualche decente interpretazione (i settantenni Bryan Brown e Sam Neill a malapena si difendono), il film non conta su una sceneggiatura decente, sia per i contenuti in sé, sia per dialoghi e sviluppo della trama. Siamo ancora a “buoni e cattivi”, il prepotente braccio della legge che si ricrede, l razzista malvagio, il buono dalla fede incrollabile, i nativi vessati ma violenti quasi alla pari dei “bianchi”, anche fra di loro; soggetti triti e ritriti ed in questo caso non rappresentati nel migliore dei modi. Logica, plausibilità e continuità sono similmente carenti. Restano le immagini ...
Guardatelo, ma senza aspettarvi alcuna sorpresa.

Le oltre 1.400 precedenti micro-recensioni dei film visti a partire dal 2016 sono sul mio sito www.giovis.com; le nuove continueranno ad essere pubblicate su questo blog. 

Nessun commento:

Posta un commento