mercoledì 21 aprile 2021

micro-recensioni 86-90: ottimo mix con Oscar (sconosciuto ai più)

Cinquina veramente varia, se non per un protagonista in comune fra i due film americani e l'ambientazione in un vagone ferroviario per altri due. Qualità media  più che buona nonostante ci sia un solo titolo conosciuto. 

 

Badlands (Terrence Malick, 1973, USA)

Opera prima di Malick, seconda apparizione sul grande schermo per Sissy Spaceck, primo ruolo importante come protagonista per Martin Sheen. Uno dei tanti film di quel decennio dedicato ai ribelli, ai giovani non convenzionali, agli ambienti del Midwest, ma certamente fra i migliori del genere. Non solo conta su una buona sceneggiatura, ma anche su un’ottima fotografia che sfrutta al meglio le scenografie naturali delle grandi pianure che si stendono a perdita d’occhio. Anche i due giovani attori protagonisti si dimostrano già apprezzabili lasciando prevedere la successiva più che soddisfacente carriera. La storia narra di un 25enne (che si atteggia a sosia di James Dean) che fugge con una 15enne lasciando dietro di sé una scia di morti. Il rapporto fra i due, con il padre di lei (Warren Oates) e con le persone in cui si imbattono nel corso del loro viaggio è sempre diverso, quasi sempre Kit (Sheen) è educato e cortese ma non si sa mai come andranno a finire questi incontri più o meno casuali; anche il finale è tutto una sorpresa in quanto all’atteggiamento del protagonista. Ottimo adattamento di un reale fatto di cronaca degli anni ’50; in Italia fu distribuito con titolo La rabbia giovane.

The Incident (Larry Peerce, 1967, USA)

Dopo aver ri-guardato dopo tanti anni Badlands, mi è venuta la curiosità di recuperare il film d’esordio di Martin Sheen nel quale interpreta uno dei due balordi (l’altro è Tony Musante) che terrorizzano i passeggeri di una carrozza della metropolitana di New York in piena notte. Film praticamente corale, con tanti buoni caratteristi. Interessante anche la costruzione che presenta brevemente single e coppie che si accingono a prendere la metropolitana, a differenti stazioni, dopo la serata passata in modo molto diverso … ma tutti finiscono nella stessa ultima carrozza del convoglio, che ha la porta di comunicazione bloccata. Da quel punto in poi, praticamente metà film, diventa quasi una pièce teatrale, una dozzina di personaggi chiusi in uno spazio ristretto con i due giovinastri che a turno attaccano briga e insultano tutti i passeggeri fino al (non troppo inaspettato) finale.

  

Six Shooter (Martin McDonagh, 2004, UK/Irl)

Opera prima di McDonagh, unico suo corto con il quale vinse l’Oscar, prima di affermarsi definitivamente presso il grande pubblico con i suoi soli 3 lungometraggi (il quarto è in lavorazione, ma non se ne conosce ancora il titolo). Questo regista/sceneggiatore irlandese è certamente fuori del comune, sia per la sua bravura in entrambi i campi, sia per essere praticamente specializzato in dark comedy e in questo suo esordio già evidenzia tale tendenza. La mezz’ora di questo quasi mediometraggio scorre per lo più nel vagone di un treno locale poco affollato; ognuno dei pochi passeggeri ha i suoi problemi avendo da poco subìto la perdita di un congiunto ma li affrontano e metabolizzano in modi molto diversi. Il protagonista è il sempre bravo Brendan Gleeson, che sarà poi anche in In Bruges e nel prossimo – al momento anonimo - film.

King of Devil's Island (Marius Holst, 2010, Nor)

Uno dei pochi film prodotti in Norvegia ad avere distribuzione internazionale, ma ovviamente non in Italia. Si tratta di un buon film girato in un “quasi bianco e nero” che si svolge su una piccola isola norvegese sulla quale si trova una specie di riformatorio. Pur riproponendo le inevitabili classiche situazioni che si ritrovano in film che trattano di prigioni, collegi, campi di lavoro e simili, lo sviluppo è abbastanza originale e i personaggi sono ben delineati e ben interpretati, senza le frequenti esagerazioni; inoltre, conta anche su un buon finale, certamente insolito. Fra i protagonisti, nei panni del direttore, c’è Stellan Skarsgård, di recente divenuto famoso per la serie Chernobyl, ma gli spettatori più attenti lo ricorderanno in tanti film girati non solo in Scandinavia (Millenium, Melancholia, Nymphomaniac, …), ma anche in Europa continentale (Ronin, Goya's Ghosts, …) e oltreoceano (Good Will Hunting, Angels & Demons, …).  

The Wife of Seishu Hanaoka (Yasuzô Masumura, 1967, Jap)

Ho parlato molte volte di questo prolifico e versatile regista giapponese che ha studiato anche a Roma, avendo come insegnanti Antonioni, Fellini e Visconti. Ha affrontato con disinvoltura e successo quasi tutti i generi ed in questo caso (novità fra le varie decine che ho visto) si cimenta in un interessante biopic. Seishu Hanaoka fu un medico/ricercatore vissuto a cavallo fra il ‘700 e l’800 e fu il primo al mondo ad operare un paziente in anestesia totale. Avendo studiato sia la medicina europea (conosciuta come olandese) che cinese ed esperto di erboristeria creò il primo anestetico con una mix di estratti di piante e fra le sue “cavie” ci fu anche sua moglie (da cui il titolo). Anche in questo caso Masumura non delude, anche perché conta su due delle migliori attrici dell’epoca (Ayako Wakao e Hideko Takamine) nelle vesti della moglie e della madre del medico, relativamente rivali.

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