martedì 21 giugno 2022

Microrecensioni 176-180: 3 film fuori dagli schemi e 2 standard

Già si intuisce che questo gruppo è molto vario, con due film di genere, di quelli che si producevano quasi in serie rispettivamente in Messico e Giappone nel secolo scorso, e tre recentissimi che trattano di argomenti che vanno dall’immigrazione al razzismo, guerre civili e produzioni porno.

 
Farewell Amor (Ekwa Msangi, 2020, USA)

Storia di un ricongiungimento familiare dopo 18 anni … il padre, integrato tassista a New York, riceve moglie e figlia rimaste in Angola per tutto quel tempo. Le moderne idee di indipendenza della ragazza cozzano con il fanatismo religioso della madre che, ovviamente, si scontra anche con suo marito ampiamente americanizzato, incredibilmente paziente e pacificatore. La regista è una tanzaniana-americana, nata in California, cresciuta in Kenya, attualmente insegna alla New York University. Con buon garbo sottolinea l’inevitabile cultural clash all’interno della stessa famiglia, anche se tutto sembra un po’ troppo edulcorato. Molto convincenti gli attori, specialmente Ntare Guma Mbaho Mwine e Zainab Jah, rispettivamente nei ruoli di padre e madre. Positive ben il 97% delle 72 recensioni professionali raccolta su RT.

Pleasure (Ninja Thyberg, 2021, Swe)

Questo film molto sui generis è proposto su MUBI e tratta del mondo del cinema porno, soprattutto dal punto di vista degli attori. Ho scritto sui generis in quanto visivamente si propone meno di tanti film erotici appena spinti e sono messi in evidenza più membri maschili che parti intime femminili. La protagonista è una giovane svedese che arriva in California con il preciso scopo di diventare una superstar del porno e fra successi e delusioni farà molta strada. Penso che in ogni ambiente si trovino i buoni e i cattivi, professionisti ed avventurieri, e qui si mettono in risalto i preliminari nei quali si concorda cosa l’attrice è disposta a fare e cosa no, nonché il suo cachet. Anche nelle scene più violente c’è un codice con il quale si chiede di interrompere le riprese. Si parla di come vengono valutate le star, con followers sui social, visualizzazioni su YouTube e su che tipo di scene di sesso spinto sono disposte ad interpretare. Gli spettatori potranno anche riflettere sugli enormi guadagni realizzati in questo campo nel quale si producono film (meglio dire corti o videoclip) in poche ore e con solo due o tre interpreti ed uno staff composto da regista (talvolta anche operatore) e uno o due tecnici luci/suono, contro le centinaia di persone impiegate per la realizzazione di un vero film le cui riprese durano settimane se non mesi e spesso vanno in perdita. Per fortuna ci sono alcuni indipendenti che riescono a combinare le due cose proponendo buoni prodotti con staff e cast ridotti all’osso e attrezzature non troppo sofisticate, come il pluripremiato Tangerine (2015, di Sean Baker, 96% su RT) girato con tre iPhone 5s e con una app da $8; la gran parte dei 100.000 dollari del budget furono utilizzati per convertire le immagini in un formato professionale, proiettabile nelle sale.

  
Notre-Dame du Nil (Atiq Rahimi, 2019, Fra/Bel)

Un regista afghano ci porta in Ruanda una ventina di anni prima della sanguinosa guerra civile nota come genocidio del Ruanda, quando gli hutu uccisero quasi un milione di tutsi. Sono gli anni 70, il Ruanda (ex colonia belga) è già una repubblica da una decina di anni, ma il fuoco dell’odio razziale cova sotto la cenere, anche nell’isolato collegio femminile riservato alle figlie di politici e militari. Gli attriti fra le ragazze appartenenti alle due etnie ricalcano un po’ i soliti schemi, ma la parte interessante trattata nel film è quella della interferenza alternata a indifferenza delle istituzioni religiose (nel collegio c’è una superiora bianca e un sacerdote nero) e la presenza di coloni europei rimasti in Ruanda. Le adolescenti crescono quindi lontane dalla realtà quotidiana ma indottrinate contemporaneamente dalle proprie famiglie (spesso con idee razziste sia nei confronti dei bianchi che dell’altra etnia), dalle regole religiose imposte dal cattolicesimo e dalle credenze nei riti e magie tradizionali. Fu premiato con l’Orso d’argento a Berlino e giudicato miglior film a Giffoni (+16).

Isla para dos (Tito Davison, 1959, Mex)

Classico melodramma romantico che vede protagonista uno dei migliori attori della Epoca de Oro del Cine Mexicano: Arturo de Córdova. Senza infamia e senza lode, quasi teatrale per avere pochissimi personaggi e (tranne la prima breve parte in ambiente ricco/borghese) per svolgersi in un resort isolato fra le montagne (l’isola immaginaria). Il maturo protagonista (pittore) è l’unico ospite oltre ad una giovane pianista e i due sono accuditi dalla famiglia dei gestori composta da un giovane insulso, un padre paziente ed una madre logorroica e intrigante (qui la parte di commedia). Piacevole.

Yakuza Soldier Rebel in the Army (Yasuzô Masumura, 1972, Jap)

Nono e ultimo film di Masumura della serie Hoodlum Soldier con Shintarô Katsu e Takahiro Tamura, nei panni dell’ex-yakuza Omiya e del sottufficiale intellettuale Arita, l’unico che riesce a tenerlo a bada senza violenza. Di quello iniziale del 1965 (il cui successo favorì le produzioni successive con i medesimi personaggi) scrissi nel post precedente, ma in questo si nota che si è perso il piglio iniziale e che alcune situazioni appaiono ripetitive. Pur riconoscendo al regista giapponese la buona qualità media dei suoi film, di qualunque genere, penso proprio che anche gli altri 7 furono girati in modo abbastanza simile. Sufficiente, ma certamente non fra i migliori di Masumura.

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