Desiderando utilizzare del
finocchietto fresco in alcuni dei miei piatti “sperimentali” ed essendo la
stagione ormai avanzata, ho pensato di tentare di produrre un paté usando anche
gli steli non lignificati, ancora ampiamente disponibili. Ne ho quindi raccolto una quantità
adeguata prediligendo le parti superiori di quelli più teneri e flessibili e alcuni nuovi getti laterali ed
evitando, ovviamente, quelli che stavano già diventando legnosi.
Ho dato un bollo agli steli dopo averne
eliminato i nodi ed averli tagliati a pezzetti di un paio di centimetri e solo
pochi minuti prima di spegnere il fuoco ho aggiunto le cime più tenere con le poche
foglioline.
Ho utilizzato pochissima acqua (teoricamente
si potrebbero fare anche al vapore, ma ci vorrebbe molto più tempo) in modo da
non disperdere odore e sapore, liquido che ho poi usato per ammorbidire il paté senza
dover aggiungere troppo olio.
Dal mio punto di vista, per ottenere
un buon paté si dovrà frullare il tutto aggiungendo certamente dell’olio (ma
non troppo), qualche spicchio d’aglio, un po’ di acqua di cottura per regolare la
densità, sale, peperoncino ed eventuali altri aromi a seconda dei propri gusti,
ma non disdegnare olive nere, cipolle e via discorrendo.
Quelli che vorranno arrischiarsi a produrre
questo paté (che molto probabilmente già esiste, ma non ne ho trovato
traccia in rete se non per le sole foglie, ricette per lo più siciliane) a
questo punto dovranno decidere come utilizzarlo. Io per ora l’ho provato in tre
modi:
- 1) con la pasta (lunga, linguine o vermicelli) soffriggendo qualche spicchio d’aglio tagliato a fettine in olio di oliva e aggiungendo poi il paté
- 2) ancora con la pasta lunga, ma questa volta usando il paté a crudo, allungato e amalgamato con succo di limone e olio di oliva
- 3) spalmato su crostini, bruschette o pane tostato
Risultati:
nel primo caso se ne deve
usare una discreta quantità poiché con la cottura, seppur breve, perde parte del suo aroma
mentre per la seconda ricetta se ne può utilizzare di meno e mantiene meglio il sapore originale. Fra le due la mia preferenza va alla versione a crudo. Infine,
messo su bruschetta o pane tostato se ne deve usare poco altrimenti il sapore
può risultare troppo forte.
Ideato il 18 luglio 2016, nella
stessa giornata sono andato a raccogliere il finocchietto e ho preparato il
paté come sopra descritto. La sera stessa la versione calda è stata “sottoposta a
commissione esaminatrice” nel corso si un pasta party che prevedeva anche
linguine con pasta d’acciughe (anche questa fatta da me a partire da acciughe
salate siciliane e arricchita con aglio e olive nere infornate) e vermicelli
alla chiummenzana
(ampiamente trattata in un paio di recenti post).
Le mie cavie umane hanno approvato all’istante
e poi si sono svegliate vive e vegete pur avendo fatto ampio onore alle tre ricette arravogliando abbondantemente, confermando così che niente era velenoso-letale, fatto del quale mi ero
già assicurato in precedenza. Infatti il finocchietto (Foeniculum vulgare, finocchio selvatico), pianta erbacea spontanea
della famiglia delle Apiaceae che cresce fino a 2 metri di altezza, è commestibile
in ogni sua parte (steli, semi, foglie), ovviamente a meno di avere allergie
specifiche.
In conclusione, passata la stagione
adatta per la raccolta del finocchietto fresco (quando le foglioline sono
ancora tenere) è ancora possibile fare un paté con gli steli, a patto che siano
ancora verdi e succosi.
Nessun commento:
Posta un commento