Non cambierei
un abbinamento semplice e tipico (per le Canarie) come questo con
nessuna fantasiosa combinazione di nouvelle cuisine. Tutto fresco, locale e naturale ...
Questo della foto è l’escaldón che ho mangiato ieri, derivato da un potaje con costillas (costine di maiale) e coperto da tocchetti di cipolla cruda e con un poco di mojo verde (tipica salsa canaria)... una prelibatezza. Solitamente viene servito nel classico tegamino nero, specifico per lo scopo.
So che molte
volte, quando parlo di cibo e soprattutto di piatti tradizionali come quelli
che piacciono a me, molti storcono il naso solo per non conoscere i sapori veri
e non avere un “palato aperto” (né la
mente).
Iniziamo con il gofio
che solo ultimamente alcuni circuiti macrobiotici, salutisti, vegetariani e via
discorrendo stanno cominciando a prendere in considerazione.
Si tratta molto
semplicemente di una farina tostata, che può essere di un ingrediente unico o
di un mix di cereali e/o legumi. Quelli previsti dal protocollo (dal 2014 il gofio canario è un IGP) sono: mais, frumento, segale, orzo, avena, riso, ceci, fave e lenticchie, con la sola aggiunta di sale marino.
Quelli più comuni in commercio sono quello di mais (millo), frumento (trigo) e quello misto (mezcla) al quale alcuni, trasgredendo, aggiungono anche altri ingredienti come per esempio carrube. Se ne fa anche una distinzione in base alla tostatura. (disciplinare IGP del Gofio canario in italiano)
Essendo già
tostato, il gofio non ha bisogno di ulteriore cottura e si può utilizzare a caldo o a
freddo mischiandolo con i più svariati ingredienti quasi a secco (zucchero,
miele, banane, frutta secca, ...) e/o con vari liquidi, dai brodi al latte e
perfino al vino.
Pare siano tutti
concordi nell’accettare l’origine guanche (popolazioni delle Canarie
prima della conquista degli spagnoli) e ancor prima berbera sia del nome che del tipo di preparazione che tradizionalmente
dovrebbe prevedere la molitura con la pietra (pratica ancora rispetta da
qualche forno).
Come già detto,
i modi di consumarlo sono tanti ma i più comuni sono con il latte (per
colazione), amasado (come dolce, foto a sx) e escaldado
(escaldón)
come pietanza.
In quest’ultimo caso di solito si utilizza scaldare il brodo di
un potaje
(quello tradizionale canario prevede l'utilizzo di numerose verdure e può includere o meno
carne vaccina o suina), aggiungere il gofio fin quando non si amalgama (bastano
un paio di minuti) e poi coprirlo con il contenuto solido del potaje. Mi hanno detto
che in mancanza d’altro, la gente faceva bollire solo aglio e cipolle e poi
aggiungeva il gofio.
In rete troverete altre mille ricette e varianti, tradizionali, locali e moderne.
In rete troverete altre mille ricette e varianti, tradizionali, locali e moderne.
Seppur
abbondante e saziante ho pensato, su suggerimento della cocinera Tata, di affiancare al mio escaldón una porzione di chicharros
fritti, piatto classico delle coste atlantiche, dal Senegal fin su al Portogallo dove si
chiamano carapaus, o carapuazinhos se sono di taglia piccola (li trovate in qualunque menù e coprono interi banchi nei mercati del pesce).
Come consumo
equivalgono alle alici mediterranee, che si trovano praticamente dovunque e
durante tutto l’anno. Per il gran consumo che gli abitanti di Santa Cruz de
Tenerife ne facevano, e ancora ne fanno ma in misura ridotta, gli abitanti de
La Laguna (antica capitale dell’isola) li soprannominarono dispregiativamente chicharreros.
Attualmente, tuttavia, il termine non è più offensivo, è normalmente usato in
alternativa a santacruceros e spesso
riferito a tutti gli abitanti dell’isola, è diventato il simbolo della città e
al chicharro
(Trachurus trachurus, it.
sugarello) è dedicato un monumento (foto) sistemato nel centro di Santa Cruz in una piazzetta dall’ovvio
nome di Plaza del Chicharro.
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