sabato 13 aprile 2019

25° gruppo di 5 micro-recensioni 2019 (121-125)

Dopo le commedie leggere del gruppo precedente, propongo una cinquina estremamente varia e certamente di migliore qualità, con film di nazionalità ed epoche diverse (dal 1920 al 2008). In quanto alle mie preferenze (l’ordine nel quale li commento) non avuto dubbi in merito ai primi due, gli altri 3 li vedo a pari merito considerando nel complesso i pregi e le indubbie insufficienze. 
   

122  Das Cabinet des Dr. Caligari (Robert Wiene, Ger, 1920) tit. it. “Il gabinetto del Dr. Caligari”  * con Werner Krauss, Conrad Veidt, Friedrich Feher * IMDb  8,1  RT 100%
Uno dei film più significativi dell’epoca del muto, pietra miliare della storia del cinema, finalmente ammirato in sala in versione restaurata 4k. Pur avendolo guardato numerose volte, continuano ad affascinarmi le scene, le ombre e fondali nei quali è difficilissimo trovare elementi verticali o simmetrici, essendo tutto distorto ad arte, puro Espressionismo. 
   
Il programma degli Incontri Internazionali del Cinema di Sorrento lo aveva inserito fra gli eventi speciali e lo annunciava con “sonorizzazione dal vivo”. Avevo immaginato di trovare un solo artista (al piano o al violino, per esempio) o al massimo un trio, un po’ in disparte, e non due membri dell’Edison Studio sul palco, dietro a due laptop. Ho trovato questa sonorizzazione troppo invadente per l’eccessivo utilizzo del sintetizzatore, l’aggiunta di “parlato” ad un film muto assolutamente fuori luogo, con la voce di Caligari tanto gracchiante (volutamente, altre erano quasi normali) da somigliante a quella di un robot di scadente qualità.
In conclusione, eccezionale la qualità del restauro con immagini ben definite e di tanti “colori” (virate al seppia, ocra, tonalità di grigio, verdine, ...) ma la combinazione con questa “sonorizzazione” l’ho trovata un assoluto disastro.

125  Fados (Carlos Saura, Por, 2007) * con Camané, Carlos do Carmo, Mariza, Carminho * IMDb  7,2  RT 96%
Buona scelta di pezzi di fado, messi insieme nel solito sapiente stile di Saura. Conoscendo abbastanza il genere musicale, ed essendo appassionato di quello tradizionale o quasi, non ho particolarmente gradito l’intrusione di stranieri che lo rivisitano in stile troppo estemporaneo. Al contrario, la combinazione di cantanti portoghesi di fado castizo (dal 70enne Carlos do Carmo alle nuove leve come Carminho (classe ‘84), alle immagini d’archivio di Amália Rodrigues (1920-1999) e dell’inconfondibile Alfredo Marceneiro (morto nell’82 a 91 anni), è più che buona anche se, ovviamente, lungi dall’essere esaustiva.
Non c’entra con lo stile con il quale è stato realizzato il film ma, da aficionado, avrei preferito che Saura avesse approfondito il lato amatoriale invece che le cover. Esiste un mondo estremamente variegato di fadisti che si esibiscono in piccoli locali, in piccoli paesi, spesso senza neanche essere pagati. Inoltre, ogni anno si svolgono innumerevoli concorsi di Fado amador (amatoriale) che coinvolgono un gran numero di interpreti ed attirano un folto pubblico estremamente competente. Ad Alfama (Lisbona), al lato dell’ingresso di una Casa de Fado fa bella mostra di sé la l’azulejo qui al lato nel quale si afferma che “è fadista sia chi lo canta che chi lo sa ascoltare”.  
Per gli appassionati Fados è imperdibile, per gli altri è un eccellente maniera per avvicinarsi a questo tipo di musica tradizionale.
  
      

121  A Lustful Man (Yasuzô Masumura, Jap, 1961) tit. or. “Koshoku ichidai otoko”  * con Raizô Ichikawa, Ayako Wakao, Tamao Nakamura, Michiko Ai * IMDb  6,7 
Ennesima originale messa in scena di Masumura, che in questo caso tratta di un donnaiolo impenitente, disposto a tutto per le donne, dal mettere a rischio la propria vita al dilapidare l’immensa fortuna di famiglia.
Solito piacevole ritmo estremamente rapido, con una serie di scene composte di riprese brevi e concise. Una “commedia erotica” molto soft, assolutamente non di cattivo gusto, niente a che vedere con le “commedie sexy” italiane che imperversavano qualche decennio fa o con i cinepanettoni.
Masumura, del quale parlai più volte a ottobre dell’anno scorso in occasione di una retrospettiva a lui dedicata dalla Filmoteca Española, si è cimentato in film dei generi più diversi, tutti abbastanza buoni e congruenti con le sue idee, dirigendo ben 50 film in 15 anni.

