domenica 12 giugno 2022

Microrecensioni 166-170: gruppo molto vario del ‘900

Cinque ottimi registi quali Bondarchuk, Chabrol, Scorsese, Masumura e Sjöberg (anche se gli ultimi due probabilmente poco conosciuti), di cinque paesi diversi (URSS, Fra, Swe, Jap, USA), produzioni che spaziano fra il 1944 e il 1999.

 
Fate of a Man (Sergey Bondarchuk, 1959, URSS)

Intrattenitore per le truppe durante la II Guerra Mondiale, apprezzato attore cinematografico dai primi anni ’50 (e per questo nominato Artista del Popolo dallo stesso Stalin) con questo film Sergey Bondarchuk esordì alla regia e iniziò una brillante carriera in questo campo. Rimarrà certamente nella storia del cinema per aver diretto e interpretato il miglior adattamento cinematografico del capolavoro di Tolstoy Guerra e pace (1965, Oscar miglior film straniero e Nomination per la scenografia, oltre 7 ore di durata). Anche in questa sua prima regia diresse sé stesso, nel ruolo del protagonista. Ottimo film in stile classico russo del dopoguerra, bella e precisa fotografia in b/n, con ampio uso di doppie esposizioni e scene di massa, appropriatissimo e di notevole livello il commento musicale in stile sinfonico. Si tratta della storia di un artigiano di un piccolo paesino che lascia moglie e figli per andare in guerra, mandato nei campi di lavoro dai nazisti, poi autista di un ufficiale tedesco, infine torna a casa ma il triste destino gli riserva nuove disgrazie. Quasi un film di propaganda, ma con meno enfasi rispetto ai soliti, preferendo la qualità artistica ai messaggi politici.

Au coeur du mensonge (Claude Chabrol, 1999, Fra)

Chabrol è riconosciuto maestro delle descrizioni di personaggi, eventi e relazioni sociali delle comunità delle cittadine di provincia, nelle quali tutti si conoscono ed ognuno ha opinioni non sempre positive su ciascun altro, in particolar modo quando ci sono omicidi di mezzo. In questo caso si inizia con l’assassinio di una adolescente, ma ci sarà anche un’altra vittima. La commissaria (appena nominata) ha un modo inusuale di condurre le indagini, in contrasto con il suo collega locale, prossimo alla pensione. Per i motivi più disparati, molti dei personaggi descritti hanno qualcosa da nascondere, le voci in paese corrono e ipotesi e illazioni non si contano. Ben narrato anche dal punto di vista psicologico, lascia agli spettatori tante possibili supposizioni, a cominciare dalla scelta fra un unico assassino o due diversi, ma solo all’ultima scena si saprà la verità che non garantisce che il colpevole sarà punito.

  
Kundun (Martin Scorsese, 1997, USA)

Biopic del 14° Dalai Lama (1935 e tutt’ora in vita) diretto da Scorsese, giudicato un suo prodotto “minore” nonostante la bella fotografia, l’ottima scenografia (interni, esterni, location e costumi), le 4 Nomination Oscar e l’interesse della storia considerata la caratura del personaggio. Visto che si comincia con l’individuazione del nuovo Dalai Lama dopo la morte del 13° è chiaro che sono stati impegnati diversi attori per ricoprirne il ruolo. Nella prima parte si presenta infanzia, adolescenza ed educazione, mentre nella seconda il film prende un risvolto storico informandoci dei difficilissimi rapporti con i cinesi, fino alla fuga dal Tibet, evento con il quale si conclude il film. Anche se può sembrare una pignoleria, purtroppo ho visto la versione parlata in inglese, lingua che stona con l’ambiente e i protagonisti. La versione in tibetano (certamente incomprensibile, ma ci sono i sottotitoli) sarebbe apparsa molto più reale e coinvolgente. Piacevole da guardare ma troppo spezzettato e relativamente ripetitivo e prevedibile. 

Hoodlum Soldier (Yasuzô Masumura, 1965, Jap)

Penso sia utile riproporre parte della brevissima presentazione che feci nel 2018, in occasione dei primi film di Masumura che ebbi occasione di guardare in una rassegna a lui dedicata alla Filmoteca Española de Madrid. Laureato in filosofia con una tesi su Kirkegaard, poco dopo vinse una borsa di studio del Centro di Cinematografia di Roma dove ebbe fra i suoi docenti Antonioni, Fellini e Visconti. Quindi fu assistente di Gallone per Madama Butterfly (1954), prima di tornare a lavorare in patria come assistente di Mizoguchi (anche Street of Shame, 1956) e poi di Kon Ichikawa. Non si può dire che non abbia avuto buoni maestri e con abbia fatto ottima gavetta. Divenne noto anche per cimentarsi nei generi più disparati e per la sua prolificità: 55 film in una ventina di anni, quasi 3 all’anno! A giusto titolo Masumura è considerato esponente di rilievo della cosiddetta New Wave giapponese che ha preceduto di alcuni anni la senz'altro più famosa omologa francese.

Questo è uno di quei film di guerra nei quali non si vede mai il nemico, ma tratta di soldati giapponesi in Manciuria. I protagonisti sono un incontrollabile ex yakuza appena arruolato e il sottufficiale al quale viene affidato, il dovrà fare salti mortali per instaurare un rapporto di fiducia e rispetto reciproco. Film sostanzialmente antibellico che mostra anche i curiosi rapporti gerarchici vigenti nelle truppe nipponiche e i sorprendenti punizioni consentite (botte da orbi).   

Torment (Alf Sjöberg, 1944, Swe)

Spasimo (tit.it., malamente tradotto, negli altri paesi Tormento, Supplizio, Tortura, … certamente più pertinenti) fu la prima delle 48 sceneggiature firmate da Ingmar Bergman, che solo 2 anni più tardi diresse il suo primo film. Si sviluppa in ambiente studentesco nel quale si confrontano liceali non troppo volenterosi prossimi agli esami e un professore quasi sadico ma, a complicare la situazione, c’è anche una giovane donna. Dramma sociale psicologico, oserei dire tipico della cinematografia scandinava, nel quale vengono inseriti tesi rapporti familiari, pessimi rapporti fra il prof e gli studenti, alcolismo, infatuazione e stalking. Già si possono intravedere alcuni classici tormenti di Bergman. Vinse il Gran Premio a Cannes nel ’46 e fu candidato al Premio Internazionale a Venezia nel ’47.

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