Dopo le commedie leggere del gruppo precedente, propongo una cinquina estremamente varia e certamente di migliore qualità, con film di nazionalità
ed epoche diverse (dal 1920 al 2008). In quanto alle mie preferenze (l’ordine nel quale
li commento) non avuto dubbi in merito ai primi due, gli altri 3 li vedo a pari
merito considerando nel complesso i pregi e le indubbie insufficienze.
122 Das
Cabinet des Dr. Caligari (Robert Wiene, Ger, 1920) tit. it. “Il gabinetto del Dr. Caligari” *
con Werner Krauss, Conrad Veidt, Friedrich Feher * IMDb 8,1 RT
100%
Uno dei film
più significativi dell’epoca del muto, pietra miliare della storia del cinema,
finalmente ammirato in sala in versione restaurata 4k. Pur avendolo guardato
numerose volte, continuano ad affascinarmi le scene, le ombre e fondali nei quali è
difficilissimo trovare elementi verticali o simmetrici, essendo tutto distorto
ad arte, puro Espressionismo.
Il programma
degli Incontri Internazionali del Cinema di Sorrento lo aveva inserito fra
gli eventi speciali e lo annunciava con “sonorizzazione dal vivo”. Avevo
immaginato di trovare un solo artista (al piano o al violino, per esempio) o al
massimo un trio, un po’ in disparte, e non due membri dell’Edison Studio
sul palco, dietro a due laptop. Ho trovato questa sonorizzazione troppo
invadente per l’eccessivo utilizzo del sintetizzatore, l’aggiunta di “parlato”
ad un film muto assolutamente fuori luogo, con la voce di Caligari tanto
gracchiante (volutamente, altre erano quasi normali) da somigliante a quella di
un robot di scadente qualità.
In
conclusione, eccezionale la qualità del restauro con immagini ben definite e di
tanti “colori” (virate al seppia, ocra, tonalità di grigio, verdine, ...) ma la
combinazione con questa “sonorizzazione” l’ho trovata un assoluto disastro.
125 Fados (Carlos Saura, Por, 2007) * con Camané, Carlos do Carmo,
Mariza, Carminho * IMDb 7,2 RT 96%
Buona scelta
di pezzi di fado, messi insieme nel solito sapiente stile di Saura. Conoscendo abbastanza il genere
musicale, ed essendo appassionato di quello tradizionale o quasi, non ho
particolarmente gradito l’intrusione di stranieri che lo rivisitano in stile
troppo estemporaneo. Al contrario, la combinazione di cantanti portoghesi di fado
castizo (dal 70enne Carlos do Carmo alle nuove leve come Carminho (classe ‘84), alle immagini d’archivio di Amália Rodrigues (1920-1999) e
dell’inconfondibile Alfredo Marceneiro
(morto nell’82 a 91 anni), è più che buona anche se, ovviamente, lungi dall’essere
esaustiva.
Non c’entra
con lo stile con il quale è stato realizzato il film ma, da aficionado,
avrei preferito che Saura avesse
approfondito il lato amatoriale invece che le cover. Esiste un mondo
estremamente variegato di fadisti che si esibiscono in piccoli locali, in
piccoli paesi, spesso senza neanche essere pagati. Inoltre, ogni anno si
svolgono innumerevoli concorsi di Fado amador (amatoriale) che
coinvolgono un gran numero di interpreti ed attirano un folto pubblico
estremamente competente. Ad Alfama (Lisbona), al lato dell’ingresso di una Casa
de Fado fa bella mostra di sé la l’azulejo qui al lato nel quale si
afferma che “è fadista sia chi lo canta che chi lo sa ascoltare”.
Per gli appassionati Fados è
imperdibile, per gli altri è un eccellente maniera per avvicinarsi a questo
tipo di musica tradizionale.
121 A
Lustful Man (Yasuzô Masumura, Jap, 1961) tit. or. “Koshoku ichidai otoko” *
con Raizô Ichikawa, Ayako Wakao, Tamao Nakamura, Michiko Ai * IMDb 6,7
Ennesima
originale messa in scena di Masumura, che in questo caso tratta di un donnaiolo
impenitente, disposto a tutto per le donne, dal mettere a rischio la propria
vita al dilapidare l’immensa fortuna di famiglia.
Solito
piacevole ritmo estremamente rapido, con una serie di scene composte di riprese
brevi e concise. Una “commedia erotica” molto soft, assolutamente non di
cattivo gusto, niente a che vedere con le “commedie sexy” italiane che
imperversavano qualche decennio fa o con i cinepanettoni.
