mercoledì 21 febbraio 2018

L’ultimo film di Igmar Bergman, gli svedesi e i registi crudeli


70 Fanny & Alexander (Ingmar Bergman)
tit. or. Fanny och Alexander” (Sve, 1982)
con Bertil Guve, Pernilla Allwin, Kristina Adolphson
4 Oscar (Miglior film non in lingua inglese, fotografia, scenografia, costumi) e 2 Nomination (regia e sceneggiatura)
IMDb  8,1  RT 100%

Ultima regia di Ingmar Bergman, ancora una volta su una sua sceneggiatura originale, ancora una volta con Sven Nykvist come direttore della fotografia. In questo caso non sono tanti i “soliti” attori del circolo di Bergman, ma c’è da segnalare l’ultima apparizione del sempre eccellente Gunnar Björnstrand, seppur in una parte molto secondaria.
Film insolito per Bergman, quasi un gran finale, con un budget spropositato per l’epoca (6 milioni di dollari) e un cast di centinaia di persone, agli antipodi dei suoi tanti film con solo 3 o 4 personaggi principali e poche comparse. Lo si potrebbe quasi vedere come un film corale, viste le varie decine di persone che compongono la famiglia Ekdahl, alla quale si aggiungono numerose cameriere e cuoche, il personale del teatro (attori e tecnici) e altri aggregati come il vescovo e l’usuraio ebreo Isak Jacobi (Erland Josephson), amante della matriarca.
Fanny & Alexander, che pur ha ottenuto ottime recensioni e ben 4 Oscar (Miglior film non in lingua inglese, fotografia, scenografia, costumi e altre 2 Nomination per regia e sceneggiatura), mi è sembrato soffrire della “indecisione” della produzione. Chiarisco: la versione cinematografica, già di per sé abbastanza lunga con le sue 3h08’, è una riduzione di quella integrale (director’s cut) di ben 5h12’, passata in televisione come mini-serie in due puntate. Non tutto quello pensato per il cinema va bene in televisione ed una sceneggiatura nata con l’obiettivo di una serie televisiva (al di là del formato) non può essere ridotta del 40% senza perdere qualcosa. Di conseguenza, nella versione cinematografica (quella che ho guardato) sembra che talvolta Bergman si dilunghi troppo su certi avvenimenti, per poi saltare di punto in bianco da una situazione all’altra a distanza di vari mesi. Tuttavia la lunghezza e il gran numero di personaggi forniscono la possibilità di raccontare tante storie di tipo assolutamente diverso, dalle scene quasi da commedia a quelle inquietanti nella spoglia casa/”prigione” del perfido vescovo Edvard Vergerus (Jan Malmsjö) che mi ha fatto tanto pensare a Robert Mitchum nel capolavoro che è The Night of the Hunter (1955, di Charles Laughton, tit. it. La morte corre sul fiume).
   
Altro argomento interessante è quello dei colori predominanti nelle scene che si svolgono nell’enorme magione della famiglia Ekdahl. Si inizia con il rosso (giustificato dal fatto che è Natale), poi si passa al nero per un lutto e si finisce con la festa per le due neonate per la quale vestono tutti in bianco. (vedi foto)
      
In varie situazioni sono le stanze e gli arredi e non gli abiti a fornire i colori preponderanti, di nuovo con tutta la gamma di rossi a casa Ekdahl (ricorda molto le scene di Sussurri e grida, 1973) tanto da far impallidire il buon Pedro Almodóvar e del grigiore assoluto della casa del vescovo.
   
Resta senz’altro un buon film e le altalenanti vicende di ogni genere fanno “pesare” le oltre tre ore di Fanny & Alexander meno dell’ora e mezza o 1h40’ di altri film di Bergman, esclusivamente drammatici e claustrofobici.

Avendo concluso questo blocco di 7 film del regista svedese, che si vanno ad aggiungere ad un’altra decina di sue pellicole già viste, al di là del giudizio generale che sto ancora elaborando, mi viene spontaneo chiedermi: gli svedesi nel corso dei secoli e nei vari ambiti sociali sono veramente come la media di personaggi proposti da Bergman, o è lui che tratta solo sceneggiature piene di persone che, a dispetto di un’apparente libertà di pensiero e di comportamento, soffre di gelosie, medita vendette, tradisce senza il minimo rimorso, non trova vere ragioni di vita, non ha precise credenze religiose, attraversa lunghi periodi di depressione, e via discorrendo?
Si sa che lui stesso, a seguito dei problemi con il fisco, fu ricoverato per oltre tre mesi in una clinica psichiatrica per depressione e da più parti ho letto che sul set quasi martirizzava attori e tecnici, facendoli a lavorare per ore infinite, talvolta al freddo ... ma della “crudeltà” dei registi si parla spesso (e pare che ciò che si dice sia vero) e ce ne sono tanti che in quanto a questo hanno pessima fama, perfino fra i più famosi, come Kubrick, Hitchcock, Kurosawa, Polanski, Herzog, Coppola, ...

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