martedì 30 agosto 2022

Microrecensioni 251-255: neonoirs, 4 di David Lynch

Cineasta apparentemente poco prolifico, con appena 12 lungometraggi (10 con sua sceneggiatura) dal ’77 ad oggi, ma al contrario non lo è assolutamente se si aggiungono una trentina di corti e le tante serie televisive, la più nota delle quali è Twin Peaks e la più recente Weather Report (ben 152 episodi), ma è anche annunciata Unrecorded Night della quale sono già pronte 13 puntate. Caratteristiche di David Lynch sono le sempre ottime colonne sonore, di vario genere, ma con pezzi sempre molto ben scelti, la fotografia molto curata con gran prevalenza di sfondi scuri, non disdegna certo parti erotico-sensuali, il montaggio molto meticoloso che riesce a mettere insieme le storie principali con vari sub-plot che talvolta, a prima percezione, sembrano aver ben poco a che fare con i protagonisti. In quanto a violenza, humor nero e spargimenti di sangue talvolta viene accostato a Quentin Tarantino ma rispetto a questo è certamente molto più elegante e raffinato. Certamente differenti per struttura e (sottilmente) genere, tutti e 4 i film di Lynch meritano la visione.

 
Mulholland drive (David Lynch, USA, 2001)

Comunemente riconosciuto come miglior film di Lynch, per quanto enigmatico e criptico possa essere … Nomination Oscar per la regia, miglior film dell’anno e del decennio per Cahiers du Cinéma, miglior regia (alla pari con The Man Who Wasn't There di Joel Coen) e Nomination Palma d’Oro a Cannes e un’altra 50ina di Premi e altrettante nomination. Cinematografia molto raffinata per una storia che ha fatto scervellare parecchi spettatori nel tentativo di mettere insieme i vari pezzi della storia, i particolari e personaggi sparsi qua e là, che apparentemente scompaiono e poi riappaiono, a volte con altri nomi e differenti ruoli. Non a caso in rete si trovano tante pagine dedicate specificamente all’interpretazione del film, ma non mancano voci discordanti … certamente una sceneggiatura molto interessante ma che lascia perplessi, specialmente alla prima visione. Un film da non perdere, ma per apprezzarlo lo si deve guardare con grande attenzione altrimenti veramente non si capisce niente!

Blue Velvet (David Lynch, USA, 1986)

Indagine personale di un intraprendente (aggiungerei molto imprudente) giovane che coinvolge nella sua fissazione per la ricerca della verità la figlia di un detective e si trova a doversi confrontare con pericolosi criminali. La parte investigativa avvicina il film al genere crime anche se il coinvolgimento della polizia è marginale. Sceneggiatura come al solito sorprendente, nella quale si inseriscono personaggi molto particolari, interpretati brillantemente da Isabella Rossellini, Dennis Hopper e Dean Stockwell. Nomination Oscar per la regia

   
Wild at Heart (David Lynch, USA, 1990)

Questo è più vicino al genere dark comedy che vero e proprio neo noir. Essendo popolato da personaggi a dir poco grotteschi a cominciare da quello del sempre bravo Willem Dafoe. Il cast comprende anche Diane Ladd (Nomination Oscar non protagonista), Harry Dean Stanton, di nuovo Isabella Rossellini e Laura Dern (che anche qui non convince) e Nicolas Cage (interpretazione veramente scadente, come spesso gli accade). Due giovani amanti vengono perseguitati dalla madre di lei, assolutamente contraria al rapporto, apparentemente solo per mancanza di stima ma pian piano nel corso del film verranno alla luce ben altri motivi. Palma d’Oro a Cannes

Lost Highway (David Lynch, USA, 1997)

Incentrato su storie parallele, vale a dire classico caso di doppelganger o sosia (entrambe interpretate da Rosanna Arquette). Al limite del surreale e fantasy, fra i piccoli ma fondamentali ruoli cari a Lynch troviamo un misteriosissimo personaggio interpretato dal piccoletto Robert Blake che ebbe il suo breve periodo di gloria una cinquantina di anni fa come protagonista del primo adattamento del noto lavoro di Truman Capote In Cold Blood (1967, Richard Brooks, 4 Nomination Oscar) e poi con Electra Glide (1973, James William Guercio, Palma d’Oro a Cannes). Il film si sviluppa quindi quasi con due cast differenti e storie apparentemente ben distinte se non fosse per la straordinaria somiglianza delle due giovani donne e il “personaggio misterioso”. Terzo miglior film dell’anno per Cahiers du Cinéma.

To live and die in L.A. (William Friedkin, USA, 1985)

Questo è stato il primo della cinquina, l’avevo visto vari decenni fa e avevo curiosità di guardarlo di nuovo, ma alla fine sono rimasto deluso, lo ricordavo migliore. William Friedkin non è certo regista da poco avendo diretto The French Connection (aka Il braccio violento della legge, 1971, 5 Oscar e 3 Nomination) e The Exorcist (1973, 2 Oscar e 8 Nomination), ottenendo l’Oscar nel primo caso ma solo la Nomination nel secondo. Questo poliziesco si presenta però come un’americanata con inseguimenti impossibili nel famoso L. A. River (attualmente un grande canale cementato, visto in tanti film) e lungo le autostrade di Los Angeles, anche contromano nonostante il traffico. I detective protagonisti si comportano spesso in modo insulso e vista la loro incapacità ci si meraviglia come siano ancora vivi, visto che hanno a che fare con criminali senza scrupoli della peggior specie. Si può evitare la visione.

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