Masumura, del quale parlai più volte a ottobre dell’anno
scorso in occasione di una retrospettiva a lui dedicata dalla Filmoteca Española,
si è cimentato in film dei generi più diversi, tutti abbastanza buoni e
congruenti con le sue idee, dirigendo ben 50 film in 15 anni.
123 Teorema (Pier Paolo Pasolini, Ita, 1968) * con Silvana Mangano, Terence Stamp,
Massimo Girotti, Anne Wiazemsky, Anne Wiazemsky, Laura Belli * IMDb 7,3 RT
90%
Vidi il film
qualche anno dopo l’uscita e non lo capii più di tanto. Dopo quasi 50 anni ho
voluto guardarlo di nuovo, ho colto (forse) qualche significato in più, ma
resto con il dubbio di quale sia l’enunciato del “teorema” e non ne capisco la
“dimostrazione”. Non sono riuscito ad
entrare in sintonia con i protagonisti e quindi non comprendo molte delle loro
reazioni.
Tuttavia,
rinunciando al voler trovare una logica, Teorema
ha comunque degli aspetti positivi, soprattutto per la costruzione non
lineare. In quanto a ciò, mi ha colpito il monologo di Pietro (il figlio) in
merito alla sua analoga visione dell’arte astratta, casuale e irripetibile. La
figlia Odetta è interpretata da Anne
Wiazemsky che appena due anni prima aveva acquisito una buona notorietà al
suo esordio, come protagonista di Au
hasard Balthazar (1966, Robert
Bresson). Anche in questo caso bisogna sorbirsi la presenza dell’incapace
Ninetto Davoli, oltretutto in un ruolo insignificante, ovviamente per i suoi
noti legami con il regista.
Come scrissi
il mese scorso commentando Uccellacci
e uccellini, fra i film di PPP i miei
preferiti restano Accattone (secondo me il migliore in
assoluto), Edipo Re e Il Vangelo
secondo Matteo (tutti rivisti con piacere negli ultimi mesi).
Vale la pena
di guardare Teorema più che
altro per avere una visione esaustiva dei lungometraggi di Pasolini, compito relativamente facile trattandosi di soli 13 film.
124 Two-legged
Horse (Samira
Makhmalbaf, Iran, 2008) tit. or. “Asbe du-pa”
* con Ziya Mirza
Mohamad, Haron Ahad, Gol-Ghotai * IMDb 7,1
Pur essendo
interessante dal punto di vista sociale ed antropologico, come altri film
simili ambientati nel pressoché sconosciuto Medioriente, Two-legged Horse non mi ha convinto. L’ho trovato ripetitivo,
mal montato, eccessivo nel ricorrente indugiare sul puledro neonato, le gare
fra i ragazzini in groppa alle loro “cavalcature” (tutti asini tranne il “cavallo
a due zampe”) sono realizzate in modo molto approssimativo, la piccola
mendicante è troppo poco credibile. C’è da dire che la sceneggiatura ed il
montaggio sono opera del padre, il regista Mohsen
Makhmalbaf (Gabbeh, Kandahar, Il silenzio, ...), produttore di film come Osama (Golden Globe,
pluripremiato a Cannes), genitore anche di Hana
(di 8 anni più giovane di Samira)
che nel 2007 diresse il suo secondo e - al momento - ultimo film: Sotto le rovine del Buddha (2 premi a
Berlino). L’interesse di questa famiglia di cineasti sembra essere indirizzato quasi
esclusivamente alle aree rurali più povere dell’Afghanistan.
Samira aveva
precedentemente ricevuto numerosi riconoscimenti a Cannes per i suoi primi 3 lungometraggi
- Sib (1998, La mela), Takhté siah (2000, Lavagne)
e Panj é asr (2003, Alle 5 della sera) - ma questo Two-legged Horse sembra che non sia stato egualmente
apprezzato e, non so se è solo un caso, è stato l’ultimo dei suoi quattro. Tuttavia,
si deve sottolineare che nel 2002 le fu affidata la realizzazione del primo
degli 11 corti che compongono il film 11
settembre 2001, presentato e premiato a Venezia, e guardate in che
ottima compagnia si trovava: Claude
Lelouch, Youssef Chahine, Alejandro González Iñárritu, Ken Loach, Amos Gitai, Mira Nair, Shōhei Imamura, Sean Penn, Danis Tanović
e Idrissa Ouédraogo.
Mi
riprometto di cercare altri film diretti dai membri di questa famiglia (oltre a
quelli già visti) e guardare quanto riuscirò a recuperare.
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