123  Teorema (Pier Paolo Pasolini, Ita, 1968) * con Silvana Mangano, Terence Stamp, Massimo Girotti, Anne Wiazemsky, Anne Wiazemsky, Laura Belli * IMDb  7,3  RT 90%
Vidi il film qualche anno dopo l’uscita e non lo capii più di tanto. Dopo quasi 50 anni ho voluto guardarlo di nuovo, ho colto (forse) qualche significato in più, ma resto con il dubbio di quale sia l’enunciato del “teorema” e non ne capisco la “dimostrazione”.  Non sono riuscito ad entrare in sintonia con i protagonisti e quindi non comprendo molte delle loro reazioni.
Tuttavia, rinunciando al voler trovare una logica, Teorema ha comunque degli aspetti positivi, soprattutto per la costruzione non lineare. In quanto a ciò, mi ha colpito il monologo di Pietro (il figlio) in merito alla sua analoga visione dell’arte astratta, casuale e irripetibile. La figlia Odetta è interpretata da Anne Wiazemsky che appena due anni prima aveva acquisito una buona notorietà al suo esordio, come protagonista di Au hasard Balthazar (1966, Robert Bresson). Anche in questo caso bisogna sorbirsi la presenza dell’incapace Ninetto Davoli, oltretutto in un ruolo insignificante, ovviamente per i suoi noti legami con il regista.
Come scrissi il mese scorso commentando Uccellacci e uccellini, fra i film di PPP i miei preferiti restano Accattone (secondo me il migliore in assoluto), Edipo Re e Il Vangelo secondo Matteo (tutti rivisti con piacere negli ultimi mesi).
Vale la pena di guardare Teorema più che altro per avere una visione esaustiva dei lungometraggi di Pasolini, compito relativamente facile trattandosi di soli 13 film.

124  Two-legged Horse (Samira Makhmalbaf, Iran, 2008) tit. or. “Asbe du-pa”  * con Ziya Mirza Mohamad, Haron Ahad, Gol-Ghotai * IMDb  7,1 
Pur essendo interessante dal punto di vista sociale ed antropologico, come altri film simili ambientati nel pressoché sconosciuto Medioriente, Two-legged Horse non mi ha convinto. L’ho trovato ripetitivo, mal montato, eccessivo nel ricorrente indugiare sul puledro neonato, le gare fra i ragazzini in groppa alle loro “cavalcature” (tutti asini tranne il “cavallo a due zampe”) sono realizzate in modo molto approssimativo, la piccola mendicante è troppo poco credibile. C’è da dire che la sceneggiatura ed il montaggio sono opera del padre, il regista Mohsen Makhmalbaf (Gabbeh, Kandahar, Il silenzio, ...), produttore di film come Osama (Golden Globe, pluripremiato a Cannes), genitore anche di Hana (di 8 anni più giovane di Samira) che nel 2007 diresse il suo secondo e - al momento - ultimo film: Sotto le rovine del Buddha (2 premi a Berlino). L’interesse di questa famiglia di cineasti sembra essere indirizzato quasi esclusivamente alle aree rurali più povere dell’Afghanistan.
Samira aveva precedentemente ricevuto numerosi riconoscimenti a Cannes per i suoi primi 3 lungometraggi - Sib (1998, La mela), Takhté siah (2000, Lavagne) e Panj é asr (2003, Alle 5 della sera) - ma questo Two-legged Horse sembra che non sia stato egualmente apprezzato e, non so se è solo un caso, è stato l’ultimo dei suoi quattro. Tuttavia, si deve sottolineare che nel 2002 le fu affidata la realizzazione del primo degli 11 corti che compongono il film 11 settembre 2001, presentato e premiato a Venezia, e guardate in che ottima compagnia si trovava: Claude Lelouch, Youssef Chahine, Alejandro González Iñárritu, Ken Loach, Amos Gitai, Mira Nair, Shōhei Imamura, Sean Penn, Danis Tanović e Idrissa Ouédraogo.
Mi riprometto di cercare altri film diretti dai membri di questa famiglia (oltre a quelli già visti) e guardare quanto riuscirò a recuperare.

Le oltre 1.400 precedenti micro-recensioni dei film visti a partire da gennaio 2016 sono sul mio sito www.giovis.com; le nuove continueranno ad essere pubblicate, in gruppi di 5, su questo blog. 

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