Avevo cominciato con l’ultimo dei Contes des quatre saisons di Rohmer che ho abbinato ad una commedia muta di un altro maestro del genere: Ernst Lubitsch. Su MUBI è poi apparso un horror giapponese diventato subito un cult per aver incassato 1.000 volte la somma investita per la produzione. La mente è quindi andata ad un altro cult a bassissimo budget che ho voluto guardare di nuovo e ho completato la cinquina con uno splatter molto dark di Tim Burton.
One Cut of the Dead (Shinichirô Ueda, Jap, 2017) tit. it. Zombie contro zombie
La traduzione letterale del titolo
originale è: Non fermare la ripresa! e si riferisce ovviamente al piano
sequenza iniziale di 37 minuti realizzato per un programma televisivo in
diretta. In effetti il film si può dividere in due parti ben distinte pur
essendo sostanzialmente molto simili. Il tecnicamente molto pregevole (ancorché
quasi amatoriale) piano sequenza con il quale si apre il film viene proposto
come un programma in diretta sul tema zombie. Appena terminato, inizia un
flashback che farà scoprire agli spettatori le origini dell’idea, il
reclutamento del cast e infine come si è riusciti a portare a termine il lavoro
nonostante i mille imprevisti che, ovviamente, non svelo. Di conseguenza, la
prima parte si presenta veramente come un B-horror sgangherato, mentre la
seconda appare molto più creativa e divertente svelando trucchi,
improvvisazioni e incidenti … fino alla fine. Sostanzialmente è un’operazione
perfettamente riuscita (100% di recensioni positive su RT, e sono 95, non due o tre) per questo gruppo composto per lo più da esordienti che
hanno pagato loro stessi per produrre il film che è costato 25.000 $ e ne ha
incassati 25 milioni! Un simile successo basato sull’idea di mostrare le
riprese di un film amatoriale nel film fu The Blair Witch Project
(1969) con 248 milioni incassati a fronte di 60.000$ investiti, anche se dopo l’enorme
successo al Sundance fu sottoposto ad un gran lavoro di post-produzione raggiungendo
il ½ milione). Fra gli altri film a ridottissimo budget diventi cult posso
ricordare il geniale Tangerine (2015, di Sean Baker,
girato con 3 iPhone) e El Mariachi (1992, esordio di Robert
Rodriguez), che per tal motivo ho inserito in questa cinquina.
Conte d'automne (Éric Rohmer, Fra, 1998)
Ultimo dei Contes des quatre saisons che, a differenza degli altri, vede come protagonisti personaggi di mezza età, trattando solo marginalmente gli amori giovanili. Ambientato nelle campagne della valle del Rodano, propone un intreccio di relazioni amorose; varie amiche (ognuna senza dir niente alle altre) tentano di trovare un compagno ad una vedova che vive semi-isolata prendendosi cura del suo vigneto nell’Ardeche. Equivoci, casualità, discorsi accademici sull’amore e vita di coppia, aspirazioni, corteggiamenti e matrimoni, non fanno certo annoiare gli spettatori. Abbastanza più vario rispetto agli altri del ciclo.
El Mariachi (Robert Rodriguez, Mex/USA, 1992)
Primo lungometraggio di Robert
Rodriguez, che diede seguito alla storia con Desperado (1995)
nel quale inserì un cameo di Quentin Tarantino e da allora i due
divennero collaboratori a tutti gli effetti. Infatti seguirono Dal
tramonto all’alba (1996, sceneggiatura di Tarantino), l’ottimo Sin
City (2005, co-diretto con Frank Miller e Quentin Tarantino
come special guest director), Grindhouse (2007) doppio
spettacolo con Planet Terror diretto da Rodriguez e Death
Proof da Tarantino. Il regista aveva cominciato da piccolo a
produrre short casalinghi e grazie a tale esperienza riuscì a girare questo
film spendendo solo 7.000 dollari fungendo da produttore, regista, sceneggiatore,
responsabile degli effetti speciali e operatore. La storia si basa su un
classico scambio di persona: un mariachi itinerante con la sua chitarra e un
pericoloso criminale che in una custodia simile nasconde un arsenale.
Recitazione molto scadente ma per questo tipo di operazione, e a questi costi,
tutto è giustificato. Premio del pubblico al Sundance.
The Marriage Circle (Ernst Lubitsch, USA, 1924)
Regista berlinese già applaudito in
patria, nel 1923 iniziò la sua carriera hollywoodiana con Rosita
(con Mary Pickford) e questa commedia sofisticata fu il suo secondo
successo. Un intreccio di tentati corteggiamenti, speranze di divorzi,
pedinamenti, quasi scambi di mogli e amicizie tradite nell’ambiente dell’alta
società. Rispetto a molti film della stessa epoca, si distingue la moderazione
nella recitazione, senza attori che si agitano in modo esagerato, controllo dei
tempi e giusta quantità di cartelli. Non per niente Lubitsch fu un
modello per tanti, ottenendo 3 Nomination Oscar e infine insignito dell’Oscar
alla carriera nel 1947. Fra i suoi film più noti Ninotchka (1939),
Il cielo può attendere (1943) Vogliamo vivere
(1942, 228° miglior film di tutti i tempi).
Sweeney Todd (Tim Burton,
USA/UK, 2007)
Penso che se Tim
Burton avesse rinunciato proporlo in chiave musical, il film avrebbe
potuto ottenere miglior successo. Troppe sono le canzoni e per niente
avvincenti; a qualcuno probabilmente ha dato anche fastidio l’eccessivo
spargimento di sangue conseguenza dei tanti sgozzamenti e lo “stile della
cucina”. La sceneggiatura, comunque molto dark e con vari twist, è al
contrario interessante e avvincente, con vari personaggi grotteschi
interpretati da bravi attori, il tutto inquadrato nelle ottime scenografie
completate da arredamenti e costumi di qualità. Oscar per le scenografie a Dante Ferretti
e Francesca Lo Schiavo, Nomination per i costumi e a Johnny Depp
protagonista.
Nessun commento:
Posta un commento