venerdì 4 marzo 2022

Microrec. 66-70 del 2022: ultimo pluri-candidato Oscar e 4 film più che buoni

Con il deludente remake (come spesso lo sono i remake) di Spielberg ho guardato tutti i seri pretendenti agli Oscar. Ho aggiunto un ottimo, breve film messicano che già conoscevo, del quale ho trovato la versione recentemente restaurata a 1080p, e 3 film di Sayles, regista/sceneggiatore poco conosciuto ma certamente valido … storie di vario genere, molto interessanti e ben proposte, piacevoli sorprese.

 
West Side Story (Steven Spielberg, 2021, USA)

Come tutti sanno è un remake del film del 1961, a sua volta adattamento cinematografico del famoso musical andato in scena a Broadway a partire dal 1957. A distanza di 60 anni, nonostante le maggiori possibilità tecniche e la disponibilità di un grosso budget, la versione di Spielberg non è talmente migliore (sempre che lo sia) della versione originale per giustificare il remake. Ci sono vari cambiamenti fra le versioni e da quello che ho visto in questo si è badato più alla danza che alle interpretazioni (generalmente scadenti o, al più, appena sufficienti). In più casi si vedono i componenti delle gang attorno ai protagonisti in classica posa statica da ballerini e non spontanea da attori più credibili. Pare che si sia pensato troppo alle improbabili luci e scenografie nonché a parte dei costumi, invece di badare alla sostanza cinematografica. Sostanzialmente è un semplice dramma che, nonostante la buona musica, resta uno spettacolo poco coinvolgente essendo basato su un soggetto vecchio come il mondo, ancor più antico dello shakespeariano Romeo e Giulietta e già proposto in tutte le salse; quindi niente di nuovo, tutto scontato. A meno che non siate proprio appassionati dei musical, questo è certamente evitabile e non penso che valga le sette candidature Oscar. Fra i musical dell’anno scorso, a questo (e ancor di più al tick, tick...BOOM! con Andrew Garfield) preferisco di gran lunga In the Heights, anche se più semplice e leggero.

Redes (Emilio Gómez Muriel e Fred Zinnemann, 1935, Mex)

Opera prima di Gómez Muriel e prima regia ufficiale di Zinneman (anche se condivisa; in seguito vinse 4 Oscar) dopo la sua unica co-regia uncredited in patria ma guardate in che compagnia: Billy Wilder, Robert Siodmak, Curt Siodmak e Edgar G. Ulmer. Piccola (in quanto breve, circa un’ora) perla del cinema messicano, con eccellente bianco e nero. La storia si sviluppa in un piccolo centro peschiero messicano dove, ovviamente, i pescatori sono sfruttati e vessati dai grossisti e armatori. Una storia in parte simile a quelle di Janitzio (1935, Mex, Carlos Navarro, con un giovane Emilio el Indio Fernandez), di La terra trema (1948, Luchino Visconti) che però è adattata da “I Malavoglia” di Verga, e, recente scoperta, di The Wasps Are Here (1978, Sri Lanak, Darmasena Pathiraja). Interessante sia dal punto di vista sociale e che per le scene di pesca, la storia non è del tutto scontata, la fotografia è bellissima, sempre con molta luce ed ombre nette. Non per niente questo film è stato scelto da Martin Scorsese per essere restaurato e far parte del suo World Cinema Project.

  
Sono arrivato a questi 3 buoni film di Sayles dopo aver trovato Hombres armados cercando fra i film messicani. Dopo questo trittico devo dire che, più di quello, mi sono piaciuti molto i due precedenti lavori di questo regista indipendente del quale avevo già visto solo Matewan (1987, Nomination Oscar, RT 94%, IMDb 7,9), ottima ricostruzione dei moti sindacali registratisi nella omonima città mineraria della Virginia nel 1920 e conclusisi con quello che si ricorda come Matewan massacre. Complessivamente mi sembra molto incisivo nella creazione e descrizione dei suoi realistici personaggi (scrive le sceneggiature di tutti i suoi film, ma ha scritto anche per altri) attraverso i quali mette in risalto problemi sociali ed esistenziali riuscendo a evitare stereotipi e banali cliché e proponendo sempre punti di vista differenti.

Passion Fish (John Sayles, 1992, USA)

La protagonista May-Alice (attrice televisiva di successo, interpretata da Mary McDonnell, Nomination Oscar) si trova improvvisamente costretta su una sedia a rotelle nella sua residenza di famiglia al margine delle paludi della Louisiana, situazione che affronta nel peggiore dei modi. Dopo aver cambiato varie assistenti/badanti (licenziate o licenziatesi dopo pochi giorni di lavoro) troverà Chantelle (Alfre Woodard) che, avendo anche lei i suoi bravi problemi, riuscirà a tenerle testa. Argute non solo le caratterizzazioni delle due donne, ma anche delle ex colleghe di lavoro e dei pochi uomini che compaiono nel film, alcuni dei quali solo per poche scene. Ottimo dramma che alterna parti più serie a scene sarcastiche di critica sociale. Nomination Oscar per la sceneggiatura.

Lone Star (John Sayles, 1996, USA)

Tutt'altro ambiente, ma di nuovo nel sud degli USA, qui al confine con il Messico. Lo scontro in questo caso è fra la legalità e le minacce, fra la tolleranza con buone intenzioni e la corruzione. Un giovane sceriffo si trova a dover risolvere un omicidio di vari decenni prima, forse perpetrato da suo padre, poi diventato sceriffo al posto della vittima. Interessante la descrizione dell'interpretazione della legge nella piccola cittadina di frontiera, così come quella della convivenza fra le tre comunità: bianca, nera e latina. Con tanti flashback ben trattati nei quali si alternano i protagonisti attuali e quelli dell'epoca dell'omicidio ferma restando la location, il film scorre fluido svelando pian piano i caratteri dei protagonisti e gli avvenimenti che portarono all'omicidio. Buone le interpretazioni pur non essendoci grandi star, perfino Kris Kristofferson (di solito poco convincente) sembra bravo e perfettamente calato nella parte del corrotto. Nomination Oscar per la sceneggiatura.

Hombres armados (John Sayles, 1997, Mex/USA) aka Men with Guns

Qui Sayles si sposta ancora più a sud ambientando la storia in un non meglio identificato paese centroamericano dove i poverissimi indigeni (indios) cercano di sopravvivere alle ingiustificate violenze e vessazioni che subiscono sia da parte dei militari che dei guerriglieri. Parlato in spagnolo latino alternato a nahuatl, con poche parole in inglese, tratta del difficile viaggio di un anziano dottore (Federico Luppi) fra luoghi e ambienti inospitali, alla ricerca dei giovani medici che lui stesso aveva formato proprio per andare a curare le popolazioni isolate nella selva. Senza dubbio risalta una decisa critica rispetto a tali contesti che si incontrano in modo simile dai paesi dell’America meridionale fino in Messico, passando per Nicaragua, El Salvador e Guatemala. Da ciò deriva la scelta di non localizzare con precisione nazione e anni in quanto l’insensatezza (per non dire la follia) di tali situazioni è problema diffuso e ricorrente, con minimi distinguo.

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