venerdì 15 giugno 2018

Altra perla della cinematografia giapponese

Non meraviglia il fatto che questo ottimo film sia poco conosciuto al di fuori di uno stretto ambito di cinefili. 
Si tratta di una realizzazione quasi unica nel suo genere, fra avanguardia ed estetica, senza alcun dubbio un arthouse movie che miscela sapientemente argomenti politici e sociali attorno ad una trama ispirata ad una tragedia greca ed ambientata nel mondo omosessuale (tutto questo una cinquantina di anni fa!) 

166  Funeral Parade of Roses 
(Toshio Matsumoto, Jap, 1969)
tit. or. Bara no sôretsu
con Pîtâ, Osamu Ogasawara, Yoshimi Jô
IMDb  8,2  RT 86%

Film fra finzione e documentario, con qualche inquadratura nello stile classico giapponese e tanta avanguardia e cinema sperimentale, una strizzata d’occhio alla Nouvelle Vague e citazioni di pietre miliari della storia cinema come Un chien andalou (Buñuel, 1929) con la famosissima scena dell’occhio trasformata e duplicata, di Edipo Re (P. P. Pasolini, 1967) con i protagonisti che si fermano davanti ad una serie di manifesti del film. In quest’ultimo caso c’è anche il riferimento alla tragedia greca alla quale vagamente Bara no sôretsu si ispira. 
   
A ciò si aggiungano tanti (profondi) aforismi in sovrimpressione, un breve ma profondo soliloquio sulle maschere (in senso lato), tanti primi piani di parti non immediatamente identificabili di uno o due corpi nudi, inserti di foto e scene di pochissimi fotogrammi, meno di un secondo, anche in velocissime sequenze (alla Kubelka), interviste e riprese di riprese sul set, flashback e flashforeward, alcuni dei quali sono inquadrature fisse riproposte tante volte, riprese rallentate e accelerate ed una di queste ultime - la “rissa” - è stata adattata e riproposta da Kubrick in Clockwork Orange, montaggio non convenzionale ... lo definirei artistico-creativo, immagini distorte, disegni di arte moderna che rappresentano volti deformati, spesso con tanti occhi, manifestazioni in strada per richiedere lo smantellamento delle basi militari americane e tanto altro.
   
   
Detto così può sembrare un film confuso e invece ha una trama drammatica con una sua linearità ed il fatto di svolgersi in ambiente gay e trasgender, con scene di sesso quasi esplicito e discussioni sull’uso di droghe, diventa quasi un fattore incidentale. Le interviste ai protagonisti (non professionisti, al loro esordio) in merito alla loro realizzazione come persone, alle prese di coscienza del loro essere, alle prospettive per il futuro sono significative e ben distribuite nell’arco di tutto il film, senza mai diventare critiche, derisorie o volgari.
   
Dopo vari short, anche per il regista Toshio Matsumoto si tratta di un esordio, per altro molto positivo, per quanto riguarda la regia di un lungometraggio; Funeral Parade of Roses è il primo dei suoi soli 4 film girati in 20 anni. Seguirono Shura (1971, aka Demons oppure Pandemonium), Juroku-sai no senso (1973) e Dogura magura (1988), ma solo il primo di questi 3 rimase ad un livello simile a Funeral Parade of Roses, gli altri due non riuscirono a dire quasi niente di nuovo e, del resto, il grande momento della New Wave e del cinema d'avanguardia degli anni '60 era ormai passato.
Toshio Matsumoto è comunque uno dei due registi veramente innovatori nel cinema giapponese, insieme con il più noto, che non equivale a dire migliore in assoluto, Nagisa Oshima.
Da notare che le rose del titolo hanno un doppio significato in quanto non solo sono i fiori preferiti di uno dei protagonisti (vedi foto sopra), ma nel gergo giapponese di allora rose era sinonimo di uomo chiaramente effeminato, equivalente al pansy (violetta) in inglese. 

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