giovedì 2 settembre 2021

Micro-recensioni 231-235: 2 Balabanov e 3 Jodorowsky

Da MUBI ho recuperato un paio di film di Jodorowski che mi mancavano (il primo e il penultimo dei suoi soli 8) e ho guardato di nuovo e con piacere El Topo in HD. Inoltre, mi sono lanciato alla scoperta del nuovo (di una ventina d’anni fa) cinema d’azione russo che ha il suo profeta in Aleksey Balabanov il quale è anche riuscito a realizzare un sequel per me migliore dell’originale.

NB – non ho guardato questi cinque film in un solo giorno … il post pubblicato ieri era arretrato ed avevo già anticipato la visione dei due russi.

 
  • Brother (Aleksey Balabanov, 1997, Russia)
  • Brother 2 (Aleksey Balabanov, 2000, Russia)

In entrambe i film il protagonista è Danila (Sergey Bodrov), un reduce della guerra in Cecenia, lui dice in veste di scrivano ma dalla sua dimestichezza con esplosivi e armi che modifica e maneggia con grande maestria i dubbi sono leciti. Apparentemente pacato e quasi sempre sorridente, ha ideali a valori sostanzialmente positivi che persegue con convinzione, difendendo familiari, donne in difficoltà ed innocenti, ma agendo in modo spietato solo contro i cattivi. Pur realizzando film senz’altro violenti, non eccede in immagini cruente ma fa solo intuire quello che sta per succedere e/o che è appena successo (insomma non è splatter), il tutto con una buona dose di ironia che in più momenti lo fa sembrare una dark comedy. Per questo lo si potrebbe definire un Guy Ritchie russo che ma, differenza del regista inglese, è meno esplosivo, esuberante e caricaturale; seppur con le necessarie esagerazioni per questo genere, riesce ad aggiungere contenuti e satira alle dispute in ambiente mafioso. Se il primo film si svolge per lo più a Pietroburgo, nel secondo spazia da Mosca agli USA avendo così modo di prendere in giro gli stili di vita yankee inserendo anche temi razzisti, ma non risparmia neanche gli ucraini. Altro personaggio presente nei due film è naturalmente suo fratello maggiore Viktor (Viktor Sukhorukov), piccolo malvivente alcolizzato e assolutamente inaffidabile, causa di un’infinità di problemi anche se qualche volta riesce ad essere utile. La buona regia e le belle riprese portano lo spettatore nel vero underworld russo, certamente più credibile di quello proposto nei film occidentali. Brat (titolo originale) fu presentato nella sezione Un Certain Regard a Cannes e al Torino Film Festival vinse Premio speciale della giuria e Premio FIPRESCI. Consigliata la visione, ovviamente in ordine cronologico; penso valga la pena di guardare anche qualche altro film diretto da Aleksey Balabanov.

  
El Topo (Alejandro Jodorowsky, 1970, Mex)

Questo è per me il migliore film di Jodorowsky, autore e regista di cinema e teatro, attore, compositore, scrittore e fumettista cileno, da sempre vicino al mondo dei surrealisti, forse l’unico vero erede di Luis Buñuel. A parte avere una trama più lineare, il che aiuta la visione, conta su un’ottima fotografia che sfrutta location molto singolari e su stimolanti dialoghi. Nel film lui interpreta il personaggio principale e il bambino è effettivamente suo figlio Brontis (al suo esordio, 7 anni) che sarà poi protagonista degli ultimi due film del padre, La danza de la realidad (2013, diretto dopo 23 anni di silenzio, all’età di 84 anni) ed il suo sequel Poesía sin fin (2016). In più pagine viene assimilato al genere western, ma non penso che un cavallo, con relativo cavaliere con colt alla cintola non bastino per definirlo così. Certamente è tutt’altro e molto di più, certamente surreale e visionario; uno di quei film che non si possono descrivere in breve in quanto ogni tentativo risulterebbe inevitabilmente riduttivo. Da non perdere.

La danza de la realidad (Alejandro Jodorowsky, 2013, Mex)

Piacevole sorpresa, film che non avevo mai visto. Il regista torna nel suo paesello natio sulla costa cilena, Tocopilla, 25.000 abitanti, 1.500km a nord della capitale, a 600km dal confine con il Perù, per realizzare un film in gran parte autobiografico, ma inevitabilmente con grande creatività fantastica e onirica. Come lui, il protagonista nasce in una famiglia ebreo-ucraina ed ha qualche problema con i suoi coetanei. La madre è interpretata da Pamela Flores, al suo secondo film ma già nota cantante lirica cilena, che durante tutto il film non parla mai normalmente ma si esprime sempre con arie da soprano. Oltre a Brontis, che ha un ruolo importante, qui recitano anche Adan e Axel, altri 2 figli del regista/attore e Jeremías Herskovits (nipote di Jodorowsky) che interpreta il nonno da giovane. Nel cast compaiono personaggi circensi, nazisti, masse di emarginati, il dittatore cileno Ibáñez (che suo padre veramente affermava di voler assassinare) e chi più ne ha più ne metta, in puro stile jodoroskiano. Il film fu presentato a Cannes ricevendo al termine una standing ovation.

Fando y Lis (Alejandro Jodorowsky, 1968, Mex)

Abbastanza deludente in quanto troppo esagerato e discontinuo anche se ha, a sua giustificazione, il fatto di essere l’opera prima di Jodorowsky, che proveniva da esperienze di palcoscenico e in questo caso adattava un lavoro teatrale di Arrabal. Non è fluido e spesso rallenta, la recitazione, ripeto, è troppo di tipo teatrale, insomma non riesce a convincere, specialmente conoscendo quello che successivamente il geniale ed estroverso regista cileno è riuscito a produrre. I protagonisti Fando e Lis nel loro viaggio alla ricerca della città di Tar, dove sperano che Lis possa essere guarita dalla sua semiparalisi, avranno varie disavventure e si imbatteranno in strani personaggi. Nel film (girato in bianco e nero) si mischiano surrealismo e sadismo, gratuita violenza fisica e psicologica, in una ambiente semidesertico, fra polvere e pietre. Assolutamente non per tutti, tuttavia interessante per (tentare di) avere un quadro complessivo dell’opera di Jodorowsky.

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