venerdì 10 settembre 2021

Micro-recensioni 241-245: World Movies … Kazakistan, Colombia, Cina e India

Un interessantissimo documentario colombiano è accompagnato da un film sulla gioventù di Gengis Khan, una detective story cinese con intrighi di palazzo e altri 2 film dell’Indian Parallel Cinema.

 

Ciro y yo 
(Miguel Salazar, 2018, Col)

Il protagonista è Ciro Galindo (classe 1952), che interpreta sé stesso. Narra la incredibile e sventurata storia costellata di morti, arruolamenti forzati di bambini soldato, FARC, truppe paramilitari, servizi segreti poco affidabili; una vita passata a tentare di sfuggire alla violenza, non a caso diventa emblematica la frase: “dovunque andasse, la guerra lo trovava”. Il regista e direttore della fotografia Miguel Salazar, decise di realizzare questo documentario dopo 20 anni di amicizia con Ciro e con la sua famiglia i cui unici sopravvissuti sono lui e suo figlio Esneider. Attualmente vanta un ottimo e giustificato 8,3 su IMDb.

Detective Dee: the Phantom Flame (Hark Tsui, 2011, Cina)

Film spettacolare che ho recuperato dopo averlo visto al cinema una decina di anni fa. Ambientato alla fine del VII secolo, all’epoca dell’incoronazione dell’unica Imperatrice cinese della storia: Wu Zetian. I preparativi per la cerimonia sono turbati da inspiegabili incidenti … persone che vanno a fuoco ed in pochi minuti si inceneriscono. Agli intrighi mirati a sabotare la celebrazione, nei quali tanti sono i sospetti per i più svariati motivi, si alternano i classici combattimenti e movimenti di masse di soldati. Toccherà al Detective Dee (Andy Lau) risalire alla causa delle misteriose fiammate e smascherare chi trama contro l’Imperatrice. L’ottima fotografia, la ricca scenografia e i colorati e sfarzosi costumi sono predominanti sulla trama che comunque è intricata e piena di sorprese fino all’ultimo. Molto piacevole e, quindi, consigliato.

  

Mongol (Sergey Bodrov, 2007, Kaz)

Candidato Oscar come miglior film non in lingua inglese è uno dei pochi prodotti dal Kazakistan. Scorrendo velocemente l’ascesa al potere del giovane Temudjin (il futuro Gengis Khan), il regista russo approfitta spudoratamente (ma bene) degli spettacolari paesaggi dell’Asia più interna, fra Kazkistan, Mongolia e Cina. Abbastanza fedele ai fatti storici riesce a mantenere viva l’attenzione dello spettatore anche se, chiaramente, alcuni eventi sono molto romanzati. Senz’altro vale la pena guardarlo, almeno per godere della vista di deserti e steppe infinite, nonché per conoscere qualcosa della vita da nomadi dei mongoli, con le yurta (le loro caratteristiche tende), gli originali abiti e gli animali al seguito.

  • Bazaar (Sagar Sarhadi, 1982, Ind)
  • Gaman (Muzaffar Ali, 1978, Ind)

Questi sono gli unici altri due film dell’Indian Parallel Cinema che sono riuscito a recuperare con sottotitoli inglesi, dopo aver visto Ankur (1974, Shyam Benegal) la settimana scorsa. Se Bazaar si è rivelato molto interessante per approfondire l’argomento dei matrimoni combinati (fra adulti, non spose bambine) Gaman è risultato molto deludente. Nel primo la protagonista è Smita Patil, reputata una delle migliori attrici indiane di sempre, impegnata politicamente, quasi icona del Parallel Cinema, con ben 80 film all’attivo nonostante il debutto a 20 anni e la prematura morte a 31. In poche parole, se ne avrete l’occasione, guardate Bazaar ed evitate Gaman.

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