sabato 19 marzo 2022

Microrec. 76-80 del 2022: ottimi bianco e nero, media 7,7 e 94%

Cinquina con una prima (per me) del secolo scorso e quattro film già visti di pochi anni fa (2009-2017), che senza dubbio hanno meritato le nuove visioni. Il più noto al grande pubblico, e ufficialmente acclamato, è quello in merito al quale nutro qualche riserva; gli altri probabilmente li inserirò di nuovo in cartellone fra qualche anno.

1945 (Ferenc Török, 2017, Ung)

Che bel film!!! Che bella storia, che bella fotografia (inquadrature e bianco e nero), che bel commento sonoro! Gli ungheresi vantano una solida e storica tradizione cinematografica e sanno produrre bei film, di cinematografia pura, senza dover ricorrere a grandi star né a grandi investimenti. Questo 1945 pare sia costato meno di 1,5 milioni di euro e conta su un ottimo cast di veri attori e non un fritto misto di bellocci incapaci e procaci ma insipide fanciulle. In questa breve storia che si sviluppa nelle ore diurne di un sol giorno dell’immediato dopoguerra, si assiste all’arrivo in treno di due misteriosi uomini con due grandi casse che caricano su un carretto, per poi avviarsi verso il paese dove tutto è pronto per un matrimonio. A tratti fa pensare a Bodas de sangre di García Lorca, in altri momenti a Cronaca di una morte annunciata di García Marquez. Dal momento in cui si sparge la voce dell’arrivo dei due sconosciuti, nel paese niente va più nel verso giusto. Mentre la tensione sale, si assiste a scontri violenti negli ambiti familiari, a ripicche, rimorsi, minacce e pentimenti; per la maggior parte del tempo con un occhio a sorvegliare i due uomini che seguono a piedi il carretto con le casse.  

In questo trailer HD, che consiglio di guardare a schermo intero e almeno a 720p, si può notare molto di quello che mi è piaciuto (tutto), vale a dire angoli di ripresa, montaggio, fotografia, tempi, costumi, recitazione, scenografia, storia, commento sonoro e regia. Assolutamente consigliato, da non perdere!

 

Blancanieves
(Pablo Berger, 2012, Spa)

Film di grandissimo pregio che però, purtroppo, non è riuscito ad avere una buona distribuzione, probabilmente limitato dai preconcetti che tanti hanno nei confronti del bianco e nero. Per dare un’idea del suo pregio, basti ricordare che ebbe 18 Nomination ai Premi Goya (i più importanti per i film in spagnolo) guadagnandosi ben 10 premi. Ha ottenuto altri 38 premi e oltre 50 nomination in Festival di tutto il mondo. Pochi ne avranno sentito parlare e ancor di meno avranno visto questo film spagnolo del 2012 che, similmente a The Artist (2011), è in bianco e nero e con solo commento sonoro più cartelli ma che ha ben poco a che vedere con il suo più famoso e acclamato collega. La trama, che solo vagamente segue la storia della Biancaneve dei Grimm, viene ambientata nell’Andalusia degli anni ’20 ed è infarcita di citazioni cinematografiche - p.e. Freaks (1932, Tod Browning) e Faust (1926, F. W. Murnau) - e di riferimenti ad altre favole (p.e. Pinocchio e Cenerentola). Fotografia e montaggio assolutamente superlativi, e non solo secondo me. Precisa e nitida ricostruzione di un’epoca e di alcuni ambienti sia attraverso ritratti di semplici comparse (complimenti anche a chi ha diretto il casting) sia soffermandosi su ambienti, oggetti e, ovviamente sui rituali e superstizioni legate alla corrida. Anche la colonna sonora è stata molto apprezzata ed ha conseguito numerosi premi, in particolare per la canzone originale No te puedo encontrar (Silvia Pérez Cruz, voce, Juan Gómez Chicuelo, chitarra). La trama ha vari sviluppi inaspettati, fino al termine ... e le scene di suspense in stile classico con lunghi primi piani sfociano spesso in un montaggio frenetico che non sempre descrive ciò che ci si aspetta. Anche se non fedele alla storia originale, sono presenti e ben descritti tutti gli elementi sostanziali di una favola classica: innocenza, ingenuità, bontà e coraggio avversate da perfidia, invidia, gelosia e avidità.

The White Ribbon (Michael Haneke, 2009, Ger)

Questo film confermò l’impressione che ebbi di Haneke dopo aver guardato Caché (2005): ottimo regista, tempi perfetti, belle inquadrature. Con Il nastro bianco (tit. it.) dimostra che senza dubbio tratta magnificamente anche il bianco e nero, confermando anche la capacità di gestire al meglio soggetto e sceneggiatura. La misteriosa storia viene narrata da un testimone diretto degli strani eventi che si svolsero durante l’anno precedente l’inizio della I Guerra Mondiale, in una piccola comunità rurale austriaca nella quale tutti al servizio di un Barone. Questa volta il Haneke fornisce più indizi per indirizzare lo spettatore alla ricerca di chi sia a provocare i misteriosi incidenti e chi sia l’autore di vere e proprie aggressioni. Oltretutto, non essendo palese che si tratti sempre della stessa persona, si resta liberi di pensare che gli avvenimenti non siano connessi tra loro, o che dietro tutto ciò ci sia un gruppo di persone che agiscono seguendo un preciso schema. Senz’altro ne consiglio la visione; non a caso ottenne due Nomination agli Oscar (fotografia e miglior film straniero), vinse un Golden Globe, ben 4 premi a Cannes oltre ad un’altra cinquantina di successi. Da non perdere!

 

The Artist (Michel Hazanavicius, 2011, Fra)

Come anticipato, di questo gruppo è quello con meno carattere; sembra più un omaggio ai tempi d’oro del cinema muto hollywoodiano (fine anni ’20) e al triste (per alcuni) passaggio al sonoro, che sconvolse la vita di tanti cineasti che non riuscirono ad adattarsi e riciclarsi velocemente alle nuove tecnologie. Nonostante l’Oscar, Jean Dujardin nelle vesti del protagonista George Valentin non offre una grande prova, ma probabilmente non è tutto demerito suo ma di chi ha voluto creare un personaggio con un perenne falso sorriso; il film ottenne altri 4 Oscar e 5 Nomination. Certamente più convincenti sono l’allora semisconosciuta Bérénice Bejo, il solito John Goodman e anche Uggie (il cane)! Comunque si tratta di dettagli e di opinioni personali; anche questo film merita senz’altro una visione.

Subarnarekha (Ritwik Ghatak, 1965, Ind)

Il regista (ma anche sceneggiatore e autore teatrale) Ritwik Ghatak fu uno degli elementi di spicco del Parallel Cinema indiano, movimento ispirato al neorealismo italiano che, precedendo la Nouvelle Vague francese e la Japanese New Wave, rivoluzionò gli stili e i contenuti di quella cinematografia, insieme con altri registi apprezzati in tutto il mondo a cominciare da Satyajit Ray e Mrinal Sen. I riferimenti storici e sociali in Il fiume Subarna (tit. it.) sono relativi agli anni immediatamente successivi alla divisione dell’India coloniale (1947), i rifugiati, la condizione femminile e la separazione delle caste. Ma al di là di tali temi ben trattati, ancorché superficialmente, del film si apprezzano fotografia, inquadrature e prospettive, con tanto uso di grandangoli e riprese dal basso. Quelli che pensano che la cinematografia indiana sia solo il più o meno moderno stile Bollywood, dovrebbero guardare qualcuno dei film del Parallel Cinema, per lo più in idioma bengali e non in hindu.

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