sabato 14 maggio 2022

Microrecensioni 131-135: 10 Asian-American movies (6-10)

Seconda cinquina dei 10 film scelti dalla classifica Rotten Tomatoes The 81 Best Asian-American Movies (vedi post del 7 maggio).

Searching (Aneesh Chaganty, 2018, USA)

Film veramente sui generis, con storia narrata quasi esclusivamente attraverso schermate di cellulari e laptop. Ero abbastanza perplesso prima di affrontarne la visione ma i più che buoni rating (7,6 su IMDb e 91% RT) mi hanno convinto e non me ne sono assolutamente pentito. Ottimo thriller, con tanti twist, eventi, deduzioni e sospetti derivanti dalla spasmodica ricerca di indizi e tracce per ritrovare una 16enne misteriosamente scomparsa. Il padre riesce ad accedere alle pagine, chat e account della ragazza attraverso il computer lasciato a casa e, da un certo punto in poi, è affiancato da una detective della polizia, specializzata nella ricerca di persone scomparse. Attraverso messaggi testuali e vocali, registrazioni di dirette, video YouTube, telefonate, email e rubriche, agli spettatori vengono fornite le stesse informazioni a disposizione del padre, in contemporanea. Fino alla fine ognuno potrà fare le sue illazioni, spaziando fra rapimento, allontanamento volontario, incidente e altre ipotesi. Un minimo di conoscenza in merito all’uso di smartphone, laptop, app e social facilita la visione e la rende ancor più interessante, dando quasi l’idea di partecipare alle ricerche. Questo è il film di esordio di Aneesh Chaganty (classe 1991, di origini indiane ma nato in USA), geniale giovane che a 23 anni realizzò uno spot per Google Glass, subito virale con un milione di visualizzazioni nelle prime 24 ore. Subito ingaggiato dal Google Creative Lab di New York, per un paio di anni si è dedicato ai corti prima di scrivere e dirigere Searching. Per varie versioni straniere (inclusa quella italiana) sono state replicate nei relativi idiomi tutti le chat e schermate ma chi ne volesse usufruire dovrà sorbirsi il solito pessimo doppiaggio …

 
Columbus (Kogonada, 2017, USA)

Molto lento ma interessante e girato con gran gusto e tecnica. Kogonada è in effetti più saggista e critico cinematografico che regista, regolare collaboratore della rivista Sight & Sound di The Criterion Collection, che in questo suo primo lungometraggio (del quale è anche sceneggiatore e responsabile del montaggio) si diletta a dividere nettamente le inquadrature con tante linee ben definite, spesso nascondendo i protagonisti che stanno parlando o duplicandoli con sapienti giochi di specchi. Fa anche scoprire agli spettatori molti dei peculiari edifici modernisti per i quali la città di Columbus (Ohio, USA) è nota nel mondo dell’architettura e per questo detta “la Mecca del Midwest per l’architettura”. Indiscutibilmente un art house film vale a dire di quelli, di solito indipendenti, diretti a un pubblico di nicchia; “lavori seri, artistici e spesso sperimentali non destinati alle masse”, “prodotti soprattutto per fini estetici e non commerciali”.

Driveways (Andrew Ahn, 2019, USA)

Film quasi rohmeriano, basato sui rapporti interpersonali fra persone che poco si conoscono, di differenti culture ed età. Una giovane madre single di origini indocinesi con suo figlio di 9 anni si trova a dover svuotare e ripulire la casa di sua sorella, appena deceduta e con la quale aveva pochi rapporti. La cosa non è semplice in quanto si rende subito conto che era una hoarder (accumulatrice seriale, compulsiva) che aveva riempito ogni stanza di oggetti accatastati. Nei pochi giorni di permanenza i due avranno a che fare con vicini socievoli e non, fra i quali spicca il veterano Del (Brian Dennehy, deceduto prima dell’uscita del film) che un rapporto particolare con il ragazzino. Ben realizzato e interpretato, ma sappiate che non c’è quasi azione … come nei film di Rohmer.

 
Crazy Rich Asians (Jon M. Chu, 2018, USA)

Commedia divertente solo a tratti, che pone in ridicolo le manie di grandezze di una famiglia di Singapore e del loro entourage. Un’americana (seppur di origini cinesi) si trova in mezzo a quella banda di giovani orientali straricchi e scatenati e meno giovani fuori di testa e viene bullizzata quasi da tutti per non essere considerata del loro stesso livello (ricchezza).

Gook (Justin Chon, 2017, USA)

Ben filmato con tanta camera a spalla e in bianco e nero, purtroppo con una sceneggiatura scadente e scadenti dialoghi (si possono definire cosi brevi scambi di battute per lo più pieni di f**k e f**king?). Oltretutto i due fratelli coreani protagonisti appaiono come degli assoluti imbecilli e ci si chiede come abbiano potuto mantenere la loro attività di commercio di scarpe, considerato anche il fatto che siano continuamente bullizzati da un gruppetto di balordi afroamericani. A ciò si aggiunge che il contrasto non è solo fra i rappresentanti delle due comunità ma anche fra di loro, seppur parenti stretti. Per bocca di un anziano commerciante coreano e della sorella undicenne di uno dei delinquenti (la vera protagonista, ben interpretata da Simone Baker) vengono fuori considerazioni sul razzismo fra i non-bianchi, che pure esiste anche se raramente se ne parla.

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