mercoledì 15 giugno 2022

Microrecensioni 171-175: quasi tutti francesi

Dopo Au coeur du mensogne, ho cercato altri film di Chabrol non ancora guardati e ho scelto i suoi primi due e uno degli anni ‘80. Completano il gruppo due film recenti che, a giudicare dai rating, non sono stati molto graditi dal pubblico, ma lodati dalla critica. Nel complesso, nessuno è pessimo, tutti sono discutibili (e ciò risalta dai giudizi molto contrastanti) e solo uno mi è piaciuto veramente.

 
Le beau Serge (Claude Chabrol, 1958, Fra)

Primo film di Chabrol, del quale fu anche sceneggiatore unico; dai più è considerato il primo film della Nouvelle Vague francese della quale fu fondatore insieme ai suoi amici cinefili Rivette, Godard, Rohmer e Truffaut. Completò le riprese in 9 settimane invernali nel villaggio di Sardent, nel quale visse la sua famiglia materna e dove lui passava settimane intere, coinvolgendo molti abitanti del paese come figuranti o brevi ruoli marginali. In questa rappresentazione comunque vicina al neorealismo, propone un dramma sociale, nel quale regnano alcolismo, violenza e, soprattutto, l’indifferenza che fa accettare tutto come ineluttabile e quindi inutile da cercare di contrastare, e questo lo afferma perfino il prete. Da non perdere.

Les cousins (Claude Chabrol, 1959, Fra)

Secondo film di Chabrol in tutto e per tutto opposto al precedente. La scena si sposta dal paesino di campagna alla vita sfrenata di giovani (e meno giovani) a Parigi. Gli attori principali sono gli stessi ma a ruoli invertiti, vale a dire che Gérard Blain (alcolizzato e violento nel primo) qui interpreta lo studente serio e idealista, mentre Jean-Claude Brialy (che in Le beau Serge voleva redimere l’amico l’infanzia) qui è il trascinatore di un gruppo di sfaccendati perdigiorno (e soprattutto notti), organizzatore di festini quasi selvaggi nei quali, ovviamente, abbonda l’alcol. Personaggi per niente attraenti, nel complesso oserei dire detestabili, anche se ognuno per motivi diversi. Buono, ma non regge il confronto con il film d’esordio.

  
Bande de filles (Céline Sciamma, 2014, Fra)

Interessante spaccato della gioventù delle periferie parigine, ma quella rappresentata è la norma o una storia particolare? Come appare chiaro dal titolo, si parla di un gruppo di ragazze che si atteggiano a gang, sfidano altre adolescenti, si dedicano al taccheggio e al bullismo per racimolare un po’ di soldi. La protagonista si deve però confrontare anche con i difficili rapporti con la famiglia (madre praticamente assente, del padre non si hanno notizie, fratello maggiore troppo protettivo). Cercando una propria dimensione e libertà, la sedicenne Marieme, detta Vic, si caccerà in una serie di situazioni complicate. L’ambiente è quello degli immigrati africani integrati, quasi tutti nerissimi, ma ci sono anche alcuni che sembrano maghrebini, “bianchi” quasi assenti.

Masques (Claude Chabrol, 1987, Fra)

La prova di Philippe Noiret (lodata da molti) mi è sembrata troppo sopra le righe (anche se in parte era richiesta dal personaggio) e il film, limitato nella villa del protagonista e abitato da una mezza dozzina di personaggi peculiari, non ha il fascino delle interessanti descrizioni degli ambienti provinciali alle quali Chabrol ci ha abituato. Anche la suspense (non dimentichiamo che il regista ha come punto di riferimento Hitchcock, sul quale scrisse un famoso saggio insieme con Eric Rohmer) non riesce ad essere veramente tale. Sostanzialmente deludente, con personaggi e situazioni talvolta poco credibili. Certamente non uno dei migliori lavori del regista, troppo concentrato nella sua critica della borghesia francese.

Under the Skin (Jonathan Glazer, 2013, UK)

Mi è sembrato senza né capo né coda, certamente ben realizzato, raffinata fotografia ma con troppo nero, quasi inesistenti i dialoghi, ottimo commento sonoro, veramente originale. Sembra che Glazer si sia concentrato più che altro sull’originalità e sull’estetica trascurando la storia che, forse, è più avvincente nel testo del romanzo scritto dall’olandese Michel Faber, ma è stata mal adattata per il grande schermo. Lento e spesso ripetitivo, sembra che Scarlett Johansson sia stata usata come specchietto per le allodole, deludendo poi il pubblico (solo 6.3 su IMDb e 55% su RT). Presentato in innumerevoli Festival, conta oltre 130 Nomination, ma solo 23 Premi, 14 dei quali per la musica (di Mica Levi); fu fischiatissimo a Cannes.

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