Seconda cinquina dei 10 film scelti dalla classifica Rotten Tomatoes The 81 Best Asian-American Movies (vedi post del 7 maggio).
Searching (Aneesh Chaganty, 2018, USA)
Film veramente sui
generis, con storia narrata quasi esclusivamente attraverso schermate di
cellulari e laptop. Ero abbastanza perplesso prima di affrontarne la visione ma
i più che buoni rating (7,6 su IMDb e 91% RT) mi hanno convinto e non me ne
sono assolutamente pentito. Ottimo thriller, con tanti twist, eventi, deduzioni
e sospetti derivanti dalla spasmodica ricerca di indizi e tracce per ritrovare una
16enne misteriosamente scomparsa. Il padre riesce ad accedere alle pagine, chat
e account della ragazza attraverso il computer lasciato a casa e, da un certo
punto in poi, è affiancato da una detective della polizia, specializzata nella
ricerca di persone scomparse. Attraverso messaggi testuali e vocali,
registrazioni di dirette, video YouTube, telefonate, email e rubriche, agli
spettatori vengono fornite le stesse informazioni a disposizione del padre, in
contemporanea. Fino alla fine ognuno potrà fare le sue illazioni, spaziando fra
rapimento, allontanamento volontario, incidente e altre ipotesi. Un minimo di conoscenza
in merito all’uso di smartphone, laptop, app e social facilita la visione e la
rende ancor più interessante, dando quasi l’idea di partecipare alle ricerche.
Questo è il film di esordio di Aneesh Chaganty (classe 1991, di origini
indiane ma nato in USA), geniale giovane che a 23 anni realizzò uno spot per
Google Glass, subito virale con un milione di visualizzazioni nelle prime 24
ore. Subito ingaggiato dal Google Creative Lab di New York, per un paio di anni
si è dedicato ai corti prima di scrivere e dirigere Searching. Per
varie versioni straniere (inclusa quella italiana) sono state replicate nei
relativi idiomi tutti le chat e schermate ma chi ne volesse usufruire dovrà
sorbirsi il solito pessimo doppiaggio …
Columbus (Kogonada, 2017, USA)
Molto lento ma interessante e girato con gran gusto e tecnica. Kogonada è in effetti più saggista e critico cinematografico che regista, regolare collaboratore della rivista Sight & Sound di The Criterion Collection, che in questo suo primo lungometraggio (del quale è anche sceneggiatore e responsabile del montaggio) si diletta a dividere nettamente le inquadrature con tante linee ben definite, spesso nascondendo i protagonisti che stanno parlando o duplicandoli con sapienti giochi di specchi. Fa anche scoprire agli spettatori molti dei peculiari edifici modernisti per i quali la città di Columbus (Ohio, USA) è nota nel mondo dell’architettura e per questo detta “la Mecca del Midwest per l’architettura”. Indiscutibilmente un art house film vale a dire di quelli, di solito indipendenti, diretti a un pubblico di nicchia; “lavori seri, artistici e spesso sperimentali non destinati alle masse”, “prodotti soprattutto per fini estetici e non commerciali”.
Driveways (Andrew Ahn, 2019,
USA)
Film quasi
rohmeriano, basato sui rapporti interpersonali fra persone che poco si
conoscono, di differenti culture ed età. Una giovane madre single di origini
indocinesi con suo figlio di 9 anni si trova a dover svuotare e ripulire la
casa di sua sorella, appena deceduta e con la quale aveva pochi rapporti. La
cosa non è semplice in quanto si rende subito conto che era una hoarder
(accumulatrice seriale, compulsiva) che aveva riempito ogni stanza di oggetti
accatastati. Nei pochi giorni di permanenza i due avranno a che fare con vicini
socievoli e non, fra i quali spicca il veterano Del (Brian Dennehy, deceduto prima dell’uscita del film) che un
rapporto particolare con il ragazzino. Ben realizzato e interpretato, ma sappiate
che non c’è quasi azione … come nei film di Rohmer.
Crazy Rich Asians (Jon M. Chu, 2018, USA)
Commedia
divertente solo a tratti, che pone in ridicolo le manie di grandezze di una
famiglia di Singapore e del loro entourage. Un’americana (seppur di origini
cinesi) si trova in mezzo a quella banda di giovani orientali straricchi e scatenati
e meno giovani fuori di testa e viene bullizzata quasi da tutti per non essere considerata
del loro stesso livello (ricchezza).
Gook (Justin Chon,
2017, USA)
Ben filmato con
tanta camera a spalla e in bianco e nero, purtroppo con una sceneggiatura
scadente e scadenti dialoghi (si possono definire cosi brevi scambi di battute
per lo più pieni di f**k e f**king?). Oltretutto i due fratelli
coreani protagonisti appaiono come degli assoluti imbecilli e ci si chiede come
abbiano potuto mantenere la loro attività di commercio di scarpe, considerato
anche il fatto che siano continuamente bullizzati da un gruppetto di balordi
afroamericani. A ciò si aggiunge che il contrasto non è solo fra i
rappresentanti delle due comunità ma anche fra di loro, seppur parenti stretti.
Per bocca di un anziano commerciante coreano e della sorella undicenne di uno
dei delinquenti (la vera protagonista, ben interpretata da Simone Baker)
vengono fuori considerazioni sul razzismo fra i non-bianchi, che pure esiste
anche se raramente se ne parla.
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